Una strada da intraprendere fuori dagli schemi
3 Novembre 2014
La lettera pastorale “Una Chiesa che ascolta e che accoglie”, presentata nei giorni scorsi agli organismi di partecipazione della nostra diocesi, soprattutto con gli incontri nei singoli decanati, rappresenta il secondo passo, il secondo capitolo di un percorso che la Chiesa isontina ha coraggiosamente intrapreso nell’anno pastorale passato.In particolare, la Lettera pastorale appare come il frutto di un lavoro, iniziato con un primo passo innovativo, compiuto da molte parrocchie della diocesi: la descrizione della propria realtà, la stesura dei nostri Atti. Quest’attività, dalla quale si evincono la ricchezza, la vivacità, ma anche le problematiche della nostra Chiesa, ha fatto emergere degli elementi comuni, poi approfonditi e elaborati dai Consigli e durante l’Assemblea diocesana, che costituiscono non già un punto di arrivo, ma una solida base sulla quale lavorare.Mi pare di poter dire, pertanto, che un primo suggerimento che la nuova Lettera pastorale ci dà, è innanzitutto quello di non considerare il lavoro fin qui svolto un bell’esperimento fine a sé stesso, un mero esercizio di stile, ma ci invita a proseguire su questa strada, a non abbandonare il metodo che si è iniziato ad usare ed è stato, evidentemente, proficuo.Certo, è ben probabile che l’iniziale entusiasmo si raffreddi, che il compito appaia ora più arduo e difficile, ma determinate abitudini dovremmo considerarle come acquisite: penso, ad esempio, all’iniziare le riunioni del Consiglio con la lettura della Parola di Dio, al metodo assembleare, all’attitudine all’ascolto dello Spirito e del prossimo.Alle singole comunità diocesane viene chiesto uno sforzo un più; non solo di valutare quello che c’è, ma di fare un passo in avanti, nell’ambito dove è più necessario o opportuno.Le comunità sono probabilmente chiamate ad uscire da schemi precostituiti a cui siamo abituati, ad abbandonare quel ’si è sempre fatto così’ che ci lega ad abitudini e modi di fare diventati forse anacronistici e che nulla più comunicano ai giovani, alle famiglie, a chi guarda la Chiesa da fuori. Penso, in particolare, ai percorsi pre e post cresima, evidentemente non più capaci di intercettare il sentire delle giovani generazioni nel loro percorso di fede e ricerca personale e spirituale che pure, indubbiamente, c’è.Sarà una strada da intraprendere con coraggio, impegno, ma soprattutto umiltà, alzando, se necessario, lo sguardo dal proprio orticello in un confronto con parrocchie, comunità o unità pastorali vicine e simili. Non per fare a gara di chi ha un’iniziativa in più o ha più partecipanti, ma per aiutarsi e stimolarsi a vicenda, costruendo un percorso unitario, una Diocesi che si senta, pur nelle sue varietà e sfaccettature, una comunità, un’unica famiglia.
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