Sono ancora attuali le ancone?
18 Novembre 2014
Saluto di Gabriele Gregorat, presidente del Circolo “Don Clemente Corsig; intervento del sindaco di Campolongo e Tapogliano Cristina Masutto; benedizione di mons. Ennio Tuni, che ha esortato a vivere come i santi nella prospettiva della salvezza che viene da Cristo. Così si è svolta una breve cerimonia per lo scoprimento dell’affresco di Giovanni Gabassi, realizzato in un’ancona sulla casa di Giuseppe Marcuzzi, in Via XXIV maggio a Tapogliano.“Quando vennero scoperti gli affreschi nella chiesa di San Martino a Tapogliano, gli esperti austriaci si fiondarono, da Vienna, per venire a cercare. Più volte si è messo mano a restauri; l’ultimo, notevole, essendo parroco don Tarcisio Nardin.Bene, quando Pino Marcuzzi ha espresso il desiderio di un affresco a soggetto sacro sulla sua antica casa, la scelta è caduta su San Martino. L’onnipresente Sant’Antonio da Padova c’era in un’ancona del paese; alla fine del Quattrocento i santi Fabiano e Sebastiano c’erano stati.Proprio nel suo giorno (per la verità l’11 e l’anniversario dei funerali a Tours; lui era morto l’8), San Martino, che già si mostra nel bassorilievo di pietra sulla facciata della parrocchiale, è tornato a parlare in pubblico con questo bel lavoro di Giovanni Gabassi, generosamente offerto da ignoto donatore.A parte la memoria che rimane del Santo, nei detti e negli usi friulani, ma anche francesi, austriaci… è stato scelto San Martino (316 – 397): sì per la presenza insistita nel paese, ma soprattutto per la sua attualità e per la sua carità estrema. L’artista si è espresso, molto opportunamente, con una rappresentazione figurativa nella sua opera, perché il simbolo, nella nostra società, quasi stupefatta dalle immagini, si stenta a cogliere (così non era per la povera gente nei secoli passati), ma ha mantenuto le immagini all’interno di una sobrietà misurata e parlante. Alitato di celeste, l’affresco esprime il senso del divino. C’è la storia del Santo (pannonico, gallico o forse romano…): il suo essere soldato (congedato oltre i trent’anni); il suo essere vescovo, dunque l’elmo e la spada, la mitria e il pastorale e poi la scritta che è storia; l’arcinota divisione del mantello (non è stata ripetuta per questo, ma lasciata al cavaliere col cavallo inarcato). La scritta, “mi hai vestito”, echeggia una citazione evangelica, non cronachistica, ma terribile monito, talché suonano spaventose le notizie dei “non li vogliamo!” (ecco la barca!), orribili e terribili, soprattutto a un popolo di emigrati come noi.San Martino era la povertà, la sobrietà; i suoi monaci non bevevano vino; quando si sentì morire, si fece stendere su di un cilicio e sulla cenere. Era la povertà e la carità, che non è elemosina, ma forma suprema di amore.Per gli usi, è raffigurato uno triste, in voga fino alla prima metà del passato secolo: l’escomio ai contadini, il “Fâ San Martin”, ma poi, nelle immagini, ci sono il riposo dopo le fatiche, i cereali di ultima raccolta, come il mais e l’antico sorgo; il vino, che è ancora fruttato nella sua maturazione, e le castagne che richiamano un fuoco e il calore umano. E Cristo? C’è nell’Agnus Dei che orna il pastorale: il messaggio della salvezza ce lo dà, altrimenti si potrebbe dire con Lodovico Antonio Muratori (“Della regolata devozione dei cristiani”): “Mancando questo può divenir la nostra devozione simile a quei razzi che fanno tanto lume e strepito per aria, e vanno poi a finire in nulla”.Si nota anche un aquila bicipite, simbolo di queste terre, per secoli entro un impero che fu esperimento d’Europa!Sono attuali le ancone, le immagini rivolte al pubblico? C’è chi le dice anticaglia, e chi no. Se realizzate con criterio, con buona mano, come questa, possono parlare ancora. Ricorderò sempre il gesto di una donna che andava abitualmente a Palmanova a sbrigare lavori domestici. Mentre, d’estate, usciva da Porta Cividale, un giorno la vidi levare una mano dal manubrio e togliersi il cappello davanti all’immagine sacra che è ancora lì. Non servono commenti.In questa casa è nato don Antonio Marcuzzi, apostolo nella diffusione della scuola, morto di colera nel 1855 a Visco, dov’era parroco decano; ed è nata qui mia trisnonna Maddalena Marcuzzi, sua sorella, che visse la sua carità come levatrice e “maestra” d’asilo (ambedue le vocazioni trasmesse alle figlie) e che fu madre dell’Arcivescovo Antonino Zecchini nunzio apostolico in Lettonia (quest’anno è il 150° della sua nascita). Di Maddalena conservo il libro di preghiere in friulano, sul quale insegnò a pregare ai figli. Sicché questo San Martino, incredibilmente, ha saputo dove posarsi e continuare il racconto di tante storie di carità, le quali, con una conoscenza consapevole e attiva, possono ancora parlare a noi e al domani”.
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