Infatti Dio ha accolto anche lui (Rm 14,3)
26 Novembre 2014
Nell’Angelus di domenica 16 novembre Papa Francesco, riguardo alle proteste avvenute nel quartiere romano di Tor Sapienza contro un centro di accoglienza per profughi, ha detto: “In questi giorni a Roma ci sono state tensioni piuttosto forti tra residenti e immigrati. Sono fatti che accadono in diverse città europee, specialmente in quartieri periferici segnati da altri disagi. Invito le Istituzioni, di tutti i livelli, ad assumere come priorità quella che ormai costituisce un’emergenza sociale e che, se non affrontata al più presto e in modo adeguato, rischia di degenerare sempre di più. La comunità cristiana si impegna in modo concreto perché non ci sia scontro, ma incontro. Cittadini e immigrati, con i rappresentanti delle istituzioni, possono incontrarsi, anche in una sala della parrocchia, e parlare insieme della situazione. L’importante è non cedere alla tentazione dello scontro, respingere ogni violenza. E’ possibile dialogare, ascoltarsi, progettare insieme, e in questo modo superare il sospetto e il pregiudizio e costruire una convivenza sempre più sicura, pacifica ed inclusiva”.
Dalla Lettera PastoraleUna specifica accoglienza va riservata a chi viene da fuori (il cosiddetto “foresto”), sia che venga da un paese vicino, sia da altre regioni d’Italia o da altre nazioni, perché si senta dei “nostri”. I gesti concreti possono essere il saluto (ad esempio all’ingresso della chiesa), l’informazione e l’invito a celebrazioni, iniziative e feste (che possono assumere un simpatico e significativo carattere di multiculturalità), il coinvolgimento in attività. Se poi è in difficoltà per la sua particolare situazione (penso agli immigrati, ai richiedenti asilo, ai rifugiati), dovrà ancora maggiormente essere oggetto di attenzione da parte nostra con generosità e saggezza. Il fatto che i problemi siano tanti e gravi e che davanti a certe questioni – come quella attuale dell’immigrazione – ci sentiamo impotenti (perché risolvibili o, comunque, affrontabili solo su scala nazionale o internazionale), non ci esime dal vivere ora la carità cristiana che riconosce nell’affamato, nell’assetato, nello straniero, nell’ignudo, nell’ammalato, nel carcerato la presenza di Cristo. Non dimentichiamo che verremo giudicati su questo (Mt 25,31-46). L’accoglienza va assicurata anche a chi non è cristiano perché indifferente o appartenente ad altre religioni. Un’accoglienza, in questo caso, che diventa conoscenza, rispetto, ascolto, dialogo nei modi più opportuni e rispettosi. E, insieme, testimonianza (e proposta, quando ve ne siano le condizioni) della nostra fede. (Dalla Lettera pastorale “Una Chiesa che ascolta e accoglie” n. 60-61)
Questo nuovo Paese sarà casa mia?Dalle lontane Filippine parte Aquino, la sua meta è l’Italia. Scappa da una situazione che potrebbe compromettere la sua vita per arrivare in una città italiana, piccola rispetto a quelle di cui sentiva sempre parlare: Gorizia.Permane per 6 mesi circa presso il CARA di Gradisca d’Isonzo dove la convivenza è spesso dura, ma non desiste, sapendo che dopo il CARA ci sarà la possibilità di entrare in un buon progetto per aiutarlo ad integrarsi.Trascorsi i 6 mesi, nei quali ha imparato l’italiano grazie ai corsi frequentati e ad un periodo di volontariato, entra nello SRAR di Gorizia.Un nuovo inizio pieno di aspettative pronte ad essere gran parte disattese, ma anche buona volontà per ricostruire pian piano la propria vita qui in Italia e poter far venire la propria moglie e figli.Tra alti e bassi, si dà da fare continuando a studiare la lingua italiana convinto dagli operatori che è il primo mezzo per poter entrare nel mondo del lavoro e poter iniziare una vita nel nostro paese. Sempre gentile e disponibile, alle volte un po’ “perso” perché non si ritrova in una cultura che non è la sua e che spesso ha ritmi e principi molto diversi.Vive ogni giorno del progetto ricordandosi che il tempo stringe e che ciò che gli offre l’Italia per aiutarlo a rimanere qui è temporaneo e che deve approfittarne il più possibile. Sembra quasi una lotta contro il tempo, intervallato da momenti di solitudine, perché qui è solo. Ci sono gli operatori del progetto, ma di amici non ne ha ed è difficile conoscere gli italiani. Spesso sono diffidenti con gli stranieri… “Ce la farò? Riuscirò a riabbracciare la mia famiglia? Questo Paese che mi ha accolto, veramente vorrà lasciarmi ricostruire una vita con la mia famiglia? Potrò mai dire che questa è casa mia?”.
La storia di JamelQuesta è la storia di Jamel, un ragazzo fuggito dall’Afghanistan per trovare rifugio in Europa. Jamel è un ragazzo alto, moro molto educato che parla un perfetto inglese.Si fa apprezzare perché cerca in tutti i modi di comunicare con noi direttamente in italiano, ed è ammirevole come una parola storpiata il giorno prima, venga fatta propria e utilizzata perfettamente il giorno successivo.Ho avuto modo di parlare con lui diverse volte e la sua storia è simile a quella di tanti suoi connazionali che si sono rifiutati di collaborare con le milizie talebane, e che perciò sono stati costretti a fuggire, per evitare il credibile pericolo di una vendetta mortale da parte dei suddetti terroristi.Prima di giungere in Italia era stato in Inghilterra, dove aveva presentato medesima istanza di protezione internazionale.Per tale motivo si trova in quel limbo creato dal Regolamento Dublino e dovrà attendere diversi mesi prima di sapere se l’Italia si dichiarerà competente a valutare la sua istanza, o se sarà costretto a rientrare nel Regno Unito.A volte tale attesa è talmente snervante da incidere sulla psiche dei richiedenti asilo, già duramente provata in primis dalle persecuzione subite nel proprio paese, e poi dalle sofferenze patite durante il lungo viaggio per l’Europa.Ma più che sulle ragioni, ovviamente forti ed estremamente pregnanti, che lo hanno costretto a fuggire in Europa, vorrei soffermarmi sull’atteggiamento positivo che lo stesso dimostra quotidianamente durante la sua permanenza al Nazareno.Si è immediatamente iscritto al corso di italiano organizzato per gli ospiti della struttura, e si è prodigato per spiegare ai suoi compagni quanto sia fondamentale nel loro percorso di integrazione l’apprendimento della lingua italiana.Dal primo giorno inoltre si è messo a disposizione di tutti, di noi operatori e soprattutto degli altri ospiti, nell’ambito delle più svariate attività quotidiane.Se c’è bisogno di un aiuto nella distribuzione dei pasti, nell’utilizzo della lavanderia, nelle pulizie giornaliere o semplicemente c’è la necessità di comunicare con persone che non capiscono l’inglese, in mancanza del mediatore, so di poter contare su di lui.A questo proposito Jamel non perde mai occasione di dare una mano, con la sua opera di interprete, neanche alle autorità (ad esempio Ufficio Immigrazione) o agli enti pubblici (azienda sanitaria per le visite mediche) o durante le attività ludico ricreative (ad esempio per il corso di teatro a cui hanno partecipato alcuni richiedenti) quando ce ne sia la necessità.La cosa importante è che lui percepisce questo rapporto di fiducia reciproca e questo lo rende ancor più motivato nel fornire il suo personale contributo che per me è fondamentale, anche perché sono consapevole che è un aiuto totalmente disinteressato.Ovviamente Jamel ha in mente un suo percorso qui in Italia e questo è per lui la cosa principale, ma sa che “ricevere il documento” non è tutto se si desidera davvero integrarsi nel nostro paese.Serve che alla base ci sia un atteggiamento realmente finalizzato a costruire delle relazioni forti con il territorio che accoglie perché solo così, pur mantenendo giustamente la propria mentalità, si potrà in futuro far parte di quel territorio e nutrire della fiducia incondizionata delle persone che quel territorio già lo abitavano.Sono contento di poter ospitare un ragazzo in gamba come lui.Credo che se si conoscessero meglio persone come Jamel (e durante la mia esperienze posso affermare di averne conosciute davvero tante) si potrebbero superare molto più facilmente quei fastidiosi pregiudizi che sanno solo dividere e distorcere la realtà.
*responsabile del centro di accoglienza “Il Nazareno“
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