La semplicità della fede

Un pellegrinaggio intensissimo ci ha coinvolti nei giorni 13 – 16 ottobre incontro a San Francesco, Santa Chiara, Santa Rita da Cascia e infine con la visita alla casa di Maria a Loreto.Occasione unica per varcare la porta dei santuari che ne conservano le spoglie e la memoria e rinforzare la nostra fede. Cinquantatre pellegrini, guidati dai responsabili dell’Unitalsi assieme a otto carrozzine per portatori di handicaps. In ascolto della Parola di Dio, per conoscere San Francesco e Santa Chiara, ammirarne la vita, chiedere la loro intercessione. Giorni pieni di emozioni i primi due del pellegrinaggio per la maggioranza dei pellegrini che per la prima volta arrivavano ad Assisi per conoscere Francesco, per cercare di intuire come il giovane assisiate ha cercato di sottrarre la sua esistenza all’oscurità, alla banalità, al non senso, alla preclusione di una speranza che travalicasse il confine inesorabile della morte.A San Damiano, grazie alla parola di un giovane frate minore, abbiamo risentito le parole del Crocifisso a Francesco: “Va, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina.” Parole che il fraticello ci ha chiesto di portare con noi, perché sempre attuali nella vicenda terrena della Chiesa.Nella Basilica di San Francesco, guidati da Padre Egidio, un conventuale molto esperto di arte, di storia e di spiritualità francescana, abbiamo trascorso tutta la mattinata tra gli affreschi di Giotto e di Cimabue, in preghiera davanti alla tomba del Santo e nella Santa Messa nel Sacro Convento.Credo che il momento più bello ed emozionante sia stato proprio nella cripta che conserva i resti mortali del Poverello, dove, nel silenzio abbiamo convertito in preghiera personale di lode tutte le sensazioni provate nell’ascolto delle meraviglie compiute dallo Spirito sul giovane di Assisi.Non minore la gioia davanti al crocifisso di San Damiano conservato nella Basilica di Santa Chiara e in ginocchio presso la sua tomba. La gioia è stata piena perché hanno condiviso con noi i vari momenti anche quanti erano sulle carrozzine, grazie alla disponibilità di Renzo e di Fulvio che si sono fatti carico, insieme all’autista Nicola, dei vari spostamenti.Il pellegrinaggio è continuato visitando la Porziuncola e nei giorni successivi Cascia e Loreto. Una arida cronaca non è capace di esprimere la gioia della condivisione, la semplicità della fede, la cordiale accoglienza di quanti stavano vivendo questo viaggio della fede.Abbiamo sperimentato, grazie all’Unitalsi, quanto ci hanno risuonato in quei giorni le parole del Santo di Assisi:”Onnipotente, santissimo, altissimo e sommo bene, ogni bene, sommo bene, tutto il bene, che solo sei buono,fa che noi ti rendiamo ogni lode, ogni gloria, ogni grazia, ogni onore, ogni benedizione e tutti i beni. Fiat! Fiat! Amen.

Un pellegrino

Dolore e sofferenza possono trasformarsi in felicità

  on il viaggio verso Assisi, l’Unitalsi di Gorizia non si è spostata di tanto: è andata incontro a se stessa. Assisi non è un luogo facile, né per il modo in cui si impara ad accogliere Dio, né tantomeno per la fatica che impongono quelle colline così meravigliose. Ma nemmeno l’Unitalsi è un’associazione facile, poiché mostra come trasformare il dolore in immensa gioia. Assisi e l’Unitalsi si sono dunque incontrate, e per tre giorni sono coincise, si sono sovrapposte, entrambe con lo stesso scopo e lo stesso atteggiamento. Come insegnava San Francesco – e come l’aveva provato lui stesso – la vita non è certo fatta solo di gioia: esistono anche il dolore e la sofferenza. Ma questi stessi si trasformano in gioia, sono già una felicità che non si è ancora manifestata, e possono diventare, per così dire, il carburante della felicità. Proprio San Francesco scriveva nella sua Regola, la carta costituzionale di ogni francescano: ” E ciascuno manifesti con fiducia all’altro le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale, con quanto più affetto uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale? E se uno di essi cadrà malato, gli altri frati lo devono servire come vorrebbero essere serviti”. È da qui che il male si tramuta in bene, è di fronte all’aiuto con il quale ogni uomo e donna che non riesce a vivere nella contentezza del creato deve poter avere, che si può assistere alla rinascita di ogni uomo al mondo della felicità. Durante i giorni trascorsi ad Assisi – ma anche a Cascia e a Loreto, altri due luoghi spiritualmente e geograficamente non facili – le difficoltà si sono manifestate, e si sono aggiunte ai dolori che ciascuno di noi ogni giorno porta con sé. Ma è stato proprio dal cuore di ognuno degli unitalsiani che è scaturito quell’aiuto che ha trasformato una lacrima in un sorriso. Che il male sia necessario alla sopravvivenza del bene, è un dilemma che perseguita l’umanità fin dalle sue origini. Ma che esista la possibilità di trasformare ogni tristezza in un momento di gioia, è merito solo di coloro i quali hanno accolto dentro di sé l’insegnamento di Cristo e l’esempio di San Francesco. Le parole a volte tuttavia non bastano a spiegare che cosa significhi la rinascita della gioia dopo la notte del dolore: la sofferenza narrata, è spesso solo una vaga immagine. Quel che si può raccontare infine, ricordando quei tre meravigliosi giorni di pellegrinaggio, è una metafora, vissuta e capita da tutti gli unitalsiani. Come tutti sanno, raggiungere il luogo dove riposa San Francesco non è un’impresa facile: bisogna innanzitutto raggiungere la Basilica Inferiore, salendo un pendio. Poi però bisogna scendere una lunga scalinata buia e stretta, che conduce esattamente davanti alla tomba del Poverello. Se già per una persona che non sia più nel fiore dell’età, questo può sembrare un affare faticoso, con le sedie a rotelle da trasportare la questione è diventata una vera e propria impresa. E da lì sotto giunge poi la necessità di uscire e ritornare all’aria aperta: tutto ciò si fece, e ci rese soddisfatti, ma con quanta fatica? Scendere nell’abisso sotto terra, e poi risalire, e vedere negli occhi della gente – ammalati, anziani ma anche giovani – il sorriso e la felicità, è un po’ la parabola di San Francesco e anche dell’Unitalsi. Capire cosa ci sia nell’abisso, scendere per affrontarlo, ma uscire poi, mano nella mano, con la felicità negli occhi. Ecco la sofferenza trasformata in felicità.

Alessandro