Dentro ai fatti per fare opinione: trasformare la notizia in pensiero
1 Dicembre 2014
“Il giornale cattolico, come ogni giornale, è innanzitutto informativo: da le notizie nel modo più rapido, più preciso, più ampio possibile…Ma il giornale cattolico non è solo informativo; esso è anche intenzionalmente formativo. Cioè tende a classificare fatti e problemi al confronto con principi ideali, a giudicarli, a renderli pensabili e riferibili, a tradurli così in elementi attivi di opinione pubblica. Questa trasformazione della notizia in pensiero è il compito precipuo del giornalista; e se il giornalista è cattolico l’informazione apparirà permeata di senso e di sapore cattolico, diventerà idea cattolica fusa nella notizia, ossia nella vita vissuta. L’idea tradotta in parola, la parola in stampa, la stampa in giornale, il giornale in irradiazione pubblica lanciata alla più larga diffusione e distanza possibile. Il giornale diventa veicolo di notizie e di idee…”. (card. Giovanni Battista Montini, 1962)Il cammino del giornalismo viene da lontano; un ruolo tutto speciale riguarda al giornalismo che non può che essere militanza – senza essere per questo di parte – in tempi di così grandi trasformazioni e alla vigilia di un appuntamento europeo che pur essendo solo elettorale è destinato a segnare il futuro, almeno quanto è accaduto venticinque anni fa, cioè nel magico 1989, quando il muro di Berlino crollava. E chi è stato testimone sa bene che, fino alla vigilia tutto sembrava immutabile, mentre solo poche ore dopo tutto era cambiato e definitivamente. Bene ha fatto la direzione nel ricordare che il cinquantesimo di “Voce Isontina” è strettamente legato al punto di nascita del “giornale della Chiesa locale goriziana”, quel 1872 in cui vede la luce prima “Il Goriziano” e poi “L’eco del Litorale”.Una nascita che si univa ad altre iniziative editoriali che venivano ad allietare numerose regioni e Chiese locali di un vasto territorio europeo che comprendeva il nord e il sud del centro Europa, allargandosi a macchia d’olio anche in altri territori. Una comunità, un foglio o un giornale; un’ideale, un pensiero, un progetto, una voce per comunicarli e per sentirsi parte e per condividere in particolare le esigenze dei meno fortunati, dei poveri nel mondo.Questo tragitto – coperto a volo d’uccello e senza riferimenti che non siano proprio quelli degli inizi del giornalismo nostrano e in specifico di quello “popolare” nel senso proprio del popolo di Dio – resta per tutti emblematico.La costruzione e l’evoluzione della società è accompagnata dal giornale in mano, dalla capacità di informarsi e di capire – attraverso la mediazione degli esperti della comunicazione – i tempi nuovi, di dare vita nuovi modelli partecipativi che abbiano al centro la conoscenza e la diffusione delle notizie. Per il giornalismo espresso dal mondo cattolico era ed è solo una felice intersecazione delle notizie e della “buona notizia” del vangelo, in un dialogo confronto destinato ad essere cementato da testimonianze credibili.Le gazzette della fine Ottocento hanno trovato un ineguagliabile vitalità proprio dentro al mondo cattolico o alla società organizzata delle leghe e delle cooperative: esempi preclari sono tra di noi ma anche nel sud del Paese.Tanti anni fa, sceso ad Agrigento per tenere un corso ai giovani colleghi dei settimanali diocesani animati da un campione di sicilianità e di fede insieme come don Inserra, fra i gadget consegnati ai partecipanti e relatori, ho trovato una storia di giornalismo in quelle terre (ed in particolare in quella di don Luigi Sturzo e del fratello vescovo) una encomiabile storia di giornalismo. Giornali in ogni comunità, amici del giornale che andavano a leggere il giornale nei casali radunando alcune famiglie insieme, genitori e figli diventare lettori tramite altri. Informare, tenere uniti e costruire domani, ecco il progetto del giornalismo.Un progetto che – nel tempo – ha trovato ispirazioni diverse e anche letture diverse: da noi è riscontrabile tutta la militanza dei tempi di Faidutti e Bugatto – anche le lotte fratricide del primo con don Adamo Zanetti – in un crescendo di fervore. Fino a portare alla differenziazione dei giornali con la nascita del giornale della confederazione delle cooperative e poi anche del partito. Una ricchezza, anche di mezzi, che in altre epoche non si ripeterà.Un progetto che, nel ventennio, dopo la grande guerra, troverà stagioni di grande fatica e di non poca acquiescenza all’unica voce, quella del capo e padrone. Inginocchiamenti e silenzi, speriamo non anche qualche motivo di collusione, che portarono alla fine tragica non solo del giornale ma anche di una traumatica vicenda della storia della diocesi e della comunità del Goriziano. Il tradimento dei padri, insieme con il nefasto della prima e poi della seconda guerra, con il contorno di vicende su un confine imposto, ha sempre un prezzo.La rinascita del giornale diocesano – prima con l’esperienza singolare di collaborazione con la “Vita nuova” (1948-56) che noi vedevamo tra le mani dei nostri sacerdoti e dei vecchi cristiani di Paese (e della quale poco o niente si è conservato) – ha avuto stagioni diverse che evidenziano come la riconquistata democrazia, poneva evidente la necessità di un organo credibile di informazione, ma i tempi erano gravosi a causa dei tagli di territorio ma anche di prospettive e di chiusure, dalla disabitudine alla iniziativa e dalla condizione di povertà e miseria. Una crisi di idealità e di senso, che solo il ritorno delle grandi idealità europee – per quella Europa del popoli che era stata comunque nella visione dei popolarismo cattolico con diversità regionali sì, ma con un unico anelito e ideale- poteva dare risposte convincenti.L’ideale era l’unità dell’Europa, culla di civiltà e del cristianesimo (anche se diviso), nella ricerca di una garanzia per la pace e lo sviluppo che avesse un senso e una prospettiva soprattutto dopo la tragedia della “inutile guerra” e della altrettanto tragica seconda guerra mondiale. Ideale forte di Europa che non può che rispondere anche all’impatto con i tempi che verranno: tempi nei quali l’informazione – quella appunto che sa essere militante senza essere di parte (nel senso che a cuore il bene comune) – continua ad avere un ruolo decisivo. I nuovi media – passata l’euforia tecnologica – hanno bisogno di “mediatori” che siano in grado di agevolare la lettura e la comprensione dei fatti e degli eventi alla luce di quella buona notizia che, proprio perché buona e notizia, è di per se garanzia di futuro insieme. Una grande idealità per la quale occorre spendere e spendersi, anche come comunità ecclesiale, non sempre attenta e sensibile a quanto riguarda i mass media. Quanti ci leggeranno, fra cento anni, avranno ragioni come noi per festeggiare. Una notizia, un pensiero, un progetto, un impegno.
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