Gli inizi di “Voce Isontina” nella storia della cultura goriziana
1 Dicembre 2014
Il settimanale goriziano “Voce Isontina” è venuto a inserirsi in modo eccellente nella storia della stampa periodica goriziana, di per sé intensa, variegata e feconda da più di un quarto di millennio, come si è già potuto osservare (Nella storia dei periodici goriziani, “Borc San Roc”, 21, 2009, pp. 34-45).I precedenti da un lato possono essere colti nella vivacità e nell’intensità dell’attività giornalistica goriziana tra la fine dell’800 e i primi tre decenni del Novecento, e dall’altro trovano riscontri pertinenti, dal punto di vista cattolico, nel “Goriziano” (1871-1872), quindi nell’”Eco del Litorale” (dal 1873 al 1918) e infine nell’”Idea del popolo” (1920-1945): in parallelo, dal 1949, era edito il “Katoliški glas”. Se si considerano gli anni in cui uscirono questi periodici, si può comprendere il valore della documentazione che vi si può attingere sia per conoscere la vita culturale del Goriziano, sia per scoprire gli orientamenti che vi vennero suggeriti, in modo particolare nei tempi più drammatici che, soprattutto dopo la “guerra mondiale”, portarono alla dispersione dei più alti valori civili ed etici, anche in senso identitario.A questa rappresentatività in senso storico e programmatico, “Voce Isontina” è venuta a fornire dati ed elementi per ricostruire la vita culturale e sociale del Goriziano dal 1964 in poi. Nel raggiungimento di questa funzione si deve tenere conto dello slancio dinamico che i cattolici isontini hanno espresso e vissuto dagli anni Cinquanta del Novecento in poi, specialmente per merito di associazioni, tra le quali spiccano “Stella Matutina” e il Centro studi politici, economici e sociali “Antonio Rizzatti”. Rispetto alla grande quantità e varietà di testate che, con un vibrante pluralismo di voci e di orientamenti, uscivano a Gorizia prima della “grande guerra”(oltre a quattro quotidiani, Gorizia pubblicava allora dodici periodici con cadenza inferiore a due settimane), si constata dopo cinquant’anni, con pungente rammarico, lo spegnersi di tante voci e di tante aspirazioni già sostenute con energia e con forza di argomenti: con l’uscita di “Iniziativa Isontina” (1959) e poi di “Voce Isontina” si riproposero programmi e idee da cui la gorizianità potesse riprendere la sua vita; non si cedeva a ripiegamenti, in fin dei conti tristi, se non banali, e non si pensava a frammenti di verità e di visioni, spesso contrastanti, ma si sollecitavano discussioni accese, pur sempre capaci di animare convinzioni e attività in campi disparati e con voci appunto plurime.Tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 si schiarì l’orizzonte goriziano con impegni politici e culturali e soprattutto con la volontà, finalmente esplicita, di superare le chiusure nazionalistiche e di riproporre la conoscenza e il modello della gorizianità più autentica, che era rimossa ormai da decenni, soprattutto perché troppo impegnativa in modo particolare nei rapporti con quegli “altri”, che pure lungo molti secoli avevano concorso a comporla con esiti tanto singolari.L’azione di ripudio e insieme la malcelata coscienza di un’eredità fatta di valori alti nei primi anni dopo il 1918 poterono offuscare e mettere in crisi quell’identità goriziana al di fuori e al di sopra di forme di pigra nostalgia, attraverso il coinvolgimento delle coscienze e delle intelligenze più acute. Nella crisi del primo dopoguerra fu rifiutata e rinnegata ogni componente che non sembrasse utile alla definizione di una città da sempre semplicemente italiana o, anzi, “italianissima”. Si sono già raccolte fonti per quegli anni (Gorizia nel 1919 e oltre, in S. T., Da Aquileia a Gorizia, Trieste 2008, pp. 427-458; v. anche ibidem, La cultura goriziana tra il 1945 e gli anni ’90, pp. 459 ss.).Da premesse di questo genere, fatte di scoperte filtrate attraverso una coscienza di nuovo sensibile e aperta, presero le mosse i giovani del Centro “Rizzatti” e quindi i collaboratori di “Iniziativa Isontina” e poi coloro che trasmisero quelle visioni anche nelle pagine di “Voce Isontina”.I “benpensanti” sorridevano con sufficienza davanti a quelle proposte giudicate utopistiche e troppo tolleranti verso il mondo di ieri, verso le componenti austriache e slave, ma era più aspra l’irritazione davanti a proposte che si discostavano dai miti nazionalistici che avevano trionfato da mezzo secolo rinnegando la reale immagine storica di Gorizia.Tra gennaio e febbraio del 1964 fu raccolto un numero ristretto di collaboratori in vista di interventi che spaziassero in settori diversi, per lo più con attenzione a nuove scoperte, a riscoperte di temi e di progetti, ma principalmente con idee e scelte di largo respiro, capaci di suscitare interessi e tensioni culturali impregnate di eticità, al di fuori di facili qualunquismi e di pragmatismi sbrigativi. Si ergeva sul fondo e nello stesso tessuto sociale goriziano un clima fervente, sia attraverso le associazioni già ricordate, sia attorno ad altre forme associative, come il Circolo per la libertà della cultura o come il Centro cattolico di cultura (ambedue avviati nel 1960). Si inseriscono poi in questa storia alcuni periodici che uscivano allora a Gorizia, tra cui “L’arena di Pola”, il “Goriški glas”, la “Goriška srecanja”, “Iniziativa Isontina” e soprattutto quegli “Studi Goriziani” che, nati nel 1923, avevano acquistato nuova vita dal 1948 in poi; dal 1974 sarebbe uscito un annurio goriziano in lingua slovena, il “Goriški letnik”.”Voce Isontina” apparve dunque come effetto di un clima fecondo e addirittura severo e, nello stesso tempo, divenne fattore e strumento per approfondire e per divulgare idee e proposte nuove, sia pure sulle solide basi “antiche” ma durature, con valore assoluto, che stavano maturando. Le firme e le sigle (com’è stato ricordato da don Renzo Boscarol nel primo numero del marzo di quest’anno) ricordano la quantità di collaboratori autorevoli purtroppo scomparsi ma anche la grande varietà di temi affrontati in campi diversissimi.Nel primo numero, del 16 febbraio 1964, fu delineato il programma del settimanale chiedendo e insieme assumendo un “impegno che vuole essere un aiuto indispensabile per un compito di testimonianza e divulgazione serena delle idee, provocando e chiedendo un dibattito con la precisazione di cose sostanziali in una visuale non costretta dal tempo e dalle contingenze”. Fin dall’inizio furono affrontate e fatte conoscere piccole e di preferenza grandi cose, non di rado con rimandi a modelli precedentemente già sperimentati: si sentiva la necessità di stimolare le conoscenze (anzitutto di se stessi) su basi documentate e spesso poco note, mettendo in risalto i valori storici e i significati culturali ma evitando, per quanto possibile, la facilità del risaputo, anche se questo poteva (e può ancora) tornare più facilmente gradito.In quegli anni, con un momento culminante nel 1966, Gorizia e il Goriziano avviarono e vissero una stagione feconda nelle sollecitazioni e nella coincidenza con eventi animati da visioni lucidamente aggiornate e da scoperte e aperture capaci di rinnovare la coscienza della stessa identità.Era allora intensa la vita musicale, imperniata sulla Fondazione musicale Città di Gorizia (1964) ma aperta a grandi e lungimiranti prospettive, tra le quali il Concorso internazionale di canto corale “A. C. Seghizzi” (dal 1962 in poi) e non meno vivaci e costruttive erano le manifestazioni nel mondo delle arti: nel 1966 si organizzò la mostra su Giuseppe Tominz e il Comune pubblicò una monografia di Marco Pozzetto su Max FabianiStorie di preti isontini internati nel 1915 (1969) e I cattolici del Friuli orientale nel primo dopoguerra (1972): in tal modo quei periodici precisavano la loro funzione mediatrice e concorrevano a far conoscere una storia tanto a lungo trascurata.Nel maggio dello stesso 1966 “Voce Isontina” curò la cronaca del primo Incontro culturale mitteleuropeo, che vide raccolte nel castello di Gorizia molte e grandi personalità di sei paesi centroeuropei, tra le quali Carlo Betocchi, Enrico Falqui, Mario Luzi, Claudio Magris, Biagio Marin, Andrea Zanzotto; il convegno festoso culminò nel discorso che proprio nel castello di Gorizia pronunciò Giuseppe Ungaretti, ritornato sul Carso cinquant’anni dopo avervi combattuto e sofferto la disumanità della guerra: a Gorizia quelle pagine dovrebbero essere diffuse anzitutto nelle scuole.Alla “grande guerra” con un ripensamento responsabile si ispirò, proprio nel 1966, Vittorio Silvestri con uno spettacolo teatrale La maledetta-santa (Gorizia 1916), che, come altre manifestazioni responsabili, suscitò reazioni intolleranti, com’era già avvenuto del resto in altre circostanze, ad esempio per il concorso “A. C. Seghizzi” che premiò uno coro di Lubiana.In “Voce Isontina” del 25 giugno 1967 (Da riscoprire cinquant’anni dopo il sacrificio delle nostre genti) si è proposto di ripensare con serietà a quella guerra e si sono indicate le iniziative utili in questa direzione: sono considerazioni che oggi traspaiono vivamente attuali. La riscoperta degli orizzonti centroeuropei, in cui Gorizia era stata compresa per moltissimi secoli, non piacque a tutti: Udine rivendicò per Gorizia esclusivamente il suo volto friulano, mentre Trieste la voleva semplicemente italianissima, superlativo che nessun’altra città d’Italia pensa di attribuirsi.
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