Un giornale di battaglia
2 Dicembre 2014
Sì, c’ero anch’io quel giorno, quando dalle vecchie gloriose testate del giornalismo cattolico goriziano nacque “Voce Isontina”.Cercavamo spazio per un progetto di presenza forte nella cultura e nella pubblica opinione, un progetto che sognavamo realizzabile insieme all’arcivescovo di allora, mons. Andrea Pangrazio.Non era soltanto una voce giornalistica di cattolici che camminavano sulle nuove strade della Chiesa e della società che mancava; mancava un luogo spazioso di incontro della Chiesa locale, di discussione politica libera; mancava, nonostante il valore di “Voce diocesana” che andavamo a sostituire, un giornale di respiro culturale, di rilettura della storia al di fuori degli schemi celebrativi e retorici che dilagavano come consuetudine intoccabile; un giornale di educazione al dibattito, di affronto in termini positivi di problemi etnici e delle lingue, della tradizione e della storia di tutti e delle singole comunità. Era un sogno preconciliare che chiamava gli intellettuali, non solo cattolici, a raccolta intorno al passato, ma guardando avanti. Avere, insomma, un giornale di confronto e di semina di una nuova coscienza collettiva.Quando, pochi anni dopo, venne il vescovo Pietro Cocolin a raccogliere questa eredità di indirizzo, l’appartenenza del vescovo alla nostra terra, la sua esperienza pastorale nelle varie parti dell’arcidiocesi, la sua conoscenza delle lingue e delle culture friulana e slovena, quella sua anima sensibile e generosa, tutto si riversò in bene nella volontà di far crescere il giornale, di dargli ruolo incisivo nella comunità. Fu un nuovo salto all’insù, di scavo, di scoperta; la popolazione ne faceva punto di orientamento. Il giornale era atteso, era discusso; gli intellettuali ed i politici, anche lontani e laici, ne tenevano conto, pur in dissenso.Erano forse tempi di maggiore dialettica e discussione sui problemi di una società che cambiava in fretta. Ricordo questi come i tempi d’oro di un giornale franco, combattivo, costruttivo. E il dire pane al pane era scomodo, inviso talvolta ad un potere politico che s’era abituato all’elogio.Mons. Cocolin andava più in là del giornale con il suo progetto: voleva che si realizzasse quel grande cuore della cultura cattolica che doveva essere il seminario maggiore ristrutturato e che doveva assumere per simbolo e bandiera l’alta e coraggiosa figura del vescovo Luigi Fogar, con tutto quello che questo nome doveva significare su una frontiera ideale. Se ne stava riorganizzando la biblioteca, si volevano concentrare nel palazzo rinnovato le attività pastorali, missionarie, del volontariato e della cultura in tutte le sue espressioni. Il tempo, poi, ha fatto preferire altre strade ed il sogno si è arrestato a metà.”Voce Isontina” ha continuato a maturare ed a perfezionarsi anche nelle tecniche grafiche, nel formato, nell’aumento delle pagine. Ma è a quel passaggio, a quella maturazione di qualità che merita oggi riandare col ricordo.A quegli anni difficili in cui tumultuavano quotidiane le memorie sinistre della guerra, i rancori etnici, i residuati di una lotta politica che doveva rimanere aspra per anni, le rovine del confine, l’emarginazione rispetto all’Europa; era anche il tempo in cui si andava a vincere la battaglia per l’autonomia regionale e si superava nella convivenza e negli accordi di confine una situazione arrugginita da troppi anni di separazione. E con le aperture di confine si delineavano nuove dimensioni di cooperazione: la regione alpino adriatica, con la Carinzia e la Slovenia, e la speranza dell’Unione Europea. All’interno nostro premevano i problemi dell’economia con continue crisi. Si stava attraversando la fase di trasformazione di una civiltà agricola ed industriale; un passaggio che nel Goriziano aveva scarsi approdi e risorse, proprio per l’emarginazione. La riduzione dei grandi complessi industriali, il Cotonificio, i Cantieri di Monfalcone, le aspre lotte operaie di quegli anni, il vescovo Cocolin in Piazza Grande con gli operai, hanno visto colonne appassionate sul settimanale. Ed anche incontri vivaci sui temi della politica, compreso qualche scontro con il Palazzo, specie sulle strade di sviluppo, sulle megastrutture di confine.La linea del giornale era per un confine aperto, di scambi e di contatti nel solco di una tradizione che puntava alle ragioni storiche, alla cultura, all’università, al porto di Monfalcone, al turismo e all’agriturismo, in uno sviluppo che anche urbanisticamente fosse rispettoso dell’ambiente e delle comunità esistenti. Lo scontro con il Palazzo fu violento quando non si accettò l’urbanizzazione selvaggia del territorio ed opere in disarmonia con il progetto ed i ruoli dell’area dio confine. L’invasione dei campi per i piani edilizi, specialmente a Gorizia, con lo snaturamento delle piccole comunità con complessi abitativi abnormi, con spostamenti di popolazione e di servizi, con disagi ovvi, provocò una delle più accese battaglie di contrarietà di “Voce”, che sosteneva invece il ripristino abitativo dei centri storici che venivano lasciati in abbandono. Incomprensione ed apatia trovò la “Voce” anche nell’appassionata difesa della ricchezza delle lingue e delle culture etniche.La riscoperta della storia negata, dalla prima guerra a Faidutti, ai popolari, dal fascismo alla resistenza, ebbe in “Voce Isontina” quasi l’unico canale attraverso il quale anche le nuove generazioni poterono apprendere la storia del passato recente e meno recente della loro terra. Tutto è ormai ricordo. Vi sono dibattiti che non sono ancora oggi completamente assorbiti e rifluttuano continuamente.Ma si voleva rivedere qualcuna delle pagine di questo percorso di un giornale che, settimana dopo settimana, è stato presente nell’opinione pubblica del Goriziano con coraggio e franchezza, con spinte ideali, spesso quasi solo, a muoversi al di là della cronaca per fare cultura e storia, per dare valore alla ricchezza umana di una terra, per dare senso e progettualità all’acceso dibattito di un tempo compromesso da un secolo di asprezze politiche e di eventi bellici.Forse rivediamo questo trentennio con un po’ d’ambizione anche: lo affidiamo, non senza trepidazione, alla memoria storica; sei lustri che segnano soprattutto il passaggio alla maturità civile e democratica, che segnano importanti eventi storici (si pensi solo alla nascita della repubblica autonoma di Slovenia) e che ci lasceranno anche il ricordo amaro della crisi di valori, delle delusioni politiche, dei tradimenti di quest’ultimo tempo, con riverberi all’indietro che riaprono i grandi problemi morali e ideali della politica e chiamano ancora e di nuovo il giovane giornalismo goriziano a dar voce a questa tribuna con cui farsi partecipe costruttivo della nuova storia.
Voce Isontina, Sabato 19 marzo 1994
*Giornalista, poeta e scrittore, Celso Macor (1925-1998) è stato una delle firme più apprezzate di Voce Isontina sin dall’uscita del primo numero. Dal 1979, per oltre 15 anni, ne è stato anche Vicedirettore.
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