Consolate, consolate il mio popolo (Is 40,1)

Quante persone o famiglie impoverite dalla crisi economica hanno bisogno della solidarietà e della vicinanza della comunità cristiana e della società civile per riuscire a credere ancora nel futuro.In questo Avvento moltiplichiamo i gesti di solidarietà e di accoglienza all’interno delle nostre comunità parrocchiali affinché sia Natale per tutti.Dalla Lettera PastoraleAnzitutto quella delle famiglie che vanno conosciute e accolte. Nella tradizione cristiana, ancora accettata nonostante la mentalità individualistica e il clima di insicurezza (spesso indotto) oggi diffusi, c’è la bella usanza della visita e benedizione delle famiglie nel tempo pasquale. È un modo per vivere una reciproca accoglienza come quella tra Gesù e Zaccheo: io, parroco (o sacerdote o diacono o religiosa o religioso o anche laico incaricato dalla comunità), ti manifesto l’accoglienza della comunità cristiana venendoti a trovare dove abiti nel nome del Signore e tu mi dimostri la tua accoglienza fiduciosa aprendomi le porte della tua casa. Si tratta di un’usanza da non lasciar cadere, perché può essere un’occasione di vera accoglienza e di conoscenza (anche di malati, di situazioni difficili e di bisogno) e può essere l’avvio di un rapporto costruttivo con le persone. Occorre trovare la modalità giusta (circa gli orari in cui andare per trovare le persone, il preavvisare per tempo, ecc.). Può costare fatica e impegno, ma è un gesto di autentica missionarietà, di una “Chiesa in uscita” perché permette di accostare tutti (almeno quelli che lo accettano) e di fare in modo che il parroco e i suoi immediati collaboratori non si chiudano nel solito stretto giro di persone. Per la sua importanza può essere necessario anche modificare gli orari delle messe feriali e lasciar cader qualche altro impegno meno significativo. Da parte mia ho intenzione nel tempo pasquale di visitare qualche famiglia di alcune parrocchie della diocesi per richiamare l’importanza di questo gesto. (Dalla Lettera pastorale “Una Chiesa che ascolta e accoglie” n. 59)Ma la miseria è uguale dappertutto? “Ma la miseria è uguale dappertutto?”. La domanda lo perseguitava da 17 anni, da quando cioè aveva lasciato il Marocco per venire in Italia a cercare qualcosa di meglio per sé e per la sua famiglia. Aveva infatti trascinato in questa avventura anche la moglie e i due figlioletti che lo avevano raggiunto dopo un paio di anni. Faceva il carpentiere ma si adattava a tutto.Era riuscito a stare lontano dai brutti giri e da chi gli prometteva facili guadagni se avesse fatto ciò che gli si chiedeva.Viceversa aveva conquistato la fiducia di un piccolo impresario edile che dopo un periodo di “prova” in nero lo aveva perfino regolarizzato dal punto di vista contrattuale e previdenziale.”La miseria – ragionava in quel periodo in cui ai figli riusciva anche a comprare qualche giocattolo – non è uguale dappertutto. Qui, in Italia, si sta decisamente meglio!” E il pensiero tornava in Marocco senza alcuna nostalgia per i luoghi ma con il magone per la lontananza dalla vecchia madre e dai fratelli.La moglie casalinga, i figli a scuola, riusciva a pagare l’affitto e stava anche risparmiando con l’idea di comprarsi una macchina, oggetto simbolo di un certo benessere. Poi la svolta.I cantieri edili sono sempre di meno, il suo datore di lavoro lo molla da un giorno all’altro, anche molti suoi amici e compaesani perdono il posto e come lui si infilano nel tunnel della disoccupazione.Non c’è lavoro ma le bollette di luce e gas arrivano lo stesso con la minaccia, dopo i primi ritardi nel pagamento, di tagliare le utenze. La depressione e lo sconforto sono dietro l’angolo, i figli sono ormai abituati agli agi occidentali e pretendono la “paghetta” e lo zainetto alla moda.Il tarlo se questa miseria improvvisa è uguale a quella atavica del Marocco riprende a girare. Inizia la trafila e l’anticamera per la richiesta di aiuto.Si accorge che in questa miseria c’è anche la solidarietà, che qualcuno ti può aiutare, anche solo un poco, a pagare i debiti ma soprattutto a non darti per vinto. Bussa alla porta della Caritas dove al centro di ascolto trova attenzione, dopo qualche aiuto accetta anche di essere inserito nel progetto “Famiglie in salita” e riprende a fare qualche lavoro.Si fa conoscere in una ditta di traslochi il cui titolare apprezza la sua volontà e le sue capacità lavorative e lo assume. Forse è uno dei pochi che è riuscito a uscire da quel brutto tunnel ma sicuramente è un valido esempio per chi continua a chiedersi se proprio valeva la pena di venire a Gorizia.