Accoglienza e solidarietà
12 Dicembre 2014
Agli inizi del Novecento l’area di Monfalcone attira l’attenzione di intraprendenti imprenditori e quello che è poco più di un paese di contadini e pescatori si avvia a diventare, pur attraversando la tragica esperienza di due guerre, un significativo polo industriale. La storia, le dominazioni, i cambiamenti dei confini hanno messo a contatto, non sempre pacifico, in questa parte orientale della penisola italiana i mondi latino, germanico e slavo. Lo sviluppo industriale, in particolare la presenza del cantiere navale, ha portato a Monfalcone lavoratori e dirigenti dall’Istria, dal Carso italiano e sloveno, dal Friuli, dal Veneto e da regioni del Sud Italia, soprattutto da Puglia e Campania. Negli ultimi anni è salita in modo significativo la presenza di lavoratori dai Paesi balcanici e dal Bangladesh. Che cosa è la Monfalcone di oggi se non il risultato, non senza contraddizioni e difficoltà, di tutti questi arrivi che nel corso di un secolo si sono susseguiti portando nuove identità a mescolarsi con quella dei nativi ’bisiachi’? ’Mescolarsi’ perché non sempre l’integrazione è riuscita. Anzi, negli ultimi anni le difficoltà sono aumentate perché alle differenze culturali si sono aggiunte quelle religiose, di lingua e di consuetudini sociali. Se a tutto questo aggiungiamo che l’attuale crisi economica sta portando a nuove povertà tra gli stessi abitanti della città e del mandamento, abbiamo un quadro che pone grandi interrogativi a chi amministra questo territorio, ma anche alla comunità cristiana che in esso vive chiedendosi quale possa essere la traduzione concreta dell’accoglienza e della solidarietà. Le attività dei servizi sociali degli enti pubblici, della Croce Rossa, della Caritas, alle quali offre un significativo contributo anche qualche imprenditore privato, cercano di dare una risposta alle emergenze: cibo, vestiti, salute, un tetto sotto il quale dormire. L’apertura, accanto alla chiesa della Marcelliana, di un punto di accoglienza per la notte, è, in ordine di tempo, l’ultima delle risposte che la comunità cerca di dare in una situazione che evidenzia la presenza crescente di senzatetto. Parlare oggi a Monfalcone di accoglienza e solidarietà richiede attenzione a due diversi livelli: quello della povertà, nuova o vecchia che sia; quello dell’integrazione o della convivenza di culture, modi di vivere e fedi diverse. Di fronte al povero, a chi ha bisogno, il cristiano non guarda alle culture o alle fedi: la sua risposta è la solidarietà e l’aiuto senza condizioni. La dichiarazione di amore verso Dio non ha significato se non è attivo l’amore verso il prossimo, nel quale il cristiano riconosce il volto di Dio. Occorre però evitare di essere ingenui per fare in modo che la solidarietà giunga a buon fine e non sia strumentalizzata da qualcuno che rende schiavi i poveri a proprio vantaggio. La risposta alla povertà va organizzata e in questo la Caritas, altre organizzazioni laiche e pubbliche amministrazioni, che già collaborano, potranno certamente aumentare la loro capacità di risposta unitaria. La comunità cristiana può aiutare tutto questo non solo con il contributo materiale, ma soprattutto crescendo essa stessa nell’atteggiamento di accoglienza e solidarietà, testimonianza offerta a tutta la società. Sul piano dell’integrazione e della convivenza di stili di vita e fedi diverse, l’accoglienza unilaterale, pur manifestando buoni sentimenti e buona volontà, non può produrre frutti. E su questo piano una certa difficoltà è evidente anche a Monfalcone. Per puntare all’integrazione e all’inclusione sociale occorre che ambedue le parti avvertano la stessa esigenza e si muovano con la stessa volontà. E’ evidente che si è ancora lontani, soprattutto con chi proviene da altri continenti, da un comune obiettivo di coinvolgimento sociale. Ci sono timori da ambedue le parti. E’ anche presente una cultura che tende ad escludere chi ha la pelle di un colore diverso o una fede che non è quella dei nostri paesi. Le attuali vicende internazionali rendono più acuti i problemi e più grandi le diffidenze. I martiri cristiani, uccisi dalle armi di aderenti allo Stato islamico sono una realtà e accrescono le paure. Accoglienza? La risposta della comunità cristiana non può essere che positiva, ma non può essere scambiata con accondiscendenza, con rinuncia alla propria identità, con un buonismo che non serve a creare nuove relazioni. Per poter accogliere chi vuole essere accolto è necessario avere grande consapevolezza della propria identità, dei propri valori, della propria storia. Solo così è possibile confrontarsi, rispettare e chiedere rispetto. Ancora una volta è in ballo la capacità della nostra comunità cristiana di essere se stessa, una comunità di fede forte del proprio passato e attenta ai segni dei tempi per rendere nuova testimonianza anche nell’accoglienza e nella solidarietà.
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