Aiello: è stato un (Av)vento di accoglienza
4 Gennaio 2015
Martedì 16 dicembre, gli AnimatorsDael hanno proposto all’unità pastorale retta da don Basso, un’interessante serata su un tema attuale, delicato e scottante, degno di esser approfondito, al di là di ogni atteggiamento pregiudiziale e superando ogni informazione manipolata e fuorviante, condividendo testimonianze ed esperienze, ma ponendosi, soprattutto provocatori interrogativi sul valore della tolleranza e sull’importanza dell’inclusione, in riferimento al caleidoscopico mondo degli immigrati, come sprone a documentarsi, curiosi di comprendere appieno le ragioni e la natura del fenomeno, come pure a far luce sulle oscure e nebulose questioni politiche, economiche ed ideologiche concernenti l’offerta di ospitalità ai profughi entro i confini italiani. All’incontro, denominato per l’appunto (Av)vento di accoglienza, hanno preso parte il Presidente del comitato locale di Palmanova della Croce Rossa, dott. Maurizio Blasi, la psicologa responsabile di Area 2 Sociale, Michela Gabas, ed alcuni tra i giovani della CRI che, nel corso dell’intera estate 2014, sono stati impegnati, in forma assolutamente gratuita, nella gestione del centro di accoglienza temporanea per migranti, allestito nelle vicinanze dell’ospedale civile. La conferenza si è rivelata istruttiva e commovente. Istruttiva, dal momento che i relatori sono stati esaustivi, in modo discreto ma determinato ed oggettivo. Commovente, poiché i medici ed i ragazzi che li hanno accompagnati non si sono limitati a riportare con obiettività dati tecnici, definizioni e statistiche, ma hanno anche raccontato storie di individui in fuga dalla propria terra d’origine; storie strazianti ed incredibili di oppressione, di persecuzione e di estenuanti viaggi via terra e via mare, ma anche storie struggenti di speranza, di fiducia, di rinascita; disperati tentativi di riconquista della propria dignità, della propria vita e di un futuro da reinventare e da costruire in un Paese lontano e diverso da quello nativo; storie, appena accennate di gente che, assai di frequente, non ha scelto liberamente di partire, ma è stata obbligata a mettersi in marcia, poi ammassata su furgoni, battelli, corriere, e traslocata, a piedi scalzi e senza viveri, perché, condizionata, ha pagato per evitare di assistere inerme all’assassinio dei propri cari, al massacro dei propri figli. Non necessariamente poveri o derelitti, bensì persone qualunque, che conducevano un’esistenza pressoché normale ed avrebbero magari desiderato continuare ad affrontare il loro quotidiano in quello Stato dal quale, invece, sono stati costretti a scappare in fretta alla ricerca di accoglienza; classificati dalle autorità come rifugiati o richiedenti asilo, possessori di permesso di soggiorno per motivi umanitari o titolari di protezione sussidiaria; bollati dalla popolazione, talvolta forse giustificatamente diffidente, timorosa ed ostile, come naufraghi, extracomunitari, clandestini, sbadati e fannulloni; donne e uomini, persino bambini, da cui guardarsi le spalle, circospetti, e verso i quali nutrire sentimenti di disprezzo, nella paura si tratti, indistintamente, di opportunisti intenzionati a sottrarre il già poco lavoro e la scarsa stabilità disponibile per nostri concittadini.Notizie talora un po’ raffazzonate che possono fomentare, però, reazioni violente da parte dei locali, di fronte a quella che non costituisce più un’emergenza od un allarme occasionale che può rientrare a breve, ma che presenta oramai i tratti di un fenomeno persistente, massiccio e duraturo, anche qui nel piccolo Friuli, storico crocevia di popoli e con, alle spalle, il peso gravoso di un passato di emigrazione.
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