Kurdistan: quel bambino nato nelle tende-cappella tra i cristiani sfollati
4 Gennaio 2015
“Abbiamo vissuto il Natale nella sofferenza ma con il conforto della preghiera. È la prima volta che abbiamo passato il Natale lontano dalle nostre case e dalle nostre chiese, come sfollati e rifugiati”: da Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno, a parlare è monsignor Emil Shimoun Nona, arcivescovo caldeo di Mosul. Mosul è distante, molto di più dei circa 90 km. che la separano da Erbil, dove si è rifugiato in seguito all’avanzata delle bandiere nere dello Stato Islamico (Is). Erano i primi giorni di agosto quando venne cacciato via da Mosul, insieme alla sua gente, dai miliziani dell’Is che detengono il controllo della città, dove non sono rimasti più cristiani. Le chiese sono state chiuse, altri luoghi di culto distrutti, trasformati in prigioni oppure occupati dai militanti islamici.La lunga storia dei cristiani di Mosul riparte adesso da Erbil. Le stime parlano di 120mila cristiani rifugiati in Kurdistan. “Qui a Erbil – racconta il giovane arcivescovo caldeo – e più in particolare nel sobborgo cristiano di Ankawa, e in altri due villaggi limitrofi, attualmente ci sono circa 12mila famiglie cristiane rifugiate. Fuori Erbil, invece si stimano ce ne siano altre 8mila. Cerchiamo di aiutare tutti grazie al sostegno della Santa Sede, di tante organizzazioni caritative, come Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs), e di numerose Chiese. Tra queste un ringraziamento particolare va alla Conferenza episcopale italiana che ci sostiene attraverso la Caritas che lavora a stretto contatto con quella irachena”. Moltissime di queste famiglie “vivono in strutture messe a disposizione dalle istituzioni e dalla Chiesa locale, tende e ricoveri di fortuna come palazzi abbandonati, spesso privi di infissi. Il freddo si fa sentire”. Nonostante la precarietà, afferma mons. Nona, “si comincia a notare qualche timido segno di festa grazie anche a tanti giovani volontari di questa zona. L’augurio è regalare un sorriso a tutta questa gente. Abbiamo distribuito dei doni per i bambini e i ragazzi, per alleviare in qualche modo disagi e sofferenze. È importante che la nostra gente senta il sapore della festa perché la fede che professiamo è forte più di ogni sventura. La venuta di Gesù ci dona la forza di continuare a vivere tutto ciò che la fede ci chiede”.Già, la fede: l’unica ricchezza rimasta.Il ricordo corre ai giorni caldi dell’estate irachena, quelli della fuga, quando “la comunità cristiana di Mosul abbandonò la città lasciando tutto, case, proprietà, terre, storia, tutto – dice con voce velata dall’emozione l’arcivescovo – meno che la fede. Fuggiti per non convertirsi, per non rinunciare alla loro fede e oggi manifestano orgoglio per questa scelta. Celebrare il Natale adesso è importante. Pregheremo che il Signore nasca di nuovo in mezzo a noi, rifugiati e sfollati, e ci guidi per tornare in pace alle nostre case, alle nostre terre”. Nessun cedimento alla disperazione, anzi. Le parole di Papa Francesco nel suo videomessaggio del 6 dicembre ai cristiani di Mosul rifugiatisi ad Erbil tornano prepotenti nella mente di mons. Nona: “Quando viene il vento, la tempesta, la canna si piega, ma non si rompe! Voi siete in questo momento questa canna, voi vi piegate con dolore, ma avete questa forza di portare avanti la vostra fede, che per noi è testimonianza. Voi siete le canne di Dio oggi! Le canne che si abbassano con questo vento feroce, ma poi sorgeranno!”.Ed è con questa forza che i cristiani rifugiati hanno vissuto il Natale, grazie anche a una certa dose di sicurezza garantita dalle Forze militari curde. “La Messa di mezzanotte – dichiara mons. Nona – è stata celebrata nel sobborgo a maggioranza cristiana di Ankawa dal patriarca di Babilonia dei caldei, Louis Raphael I, in una grande tenda davanti a gruppi di famiglie di sfollati e rifugiati. Tutti gli altri fedeli hanno potuto partecipare alle funzioni organizzate nelle tende-cappella allestite nei vari centri. Le celebrazioni si sono svolte in tutte le chiese e tende, a partire dalla cattedrale di Erbil”. Le ultime parole dell’arcivescovo più che un saluto sono una preghiera: “In questo Natale ho pregato Gesù perché possa donare a tutti noi la speranza di continuare a vivere nella fede, con coraggio e senza paura. Prego affinché possa mettere nel cuore dei responsabili e di chi governa il desiderio di pace. Non abbiamo bisogno della violenza, dell’odio ma della pace. La vita deve andare avanti nell’armonia, nella tolleranza, nel rispetto reciproco e nella giustizia. Per tutti”.
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