Il Papa voleva stare accanto a chi soffre: in Asia c’è riuscito
24 Gennaio 2015
Martedì 13: una sciarpa di seta ed uno scialle gialloUn bambino mette una piccola sciarpa di seta al collo di Papa Francesco, al suo arrivo al Centro Congressi di Colombo per l’incontro con i leader religiosi. È in braccio alla mamma e il Papa lo saluta unendo le mani in gesto di preghiera e di ringraziamento. Nella grande sala è un sacerdote hindu a coprire le spalle di Francesco con uno scialle giallo, simbolo di rispetto e di onore.Due piccoli gesti che chiudono la prima giornata del viaggio papale in Asia. Ma non sono semplici gesti, c’è molto di più: Francesco è il Papa che parla della cultura dello scarto, della necessità che i due poli della società, i bambini e gli anziani, siano presi in considerazione e non scartati, come spesso accade nelle nostre società.Il gesto diventa allora messaggio che vede assieme chi ha la forza di andare avanti e chi conosce la strada della saggezza. In una visita come questa, in una nazione che ha vissuto il dramma di un conflitto civile, contrapponendo il popolo singalese a quello tamil per più di 25 anni, il giovane bambino, l’anziano sacerdote rappresentano davvero quel progetto di speranza e di pace di cui il mondo ha bisogno. Progetto che deve vedere in primo piano proprio i leader religiosi che hanno il compito di condannare l’uso della religione per promuovere violenze e guerre. Per evitare proprio che bambini come questo della sciarpa, siano costretti a imbracciare armi o a morire vittime innocenti della follia umana.
Mercoledì 14: il balsamo del perdonoFrancesco trova sempre espressioni efficaci per dare senso alle sfide. Nella sua seconda giornata nello Sri Lanka, il Papa latinoamericano usa queste parole nel contesto di una nazione che ha vissuto una lunga guerra civile, ha visto consumarsi una violenza tra fratelli, anche se di etnia e religione diversa. Espressione che si addice benissimo al nuovo santo, Giuseppe Vaz, che Francesco proclama a venti anni dalla beatificazione presieduta da Giovanni Paolo II nello stesso luogo, nella stessa città di Colombo, quasi negli stessi giorni.Quanto c’è bisogno nel nostro mondo del balsamo del perdono. E non solo per mettere fine a un confitto, qui nello Sri Lanka, che se è terminato dal punto di vista dell’uso delle armi, della contrapposizione, non lo è affatto dal punto di vista dei rapporti tra i due popoli.Riconciliazione, giustizia, pace. Parole che pronunciamo spesso, che noi cronisti mettiamo in fila, l’una dopo l’altra come se fosse la cosa più semplice del mondo. Ma ha ragione Francesco quando dice che non è una cosa facile mettere da parte anni di odio, di contrapposizioni. Non è facile quando, come nel santuario di Madhu nel nord orientale del Paese, quel prato dove oggi la gente è assiepata per ascoltare Papa Francesco, per molti anni è stato il luogo di accoglienza di sfollati, persone scappate dalla violenza. Ecco che il perdono, proprio come un balsamo, può lenire le ferite, aiutare a superare i momenti difficili.
Giovedì 15: sono i poveri il messaggioLe Filippine sono il Paese dove l’Asia ti accoglie con il sorriso. Per l’arrivo di Papa Francesco anche con una esplosione di gioia e di festa, all’aeroporto c’erano centinaia di giovani che hanno messo in scena una coreografia con ombrelli con i colori della nazione e hanno cantato “benvenuto, Papa Francesco”. Lungo le strade della capitale fino alla Nunziatura si sono visti circa due milioni di persone. Una vera festa di popolo. E sono proprio questi uomini e donne, soprattutto i poveri, che Francesco metterà al centro del suo messaggio in questa terra; i poveri che vogliono andare avanti, dice dialogando con i giornalisti sul volo che da Colombo, Sri Lanka, lo porta nell’arcipelago, in poco più di sei ore. I poveri che hanno sofferto del tifone Yolanda e ancora ne patiscono le conseguenze, i poveri che hanno la fede e la speranza.Le parole di Francesco ci aiutano a comprendere meglio il senso di questa visita; ma – se volete – sono anche il senso e la chiave per leggere il pontificato di Papa Bergoglio, che dal suo primo appuntamento ha voluto che fossero proprio i poveri, i primi del suo pontificato. Ricordate? Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri. Li ha incontrati a Lampedusa, in Brasile, in Turchia, in Medio Oriente. Li incontrerà anche in questo viaggio, quando andrà a Tacloban, sabato, per ricordare i diecimila morti del Tifone che ha colpito la città e l’isola di Leyte, l’8 novembre 2013, e incontrare quanti, quel giorno, hanno perso ogni cosa, e sofferto per la morte di un loro parente.
Venerdì 16: il sorriso degli “scarti”Sarà il clima, o l’allegria di questo popolo, ma Papa Francesco sembra davvero sentirsi a casa, circondato dall’affetto dei filippini. Così quando nella cattedrale di Manila, nell’omelia, legge le parole che Gesù rivolge a Pietro – “mi ami?” – e sente il “sì” sincero di sacerdoti, suore e seminaristi, con grande naturalezza e un sorriso trascinante, risponde: “Grazie molte. Ma è il Vangelo del giorno”.Trascina il sorriso di Francesco, in questa nazione che, nonostante ferite, problemi, difficoltà, non fa mai mancare un sorriso.Ed è lo stesso sorriso che abbiamo visto sul volto dei ragazzi di strada, una parte dei 320 che la fondazione Tnk, fondata nel 1988 da un gesuita francese, accoglie nelle sue case. Una visita non prevista nel programma ufficiale ma voluta proprio dal Papa che ha letto le lettere inviategli dai ragazzi e portate dall’arcivescovo di Manila Luis Antonio Tagle. Lo accolgono con l’allegria che è propria dei ragazzi. Gli consegnano dei doni, una Madonna in legno, una foto del Santissimo Sacramento esposto in una discarica per un’adorazione eucaristica con le persone che raccolgono i rifiuti. E poi si concede all’euforia di questi giovani, vittime di quella cultura dello scarto che il Papa ha più volte condannato. Ma per lui, questi ragazzi sono tutt’altro che da scartare. Sono soli, abbandonati, accolti perché la società li rifiuta e il Papa dice loro: “Il Signore non dimentica nessuno”.
Sabato 17: Happy Land. Ma è una discaricaChi ha letto la “Città della gioia” di Dominique Lapierre forse può comprendere meglio che cosa sia Tondo, un quartiere a ridosso del porto di Manila, sorto attorno alla grande montagna di rifiuti della capitale filippina. Ci andiamo nel giorno in cui si prepara la festa del Santo Niño, tradizione spagnola ma molto sentita nelle Filippine, soprattutto a Cebu, il luogo dell’arrivo dei primi missionari.Le baracche costruite con materiali non troppo affidabili, in un mare di spazzatura, sacchi di rifiuti e tanto altro ricavato frugando nella grande discarica, la “smokey mountais”, la montagna fumante. Molti sono al lavoro per preparare la processione, per abbellire le poche strade percorribili con la macchina. Nel vialetto fangoso, tra rifiuti e baracche, non ci sono addobbi; ma donne, uomini e ragazzi prenderanno parte alla preghiera, magari stando al bordo della strada. Camminiamo tra le baracche, vediamo tanti bambini; ci corrono incontro, ci prendono la mano e se la portano sulla fronte, come segno di saluto. Ciò che sorprende è il loro sorriso, sempre spontaneo, gioioso, mai forzato. Dall’interno delle baracche piccoli televisori e radio portano la voce del Papa in visita nelle Filippine. Mi dicono che chi possiede la tv, non la spegne mai. Di solito è sintonizzata su telenovele o programmi frivoli. Ma da quando c’è Papa Francesco, sono le dirette dedicate alla sua visita nelle Filippine le più seguite, anche tra questi sfortunati abitanti del quartiere Tondo, a due passi dalla discarica. Villaggio che qualcuno ha voluto chiamare “Happy Land”, terra felice.
Domenica 18: volti di lacrime e commozioneIl volto di una bambina cui commozione e lacrime impediscono di parlare. Il volto di un genitore che ha visto morire la propria figlia, colpita da un’impalcatura sradicata dal vento del tifone a Tacloban. Accanto a questi, i volti di tanti giovani, e meno giovani, che hanno seguito la celebrazione del Papa al Rizal Park, nella domenica dedicata al Santo Niño.Sono i volti ad attirare l’attenzione, volti sorridenti nonostante le difficoltà, le ferite. Volti di giovani che si mettono alla prova e ai quali Francesco raccomanda di non essere persone da museo, ma giovani sapienti, capaci di rispondere alle sfide del tempo, per costruire una società di giustizia, solidarietà e pace. Certo inquieta e interroga la vocina di Gyizelle Palomar 12 anni: “ci sono tanti bambini rifiutati dai loro stessi genitori, altri sono vittime di molte cose terribili come droga e prostituzione”. Poi la domanda, l’unica, dice Papa Francesco, che non ha una risposta: “Perché Dio permette che accadano queste cose, anche se non è colpa dei bambini? Perché ci sono così poche persone che ci aiutano?” le lacrime interrompono le sue parole. Accanto a lei c’è Jun un ex ragazzo di strada. La sostiene con un gesto e un sorriso e insieme vanno dal Papa per un lungo abbraccio.È questa l’immagine del viaggio del Papa: la tenerezza di Francesco, il dolore dei bambini. “Solo quando siamo capaci di piangere sulle cose che ha detto Gyizelle, siamo capaci di rispondere a questa domanda”.Aveva già incontrato gli ex ragazzi di strada, Francesco, nella comunità che si trova accanto alla cattedrale. Con loro ha trascorso alcuni momenti molto intensi, nei quali è stato più l’ascolto, il silenzio ad avere spazio. Francesco è il Papa dell’ascolto, che grida il suo no allo sfruttamento dei poveri, dei bambini, degli ultimi. Grida il suo no alla compassione mondana, alla moneta tolta dalla tasca per mettersi a posto con la coscienza: “se Cristo avesse avuto questa compassione, avrebbe aiutato tre o quattro persone e poi sarebbe tornato al Padre”. Dobbiamo imparare a piangere, afferma ancora, quando vediamo un bambino che ha fame, drogato, senza casa, abusato, usato e reso schiavo. Chi non sa piangere non è un buon cristiano. Così ai 30mila giovani, che incontra all’università di san Tommaso, dice: nel computer troverete tutte le risposte, ma nessuna vera sorpresa. Lasciatevi sorprendere da Dio.L’altro volto è quello del papà della giovane volontaria. Era la sua unica figlia, contenta di lavorare per la messa del Papa. Il tifone ha spazzato via la sua vita, come l’altro ancor più forte quattordici mesi fa, ha spazzato via tutto a Tacloban, case e vite umane: poco più di sei mila; 1.700 i dispersi.Dolore che Francesco ha visto anche a Madhu, nello Sri Lanka, un santuario testimone di una lunga guerra civile tra governo centrale e popolazione Tamil, durata 26 anni, e di tanta solidarietà tra appartenenti a religioni diverse. La zona antistante il santuario, 160 ettari, fino al 2008 ha accolto migliaia di profughi, fuggiti dalle zone del conflitto. Sono proprio le religioni che assieme posso aiutare a superare divisioni e contrapposizioni. Lo dice chiaramente ai leader religiosi Francesco, ricordando, come sia aberrante portare guerra e violenze in nome di Dio. Lo ripete anche ai giornalisti, nel volo tra Sri Lanka e Filippine. Parla dei fatti di Parigi, Francesco, per ribadire che sia la libertà religiosa, sia quella di espressione sono due diritti fondamentali, ma hanno un limite, nel rispetto dell’altro; sono sì due diritti, ma la libertà dell’uno finisce dove inizia la libertà dell’altro.Francesco aveva detto che il suo voleva essere un viaggio per stare accanto alle persone che hanno sofferto, ai poveri, perché povertà, ignoranza e corruzione sfigurano il mondo. Ma certamente le folle che hanno accompagnato il Papa nei suoi appuntamenti, il calore con il quale è stato accolto a Colombo e a Manila non sono cose di tutti i giorni. Padre Federico Lombardi, domenica sera, conversando con i giornalisti nel far conoscere il numero delle persone che al Rizal Park e nelle strade circostanti – sei o forse sette milioni per le autorità di Manila – sottolinea che si è trattato del più grande evento nella storia dei Papi.
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