Il ministero della consolazione
14 Febbraio 2015
Il libro di Giobbe riporta un lungo soliloquio (capp. 29-31) nel quale l’autore colpito da sofferenze di ogni tipo, ricorda le opere di giustizia da lui compiute quando era ricco, felice e onorato. Quante volte, soprattutto se la malattia si mostra particolarmente aggressiva e prolungata, il ricordo di tempi sereni e pieni di vigore, torna ad affacciarsi alla mente: “Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo” (Gb 29,15). Giobbe, un gigante. Me lo vedo immerso nella sofferenza, rimpiangere i bei tempi, quando era in salute e poteva occuparsi di tutto e di tutti, e non aveva bisogno di nulla. (Potrebbe rappresentare il nostro mondo occidentale che pensava di mettere ordine al mondo intero, e si scopre fragile, fragile). Per fortuna arrivano tre amici. Finalmente la consolazione! Si avvicinano e rimangono in silenzio: in silenzio per sette giorni e sette notti. Bravi! Hanno capito. Quando cominciano a parlare… un disastro! Altro che consolazione! Giudizi, teorie, spiegazioni, giustificazioni di Dio e colpevolizzazione di Giobbe; e quando arriva il quarto, la musica non cambia. Quanto è difficile consolare! Difficile? Una bambina – si racconta – torna dalla casa di una vicina alla quale era appena morta, in modo tragico, la figlioletta di otto anni. “Perché sei andata?” le domanda il padre. “Per consolare la sua mamma”. “E che potevi fare, tu così piccola, per consolarla?”. “Le sono salita in grembo e ho pianto con lei”. Papa Francesco nell’incontro con i Giovani di Manila, alle parole della giovane Jun ha così risposto: “Ti ringrazio, Jun, che hai presentato con tanto coraggio la tua esperienza. Come ho detto prima, il nucleo della tua domanda quasi non ha risposta. Solo quando siamo capaci di piangere sulle cose che voi avete vissuto possiamo capire qualcosa e rispondere qualcosa. La grande domanda per tutti: perché i bambini soffrono? Proprio quando il cuore riesce a porsi la domanda e a piangere, possiamo capire qualcosa. C’è una compassione mondana che non serve a niente! Una compassione che tutt’al più ci porta a mettere mano al borsellino e a dare una moneta. Se Cristo avesse avuto questa compassione avrebbe passato, curato tre o quattro persone e sarebbe tornato al Padre. Solamente quando Cristo ha pianto ed è stato capace di piangere ha capito i nostri drammi. Cari ragazzi e ragazze, al mondo di oggi manca il pianto! Piangono gli emarginati, piangono quelli che sono messi da parte, piangono i disprezzati, ma noi, che facciamo una vita più o meno senza necessità, non sappiamo piangere. Certe realtà della vita si vedono soltanto con gli occhi puliti dalle lacrime. Invito ciascuno dì voi a domandarsi: io ho imparato a piangere? Quando vedo un bambino affamato, un bambino drogato per la strada, un bambino senza casa, un bambino abbandonato, un bambino abusato, un bambino usato come schiavo per la società? O il mio è il pianto capriccioso di chi piange perché vorrebbe avere qualcosa di più? Questa è la prima cosa che vorrei dirvi: impariamo a piangere, come Jun ci ha insegnato oggi. Non dimentichiamo questa testimonianza. La grande domanda: “perché i bambini soffrono?”, l’ha fatta piangendo e la grande risposta che possiamo dare tutti noi è imparare a piangere. Gesù nel Vangelo ha pianto, ha pianto per l’amico morto. Ha pianto nel suo cuore per quella famiglia che aveva perso la figlia. Ha pianto nel suo cuore quando ha visto quella povera madre vedova che portava al cimitero suo figlio. Si è commosso e ha pianto nel suo cuore quando ha visto la folla come pecore senza pastore. Se voi non imparare a piangere non siete buoni cristiani. E questa è una sfida. Jun ci ha lanciato questa sfida. E quando ci fanno la domanda: “perché i bambini soffrono?”, “perché succede questo o quest’ altro di tragico nella vita?”, che la nostra risposta sia il silenzio o la parola che nasce dalle lacrime. Siate coraggiosi. non abbiate paura di piangere!” “Il dolore, la sofferenza innocente mi fa rifiutare Dio” potrei così sintetizzare il pensiero del prof. Umberto Veronesi. Rifiuta un dio che non è il Dio di Gesù. Rifiuta il dio degli amici di Giobbe, ma non il Dio di Giobbe. Quando il professore si piega sul sofferente, lo cura, patisce, si interroga, allora collabora con il Dio di Giobbe, con il Dio di Gesù. Le comunità parrocchiali sono impegnate nella catechesi, nella liturgia, nella carità. Esistono i catechisti, gli animatori per le celebrazioni, i volontari per gli sportelli caritas, mense, dormitori. Questa Giornata Mondiale del Malato mi ha fatto riandare ad una riflessione del vescovo di Taranto, B. L. Papa, del 2010 sul “ministero della consolazione”. Potremmo promuovere questo ministero laicale a partire dai ministri della Comunione? I ministri della consolazione darebbero visibilità, localmente, alla pastorale della salute. Tempo fa affermavo che la pastorale della salute è la pastorale delle tre “S”: Salute, Sofferenza, Sanità. Oggi potrei concludere dicendo che la pastorale della consolazione include la pastorale della salute, dellasofferenza e della sanità.
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