Costruire la riconciliazione
8 Maggio 2015
La riconciliazione può avvenire non solo cercando la verità storica ma costruendo con pazienza, proprio a partire dai torti subiti e dal riconoscimento di quelli perpetrati, rapporti di conoscenza, di perdono, di stima, di collaborazione per un mondo più giusto”. È stato questo uno dei passaggi centrali dell’omelia che l’arcivescovo Carlo ha pronunciato domenica scorsa nella chiesa del Sacro Cuore durante l’annuale celebrazione in suffragio di quanti furono deportati da Gorizia al termine del secondo conflitto mondiale. Pubblichiamo i passi centrali dell’omelia del vescovo.
Il Vangelo di oggi con un’immagine semplice e insieme efficace – quella della vite e dei tralci – ci ricorda con chiarezza due realtà. Una esplicita e una implicita. Anzitutto che noi, i tralci, staccati dalla vite che è Cristo, privi della linfa vitale che ci proviene dallo Spirito Santo, siamo destinati a non portare frutto, a morire, a finire in nulla, anzi – come ricordava oggi papa Francesco al Regina Coeli – a diventare dannosi per la comunità. Questa è la realtà esplicita.Quella implicita, ma non meno vera, è che la vite senza i tralci non può fare niente. Dio ci ha voluti liberi e quindi responsabili. Vuole agire attraverso di noi. Se noi non collaboriamo con Dio, blocchiamo tutto, perché Lui non forza la nostra libertà. Se, per esempio, non c’è nessuno che ascolta e annuncia il Vangelo, il Vangelo – che è parola di vita – diventa lettera morta. Se poi non solo non collaboriamo, ma scegliamo esplicitamente il contrario della volontà di salvezza di Dio, chiudendoci nella negatività, allora il nostro destino è l’autodistruzione. Purtroppo fin dai tempi di Adamo ed Eva, di Caino e Abele, la nostra libertà è stata giocata contro Dio e, quindi, inevitabilmente, contro noi stessi, gli altri, il creato. Queste semplici verità spiegano la bellezza e insieme la tragicità della vicenda umana. Bellezza perché Dio ci ha creati a sua immagine e somiglianza, niente di meno che suo figlie e suoi figli; tragicità, perché continuamente nella storia questa immagine è stata calpestata, vilipesa, annientata sia in chi ha subito violenza e ingiustizia, sia in chi si è fatto artefice o complice di tutto ciò sfigurando dentro di sé l’impronta di Dio.La rovina dell’umanità è sempre più grande quando diventa contagiosa, quando una malvagità ne autorizza un’altra, quando una vendetta ne innesca un’altra, quando un odio ne giustifica un altro… Mi sono spesso domandato come mai la Chiesa e, più recentemente con esiti non sempre brillanti, la stessa comunità internazionale, hanno cercato in qualche modo non di rendere umana la guerra, ma di renderla meno disumana. La risposta viene dall’esperienza: se, senza in qualche modo reagire o limitarne la portata, si permette una gravissima e continuata ingiustizia, si lascia spazio all’odio senza limiti, si cerca il proprio tornaconto a ogni costo, … se, come ci ricordava papa Francesco lo scorso anno a Redipuglia, lo slogan dell’umanità diventa quello di Caino “a me che importa?”, allora parte una spirale, una catena di sofferenze, di cattiverie, di risentimenti, di vendette, di odii che è difficilissimo bloccare.La causa di tutto è spiegata dal Vangelo: se si perde l’innesto in Dio – esplicito per chi crede, implicito per chi non crede ma sente che c’è un qualcosa che deve essere una radice indiscussa dell’umanità e della sua dignità -, allora c’è poco da fare già in partenza. Perché allora, prima ancora che si arrivi alla violenza, istanze positive come il desiderio di giustizia, l’impegno per il riscatto sociale, la valorizzazione della propria cultura, la tutela della famiglia, il giusto orgoglio per la propria patria, ecc. invece che valori diventano ideologie estremizzate e contrapposte. Oltre a portare alla violenza, diventano alibi per interessi personali, vendette, cattiverie.Occorre allora ritrovare il rapporto con Dio e con la verità della nostra umanità. Come fare? La seconda lettura afferma che se il nostro cuore ci rimprovera o, potremmo dire ha dentro di sé delle negatività (e anche il ricordo di sofferenze passate può esserlo), il Signore è più grande del nostro cuore e può perdonarci, guarirci, riconciliarci dandoci la pace interiore che sola può essere forza per la riconciliazione con gli altri. Una riconciliazione che può avvenire non solo cercando la verità storica – cosa che è importante, ma non deve avere come scopo semplicemente vedere chi è stato più ingiusto, chi ha più ucciso o chi al contrario ha più subito: chi in ipotesi è stato il meno cattivo non per questo diventa il più bravo -, ma costruendo con pazienza, proprio a partire dai torti subiti e dal riconoscimento di quelli perpetrati, rapporti di conoscenza, di perdono, di stima, di collaborazione per un mondo più giusto. E’ un impegno importante per chi è credente. Il credente non chiude gli occhi sulle ingiustizie e le sofferenze subite e nemmeno su quelle di cui la propria “parte” è stata purtroppo protagonista, ma affida tutto alla misericordia del Signore. Il credente prega per i propri morti, a prescindere che siano stati vittime o forse, almeno parzialmente, collaboratori di ingiustizie; ma prega anche per chi in una “parte” avversa alla sua o semplicemente diversa – ma per il credente ogni “parte” viene superata dall’appartenenza al popolo di Dio – ha subito ingiustizie o si è fatto protagonista di esse.Il credente in particolare sa che l’umanità può rovinare la sua immagine e somiglianza con Dio, può sfigurarla fino a renderla irriconoscibile. Sa che questo non è avvenuto qui da noi solo 70 o 100 anni fa, ma accade purtroppo tutt’ora in quella che sempre papa Francesco ha definito come la terza guerra mondiale combattuta a pezzi. Sa però – e questo lo riempie di speranza – che la massima sfigurazione dell’umanità è avvenuta sulla croce. Dio ha voluto essere Lui lo sfigurato (ricordate il canto del servo di Isaia: “Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia; era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima”: Isaia 53,2-3 ) perché nel suo volto insanguinato il Padre potesse riconoscere il volto di ogni uomo e di ogni donna – vittima o carnefice, Abele o Caino (o spesso tutte le due cose insieme) -, per ridargli la dignità di chi è chiamato a essere figlio e figlia.Preghiamo allora per le vittime di 70 anni fa, ma anche per chi allora ha commesso ingiustizie e vendette e che solo il Signore può alla fine giudicare con la sua giustizia e la sua misericordia. Preghiamo per chi vive purtroppo vicende simili e ancora più tragiche oggi.Lo facciamo celebrando l’Eucaristia, il dono di sé che Gesù ha compiuto sulla croce per riscattare la nostra dignità di figli e figlie di Dio.
† Vescovo Carlo
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