Siria: i cristiani contano i morti
15 Maggio 2015
“Ho visitato Latakia, Aleppo e Damasco. A Latakia la situazione più tranquilla dal punto di vista dei combattimenti. Qui la guerra si avverte soprattutto per la carenza dei beni di prima necessità. Nel centro di Damasco, rispetto a sei mesi fa, si vive leggermente meglio, ma la periferia non esiste più. Interi quartieri sono stati distrutti, rasi al suolo, bombe che cadono in continuazione e totale mancanza di elettricità e di acqua. Aleppo, invece, è semidistrutta e sotto assedio, con totale mancanza di acqua, elettricità e cibo”. È un resoconto drammatico quello che il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, fa del suo viaggio in Siria, da dove è rientrato da pochissimi giorni, nel quale ha incontrato le fraternità della Custodia e le comunità cristiane locali per mostrare loro vicinanza e solidarietà.“La gente è disorientata – racconta il custode – non riesce a capire cosa sta accadendo e cosa potrebbe accadere. Ho assistito a funerali, conosciuto carichi di sofferenza, di frustrazione, di impotenza incredibili. Nessuno sa cosa potrebbe accadere, il disorientamento è totale. Ho incontrato vescovi che non sanno più cosa dire davanti a tale scempio. I loro appelli cadono nel vuoto”.
Si combatte da quattro anni senza vincitori. A perdere è la popolazione con i cristiani che stanno pagando un prezzo altissimo…“Non è una guerra come le altre e non è una guerra religiosa. Questa sta provocando un cambiamento radicale nella vita della Siria e dell’intera regione. La domanda della gente non è solo ‘quando finirà questa guerra?’. Ci si chiede soprattutto ‘cosa ci sarà dopo?, chi verrà qui?’, ‘lo Stato islamico o altri?’, ‘se a vincere sarà l’Is cosa sarà di noi?’, ‘chi sta sparando?’ e ‘perché ci sparano?’. Sono tutte domande che non hanno risposta. Ma a morire non sono solo i cristiani. Se ci sono 70 morti 60 sono musulmani e 10 cristiani. Ogni gruppo religioso conta le proprie vittime come se fossero le uniche. Non è facendo valere il numero dei propri morti che si contrasta il radicalismo. Bisogna rinsaldare l’amicizia tra cristiani e musulmani. Non serve dividersi”.
Sui cristiani pesa l’accusa di essere vicini al dittatore di turno, come Assad. È così? “Questa accusa viene contestata dai leader cristiani, ma credo che un fondo di verità ci sia. Quando lo Stato islamico pensa ai cristiani pensa ad Assad, questo è un fatto. La minoranza cristiana è percepita come una presenza occidentale nel mondo musulmano ma non è vero. I cristiani sono i primi abitanti di queste terre. Vero è, invece, che i cristiani hanno un legame con l’Occidente che l’Islam non ha. Guardando in positivo credo che i cristiani del mondo arabo possano aiutare i musulmani a comprendere meglio l’Islam, ma dubito che possa accadere in questa fase”.
È anche vero che in Siria e Iraq sono rimasti pochissimi cristiani. Un esodo che interessa tutto il Medio Oriente, specie dopo le primavere arabe. Siamo alla fine dell’Oriente cristiano?
“Le primavere arabe sono finite da tempo. Hanno rappresentato un cuneo nel quale si è sviluppato tutto il caos attuale. Sono in Medio Oriente da oltre venti anni e dell’emigrazione dei cristiani si è sempre parlato. Se ci fosse stato un vero esodo saremmo già scomparsi. Oggi in Siria e in Iraq la situazione è gravissima, più della metà dei cristiani è fuggita, specie chi aveva le risorse per farlo. Sono certo, tuttavia, che non siamo alla fine dell’Oriente cristiano”.
Comprendo la necessità di sperare, ma qui, come ha detto il segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino, stiamo assistendo ad un “olocausto cristiano”. Come fermare il massacro? “Abbiamo celebrato il centenario del genocidio armeno. Allora sembrava che tutto fosse finito per quel popolo. Così non è stato. Non so come finirà la guerra nella regione e lo scontro tra sciiti e sunniti. Da cristiano non posso credere che nel mondo ci siano milioni e milioni di musulmani con i quali non posso dialogare. Non lo posso credere e per questo devo ricercare il dialogo. Anche così si ferma il massacro”.
Cosa dovrebbe fare la comunità internazionale per trovare una via di uscita alla crisi?“La comunità internazionale ha fatto molto sbagliando molto. Ora potrebbe recuperare, innanzitutto fermando la vendita di armi. Non sono cose scontate: bisogna insistere molto sui Paesi arabi accompagnandoli non solo dal punto di vista economico ma anche vigilare sugli aspetti etici e sociali, fare in modo che nelle scuole islamiche venga dato un corretto insegnamento dell’Islam. Il radicalismo non nasce dal nulla ma da un contesto culturale e religioso sbagliato. Non esiste sviluppo economico sostenibile che non abbia al centro la persona e i suoi diritti. Se vogliono lo possono fare”.
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