Figli di un unico Dio
5 Giugno 2015
Un viaggio di pace. Per aiutare i popoli del Vecchio Continente in quel cammino di riconciliazione che il trascorrere del tempo non può considerare scontato.In questo fine settimana papa Francesco si fa pellegrino a Sarajevo, nel cuore di quei Balcani che hanno segnato in maniera tragica l’ultimo secolo di storia europea. Ennesima tappa di un percorso che impedisce ad ogni credente – e quindi ad ognuno di noi – di dire “A me che importa?” imponendogli di farsi carico del fratello vittima della follia della guerra, a qualunque latitudine e per qualunque motivo essa si combatta. Nei Balcani, un secolo fa, scoppiò la scintilla da cui divampò una guerra che fu “grande” innanzitutto per il numero di morti causati: un’”inutile strage” capace di annientare un’intera generazione di giovani. La sua conclusione non fu l’inizio di un periodo di pace ma gettò il seme per un altro conflitto mondiale devastante con conseguenze di cui noi ancora patiamo gli esiti.Nei Balcani, 25 anni fa, in seguito allo sfaldamento di quel mosaico che fu la Yugoslavia – e che solo la personalità di Tito aveva saputo tenere insieme – si combatté una guerra fratricida. Proprio Sarajevo fu uno dei simboli più tragici di quei giorni; di un tempo in cui i governi d’Europa, bloccati dai veti incrociati e dai rispettivi interessi, troppo a lungo volsero lo sguardo altrove. Fu lo stesso Giovanni Paolo II a denunciare questo atteggiamento pilatesco, durante la storica messa celebrata nello stadio della città bosniaca nell’aprile del 1997: “L’Europa a questo conflitto vi ha preso parte come testimone. Ma dobbiamo domandarci: testimone sempre pienamente responsabile? Non si può eludere questa domanda. Occorre che gli statisti, i politici, i militari, gli studiosi e gli uomini di cultura cerchino di darvi una risposta”.Furono gli anni della pulizia etnica, della migrazione forzata di centinaia di migliaia di uomini e di donne, dei campi di concentramento, del genocidio di civili inerti…Con fatica questa terra si è incamminata su un percorso di pace e di riconciliazione. Ma gli equilibri sono ancora troppo precari. La stessa Bosnia – Erzegovina è un’invenzione diplomatica nata a tavolino per volere delle grandi Potenze ed imposta con gli Accordi di Dayton senza tenere conto dell’effettiva realtà umana e storica presente sul territorio.Per costruire il proprio futuro i Balcani hanno bisogno dell’Europa. Di quell’Unione il cui allargamento ha interessato sino ad oggi solo la Slovenia e la Croazia fra i Paesi della exYugoslavia: una situazione rimasta in sospeso ma che dovrà necessariamente proseguire con il coinvolgimento innanzitutto della Serbia. “Dobbiamo impegnarci ad educare le nuove generazioni – sottolineava l’anno scorso il vescovo ausiliare di Sarajevo, mons. Pero Sudar al convegno dei settimanali cattolici svoltosi a Gorizia – a vivere con un altro spirito. Per noi cristiani significa lo spirito del Vangelo che nell’incontro con gli appartenenti alle altre religioni o convinzioni assume la forma della cultura del rispetto e della collaborazione per il bene comune. Ma questa cultura non è possibile senza il reciproco riconoscimento. Temo che proprio questo manchi spesso alle Chiese ed alle religioni: noi nel nostro intimo facciamo difficoltà a riconoscersi come figli di un unico Dio”.Un monito per i Balcani ma anche per tutti noi.
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