Romans d’Isonzo ha ricordato monsignor Galupin

“Un parroco ed un uomo che non si può non ricordare” – ha rilevato il professor Ferruccio Tassin, che ha tenuto la relazione evocativa dal titolo “Mons. Ernesto Galupin (Vermegliano 1884 – Romans 1955), un sacerdote tra due mondi”. Nell’affermare il tanto, Tassin ha riportando il giudizio espresso dalla romanese Carmela Petrin, che era fra le sue “circoline”, riassumendo il sentire comune di tutti quelli che hanno conosciuto Galupin: “Al dì di avuè, no si pol dismentealu!”. “Di mons. Ernesto Galupin – ha proseguito Tassin – hanno scritto Camillo Medeo, e soprattutto Luigi Tavanon e, nel cinquantesimo della scomparsa, don Adechi Cabass. Mons. Galupin, a Romans, chiude un’epoca: arriva quale amministratore parrocchiale, nel ’19 (parroco diverrà nel ’20), tornato in diocesi di Gorizia al termine del primo conflitto mondiale da un prostrante periodo trascorso in Italia (benché profugo, aveva gli stessi controlli di un internato). Trovò un paese che stava per essere annesso all’Italia (si cambierà di Stato nel 1921); vide la fine della provincia di Gorizia, il passaggio a quella del Friuli ed il ritorno, infine, a quella goriziana. Incontrò un nuovo Stato ostile alla Chiesa e vide quasi sparire la cooperazione cattolica, funzionale a una partecipazione politica dei cattolici che, in Italia, si spegnerà appena accesa… Due persone che entrano in perfetta sintonia con lui ritmando alcune fasi importanti della sua vita furono don Carlo Stacul di Medea, e don Francesco Ulian di Ruda. Il primo, agli inizi del sacerdozio, ebbe alcuni incarichi identici a quelli di Galupin: fu cappellano a Fiumicello, cooperatore a Grado, Vicario a Bruma, ma anche grande parroco ad Aiello, quando fu fondato il “Giovane Friuli”. Poi soffrì per 4 anni l’esilio, dopo un trattamento crudele e infame da parte di quelli che si erano presentati come liberatori, allo scoppio della guerra con l’Italia. Nelle varie tappe dell’esilio ci fu l’incontro con il profugo don Galupin, quando Stacul era il rappresentante e difensore dei preti internati  in Italia. Attivo in profuganza. don Galupin, celebrava in aiuto dei sacerdoti locali e istruì persino un coro di fanciulle a Firenze ma era in ristrettezze lui, profugo da Bruma, Enrico Sartori da Romans e Antonio Fuchs da Gradisca. Così senza Stacul, sarebbero stati, per sua definizione “come pulci nella stoppa”. Tassin ha poi ricordato come mons. Galupin abbia svolto la sua missione ecclesiastica in tempi molto difficili, pensando solamente ad aiutare il prossimo fino a privare se stesso e la sua famiglia del minimo indispensabile per sopravvivere. Da parte del relatore, la sottolineatura che la parrocchiale, pur contando molte persone presenti, avrebbe meritato in questa occasione una platea ben più ampia, sapendo il bene che mons. Galupin ha fatto a tanti Romanesi. La serata, che è stata arricchita da alcuni brani eseguiti all’organo con molta maestria da Enrico Menotti, è stata introdotta dall’amministratore parrocchiale don Michele Tomasin, che ha elogiato gli organizzatori per la sensibilità mostrata nel ricordare mons. Galupin e dare memoria, in un periodo in cui ad essa si da poca importanza, ad un sacerdote che ha scritto una pagina importante della storia della chiesa e del paese di Romans. Nel corso della serata è intervenuto pure don Graziano Marini, classe 1928, che con commozione ha ricordato alcuni episodi della sua vita sacerdotale – incrociatasi in alcune occasioni proprio con quella di mons. Galupin – il cui ritratto, eseguito a carboncino dal compianto concittadino Giovanni Poian, era esposto all’inizio del presbiterio. Tassin ha concluso la sua relazione, seguita con molto interesse dai presenti, ricordando un episodio raccontato da Ezio Bolzan: Galupin aveva un solo paio di scarpe “di fiesta e di dis di vora” e un giorno quando le portò nell’ambulatorio del calzolaio per una rapida riparazione, stette in casa con le sole calze”. Ancor oggi Ezio Bolzan “Eci” si accolla le spese del lume che arde sulla tomba di quel grande e povero parroco.