La chiesa di San Martino a Terzo d’Aquileia in una guida
18 Gennaio 2016
Tanta gente a S. Martino di Terzo, nella chiesa descritta dalla guida, voluta dalla Deputazione di Storia Patria per il Friuli (è intervenuto il Presidente prof. Giuseppe Bergamini), dalla Fondazione CRUP, e dalla Parrocchia (ne ha spiegate le regioni il parroco don Giuseppe Franceschin). Saluto del Comune da parte del Sindaco di Terzo avv. Michele TibaldChiesa dall’alto; occhi di Riccardo Viola in splendide foto (intiero e particolare); tavole (Flavio Cossar) che facilitano la lettura degli affreschi. Testo di Pino Franceschin, asciutto, sintetico: fa capire; dà a ciascuno il suo, tra virgolette; corrobora il dire con robusta bibliografia. In 48 pp. intelligentemente sostenute da Deputazione e Fondazione CRUP, storia, generale, e “locale” che apre al mondo; le epoche d’arte, a partire dal Basso Medioevo. Si leggono bene le età e si capisce la chiesa stirata, rialzata, mozzata d’abside troppo piccola (rifatta ampia e spaziosa); prima con campanile a vela, poi con torre.Si trovano, affrescati, santi profeti; santi apostoli; evangelisti; scene di storia della salvezza – Biblia Pauperum, video alla predicazione – i santi che sulla chiesa han patronato: Dionigi Areopagita e Martino.Santi testimoniano la chiesa su strada importante (Cristoforo, Antonio Abate, Sebastiano, il più tardo Rocco). La Madonna, incoronata, in trono, nei vari momenti della vita di Gesù. Santi di monachesimo (Benedetto), e ordini mendicanti Domenico e Francesco; martiri: Apollonia, Cecilia, Caterina di Alessandria; Lucia. Friulaneggiante, e “veneta”, Santa Lena (abbreviazione di Elena, raffigurata con la Croce che ella trovò).Si sono ritagliati spazio affrescato di eternità un paio di camerari e un pievano.Dedicata a Santi di tradizione antica: (Dionigi I sec.; Martino IV), la chiesa. A Martino: per fama di “martello” d’ eretici? Culto intensivo – qui – in Età longobarda?All’inizio del Basso M. E. (1036) affiorano questi paesi a storia scritta in una donazione alle Benedettine di Aquileia, grandi donne; la badessa investiva i pievani finché Giuseppe II ne soppresse monastero e giurisdizione sulla decina di ville.Questa, è appendice, ma notevole, alla monumentale opera di Franceschin su S. Maria di Aquileia: racchiude storia, arte e vita. Le chiese, per lui, sono pastorale, studio, amore tradotto in conservazione e restauro sin nei particolari come lo splendido arredo della sacrestia in questa chiesa. La sua antichità è confermata nell’orientamento: “Aedes (ecclesia) sit oblunga, ad orientem versus, navi similis”, ordinavano le “Costituzioni apostoliche” (Siria, fine del IV sec.)… perché: “Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’Uomo” (Mt. 24, 27).Nato in Pannonia (ora Ungheria) nel 316, Martino; vita nota dagli scritti di Sulpicio Severo, Venanzio Fortunato… Quest’ultimo anche “Aquileiese”. Di Valdobbiadene, studiò ad Aquileia; graziato da grave malattia agli occhi, fece il pellegrinaggio narrato nella Vita Sancti Martini; bestseller dell’epoca, ritrovato in copia fino in un monastero del Sinai. Vescovo e santo divenne anche Venanzio.Ecco il passo, nei fatti, noto a tutti: “…il ghiaccio ondulava le terre sotto un gelido freddo, avendo il triste inverno stretto le acque come in una morsa glaciale[…]ad un povero incontrato sulla porta di Amiens[…] divide in parti uguali il riparo della clamide[…]. L’uno prende una parte del freddo, l’altro prende una parte del tepore, fra ambedue i poveri è diviso il calore e il freddo[…] Certamente lo stesso creatore si diede una copertura con questa veste e la clamide di Martino protesse Cristo con un riparo. Nessuna veste degli Augusti meritò questo onore: la bianca clamide del soldato vale più della porpora del re…”.Poco noto era che la clamide, quasi sempre rossa (anche nella statua bellissima che era qui), nei fatti era bianca.Per nulla noto è che nella tarsia marmorea della mensa nell’altar maggiore è rappresentato uno splendido San Martino con clamide bianca. La tecnica e l’arte hanno realizzato un brillante “commesso marmoreo”, tipico di Leonardo Pacassi (1687). Il barocco, spesso trattato con sufficienza e perfino ostilità, qui è realismo. La storia si lega a chiesa, e guida che riporta in quarta di copertina il particolare, con insieme di commovente realismo. Particolari negli zoccoli del cavallo, in criniera, redini, finimenti, coda; nella figura umana: “puer” dice Venanzio a Martino, tale rappresentato nel volto (ma aveva sui 30 anni), e poi veste, pieghe, calzari, incarnato della gamba scoperta. E il povero, con volto e barba rivolti al Santo, a supplicare; le pieghe nel poco della veste… La commovente protesi di legno sul ginocchio rattrappito, col suo legaccio, rende più disgraziato il mendico, pressante lo stendersi pietoso della clamide offerta con mani gentili. In copertina, visione dell’alto, con spazi un tempo occupati dai parrocchiani dell’eternità; sulla quarta, immagine che non si dimentica: richiama l’eterno oggi del dovere nella carità, forma suprema dell’amore.
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