I riti della “Grande notte” ad Aquileia
26 Marzo 2016
I libri che descrivono le celebrazioni liturgiche che si svolgevano durante la Settimana Santa nelle due chiese di Aquileia e di Cividale, tra il 1000 e il 1600, evidenziano l’esistenza di non poche discrepanze e diversificazioni riguardanti i luoghi, i momenti, i testi, i canti usati, i paramenti, gli oggetti sacri e le modalità di svolgimento delle cerimonie stesse.Ciò sta a significare quanta libertà esisteva allora per le varie chiese locali nel formare una propria liturgia diversificantesi dalle altre nelle cose non sostanziali ed essenziali, ma spesso adattandosi a circostanze particolari locali. Tali varianti esistenti nel rituale liturgico delle varie chiese locali furono eliminate da autorità con l’imposizione del rituale romano universalizzato, lasciando sopravvivere solo alcune rare eccezioni (rito ambrosiano, mozarabico, orientale, ecc.).Esula dagli intenti di questa nota un’indagine comparativa tra la liturgia pasquale aquileiese e quella cividalese e pertanto se ne segnaleranno incidentalmente solo quelle diversità che potranno rivestire il carattere di una certa speciale significanza o interesse.L’antica liturgia aquileiese del Sabato Santo era caratterizzata da alcuni distinti momenti coordinati in questa successione: a) benedizione del fuoco e del cero; b) benedizione del fonte battesimale e amministrazione del battesimo; c) processione eucaristica; d) Visitatio Sepulchri; e) officio divino e santa messa di Pasqua.Queste liturgie anticamente si svolgevano nell’intervallo tra il tramonto del sabato e l’aurora della domenica di Pasqua. Si trattava di una lunga veglia notturna (vigilia) che il vescovo aquileiese San Cromazio chiamò “nox magna” cioè la “grande notte”. Tale nomenclatura è tuttora vigente in alcune parlate slave per designare la festività pasquale (vedi la slovena “velika noc”).
Fonte battesimale e battesimoIn antico era uso amministrare il battesimo agli adulti (catecumeni) durante la veglia pasquale e per tale evenienza bisognava preparare l’acqua benedetta a ciò occorrente. Nella immediata precedenza del conferimento del battesimo si riteneva opportuno impartire ancora un ultimo richiamo ai “competentes”, cioè ai candidati al battesimo riproponendo loro l’ascolto di quei passi scritturali che avevano qualche attinenza con il sacramento che stavano per ricevere.Pertanto venivano letti alcuni brani scritturali. Il numero di questi variava da chiesa a chiesa, da un minimo di 4 a un massimo di 14. A Roma se ne leggevano 12 in latino e in greco. Comunque fu sempre presente per la prima lettura il racconto della creazione del mondo (Genesi). Terminate le lezioni, dette impropriamente “profezie”, si procedeva alla benedizione del fonte battesimale.Celebrante e ministranti, portando il cero benedetto e quello non benedetto più gli olii santi necessari per la consacrazione dell’acqua battesimale, processionalmente si avviavano verso il battistero cantando l’antifona “Come il cervo anela alla sorgente…”. Lì giunti eseguivano una serie di giri (sette ad Aquileia, nove a Cividale) cantando l’inno “Rex sanctorum angelorum”. Per non sbagliare il numero dei giri veniva tolto ad ogni giro uno dei sette (o nove) sassolini precedentemente collocati presso il fonte.Il codice di Gorizia siglato con la lettera K riporta tale inno con inseritavi una strofa invocativa a Sant’Ermacora (Hermachora, diu optato…) strofa questa mancante nel messale aquileiese del 1519. Terminati i giri processionali veniva professata la fede comune recitando il “Credo”, il celebrante poi cantava il prefazio seguito dalla benedizione dell’acqua battesimale. Premesso un esorcismo, seguivano vari gesti rituali carichi di significato simbolico, quali la divisione dell’acqua in forma di croce forcuta, l’immersione graduale del cero benedetto nell’acqua, l’alitazione sulla stessa e la commistione del crisma (Cristo) e dell’olio dei catecumeni con l’acqua (la Chiesa). Finalmente si amministrava il battesimo. In antico i neobattezzati altrove venivano rivestiti con la veste bianca simboleggiante la loro rinascita spirituale “con l’acqua e con lo Spirito Santo”.Anticamente il battesimo degli adulti avveniva solitamente per immersione nell’acqua benedetta. Ogni chiesa episcopale alla quale era riservata l’amministrazione del battesimo era provvista di una vasca adeguata a tale occorrenza. Tale vasca battesimale era inclusa in una costruzione (detta battistero) situata attiguamente alla chiesa. Ad Aquileia il battistero fu strutturato nella parte antistante l’entrata della basilica. È appunto da questo luogo che, terminata l’amministrazione del Battesimo, si formava il corteo per far ritorno in basilica mentre litanicamente venivano invocati tutti i santi.Una volta entrati, prostrati sul pavimento, si continuava con il canto delle litanie fino alla triplice invocazione conclusiva “Kyrie… Christe… Kyrie eleison” che coincideva con l’inizio della messa della “Grande Notte”. L’attuale consimile triplice invocazione penitenziale posta all’inizio di ogni messa si ricollega verosimilmente all’antico uso di quel canto titanico del Sabato Santo.
Processione eucaristicaL’antico costume di battezzare gli adulti, dopo aver impartita loro un’adeguata istruzione dottrinale, con il passare del tempo decadde incominciando a battezzare anche i bambini e questi preferenzialmente per infusione e non già per immersione come avveniva per gli adulti. Venendo meno alla pratica di battezzare gli adulti nel corso della “Grande notte” della veglia pasquale, i riti inerenti a questa vennero spostati prima nell’inoltrato pomeriggio, poi al mezzodì e finalmente al mattino del sabato santo. Quella che era originariamente una “veglia notturna” trasformò l’intera giornata del Sabato Santo in una “vigilia di Pasqua”.A riempire il tratto di tempo intercorrente tra le cerimonie ormai anticipate al mattino del sabato e la celebrazione della messa del giorno di Pasqua, si inserì una particolare costumanza celebrativa che non trovava riscontro nello svolgimento più antico della liturgia pasquale. Tale cerimonia, apparentemente avulsa e non pertinente alla più antica liturgia, consisteva in una processione teoforica (eucaristica).Stando alle annotazioni storiche, pare che l’usanza di una tale processione (collocata in un momento non sempre precisato ma comunque posto tra le cerimonie anticipate del sabato santo e la messa solenne del giorno di Pasqua) trovasse riscontro in varie chiese della Gallia e della Germania fra il XII e il XV secolo con le stesse modalità osservate ad Aquileia.In alcune parrocchie della nostra diocesi sopravvive tutt’oggi l’usanza di quella antica processione eucaristica che comunemente venne ed è ancora chiamata del “Resurrexit”.La cerimonia della citata processione eucaristica ad Aquileia, come dettagliatamente riferita dagli scritti dell’epoca, si svolgeva in questo modo. Alla sera del sabato o nel primissimo mattino del giorno di Pasqua, già prima del sorgere del sole, il clero si radunava nella basilica. Ordinatamente si dirigeva in silenzio al “sepolcro” e lì giunto, aperto il cancello dal cameraro con le chiavi a lui affidate, venivano cantati tre salmi (n. 3 “Signore, perché hai moltiplicato coloro che mi affliggono…”, n. 138 “Signore, tu mi hai messo alla prova” e n. 56 “Abbi pietà di me, o Dio, poiché io confido in te”).Appena terminati i salmi il celebrante incensava la Croce (erano prescritti tre turiboli). Un sacerdote prelevava la Croce e con essa andava a porsi a capo del corteo. Il celebrante, lasciati nel “sepolcro” i “lini e il sudario”, prendeva l’Eucarestia “cum maxima reverentia”, e così la processione si avviava mentre i corari intonavano il canto “Surrexit pastor bonus” con il “Cum rex gloriae Christus”.Non è dato sapere quale fosse il percorso tenuto dalla processione, se limitato all’interno della chiesa o se snodantesi anche fuori di questa. Alla fine della processione il sacerdote crocifero depositava la Croce sull’altare. Venivano cantati alcuni responsori alternati a versetti con la conclusione di cinque “oremus” dopo di che le Sacre Specie venivano ricollocate dal celebrante nel “sacrarium” (o “secretarium”). Forse, ma è solo un’ipotesi, la terza particola, consacrata nella messa del giovedì santo, era proprio quella destinata ad essere portata quindi in processione nel giorno di Pasqua, per rispondere letteralmente al profetico “post tres dies rexsurgam”.
La “Visitatio Sepulchri”A far sorgere questa para-liturgia fu certamente un’accentuata propensione esistente nel clero di offrire al popolo, illetterato ma sensibile, una visualizzazione di alcune verità dottrinali e di certe realtà storico-cristiane. Si era consci che una rappresentazione drammatica di alcuni avvenimenti di valore sacrodottrinale, avrebbe ottenuto una immediata ed efficace presa sull’animo dei fedeli, specialmente quando questi venivano direttamente coinvolti nell’azione rappresentativa.A ciò meravigliosamente si prestavano i fatti connessi alla Passione, Morte e Risurrezione del Redentore come riferiti dai Vangeli. Uno degli episodi evangelici connessi con la Risurrezione e ricordato nella solennità pasquale era quello riguardante l’andata delle pie donne e degli apostoli, Pietro e Giovanni, al sepolcro di Gesù appena sorto il sole. Questo episodio si prestava acconciamente per una suggestiva drammatizzazione con i personaggi in esso coinvolti (le pie donne, gli angeli, i due apostoli, ecc.).Ed ecco come avveniva ad Aquileia tale drammatizzazione che conteneva “in nuce” la cellula generativa di susseguenti rappresentazioni sacre ben più sviluppate e complesse e dalle quali poi deriveranno senza rappresentazione scenica gli oratori sacri. Ad un’ora non precisata, tra il sabato e la domenica pasquale, il popolo, al richiamo delle ormai “sciolte” campane, si riuniva nella basilica. Il vescovo, convenientemente paludato e impugnando il pastorale, iniziava il Mattutino intonando il “Signore, apri le mie labbra”. Terminato il canto dell’ufficio di “Mattutino”, il clero lasciava il coro reggendo ognuno una candela accesa andandosi a disporre a metà navata collocandosi ai due lati.Ottenuto un devoto silenzio, carico di attesa, il coro attaccava con il passo evangelico: “Maria Maddalena e l’altra Maria, recando con sé gli unguenti aromatici, di buon mattino si avviarono alla tomba del Signore”. Nel frattempo tre sacerdoti (raffiguranti le pie donne) in veste bianca e con in mano un turibolo fumigante, usciti dalla sacrestia si avviavano al sepolcro. Cammin facendo, cantando, levavano lamento per la morte del Signore ed esprimevano la loro preoccupazione per la difficoltà nel poter togliere la grande pietra collocata all’apertura di accesso alla carriera tombale. Dicevano tra loro: “Chi ci potrà rotolare via la pietra dell’ingresso della tomba per entrarvi?”. Ma un angelo bianco vestito (un giovanetto o un diacono) seduto su una pietra attigua all’ingresso si rivolgeva loro dicendo: “Donne pavide e piangenti chi cercate in questo sepolcro?”. Esse rispondevano: “Noi cerchiamo Gesù di Nazaret che è stato crocifisso”. E l’angelo: “Colui che cercate non è più qui. Affrettatevi piuttosto a riferirlo a Pietro e agli altri discepoli annunciando loro che Egli è risorto”.Mentre l’angelo annunciava ciò le donne profumavano il sepolcro incensandolo e poi celermente tornavano sui loro passi cantando: “Siamo andate gementi al sepolcro. Abbiamo visto lì assiso l’angelo del Signore. Ci ha annunciato che Cristo è risorto”. Allora il coro interveniva soggiungendo: “I due discepoli accorsero insieme ma uno giunse prima di Pietro. Alleluia”.I due apostoli-attori giunti al sepolcro prelevavano da lì i lini e il sudario e li mostravano agli astanti cantando: “Ecco lini e sudario, o amici. Ma nel sepolcro non abbiamo trovato il corpo (del Signore)”.A questo punto il vescovo accedeva al sepolcro, lo incensava e, preceduto dall’angelo portante la Croce si collocava in mezzo al coro e proclamava solennemente: “Il Signore è risorto dal sepolcro, proprio lui che per noi pendeva dalla Croce”. Quindi offriva agli altri il suo abbraccio di pace, mentre il coro conclamava giubilante: “Il Signore è risorto, come aveva predetto, e precederà i suoi in Galilea. Là lo vedrete. Alleluia, alleluia, alleluia”. Tutti erompevano in un esultante: “Cristo è risorto” e immediatamente si cantava il “Te Deum” o altro canto seguito da quello delle “Lodi” dando termina così alla Visitatio Sepulchri.
(da Voce Isontina n. 15 del 14 aprile 1984)
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