Tutti insieme: sicurezza e dignità
13 Marzo 2017
Il lavoro – come ogni altra attività umana – è sottoposto alla legge della sicurezza e insieme della imprevedibilità. Legge drammatica che attende nell’ombra magari dopo uno sfinimento come alle prime ore della giornata, dopo un riposo ed una feria come nel cuore della settimana, della notte oppure del giorno. Legge che non riguarda il soggetto singolo – anche se spesso a farne le spese è la singola persona – ma che riguarda l’organizzazione complessiva del lavoro – ed ancora prima la programmazione – e la sua esecuzione, fino alla verifica alla sua conclusione. Attenzione e disattenzione di tutti e di ciascuno, magari solo un attimo, possono essere causa di vita o motivo di morte.Pena e sofferenza che è legata appunto alla imprevedibilità di tanti elementi, accompagna l’umano fatica che caratterizza ogni lavoro, ma che diventa insopportabile ingiustizia quando si accompagna allo stress, alla disorganizzazione e ogni forma di velocizzazione indebita provocata da ritmi intensi e da superficialità nell’uso attento di ogni necessaria prevenzione e, soprattutto, da insufficiente e scarsa attenzione alla componente umana del lavoro. Il lavoro incomincia e si motiva fra le mura di casa; si alimenta delle urgenze della società e delle relazioni interpersonali, vive per la realizzazione di progetti possibili e soffre per ogni noncuranza e abbandono di solidarietà e di partecipazione; soggiace certo alla fatica dell’anima e del corpo, rischia di perdere il controllo a causa di impreparazione e pressapochismo; può spegnersi ed essere soffocata da un attimo di disattenzione, per la mancanza di un legame e di un’amicizia, di una custodia attiva di coloro che ci circondano.La dura esperienza del lavoro – come ricordano le troppe lapidi poste in memoria delle vittime e dei caduti sulle strade o negli stabilimenti, quasi a volerci ammonire e mettere continuamente in guardia – è segnata da queste tragedie per le quali ogni volta non è giusto invocare il tragico destino ma chiedersi, in primo luogo, se tutti abbiamo fatto la nostra parte..Anche la più infima e apparentemente poco influente. Interrogarsi se, insieme, abbiamo dato motivazioni serie al lavoro, se abbiamo a cuore la dignità del lavoro e dei lavoratori, se abbia curato tutte le sue fasi e se il clima generale è un’atmosfera di solidarietà e di collaborazione, perfino di disponibilità al cambiamento, fino alla riduzione dei ritmi e delle abitudini eccessivamente basate sulla esperienza che spesso tradisce. La tragedia degli incidenti interroga tutti sul limite della condizione umana e sulla precarietà di ciascuno che si oppongono ad ogni tentazione di onnipotenza e di disprezzo del vivere.La morte, ancora una volta nello stabilimento della Fincantieri, in fabbrica – tragico convergere di tanti elementi – chiede di onorare la vita della vittima che, ancora una volta, ha pagato con il bene più prezioso ed unico; ma chiede a tutti un rigurgito di umana solidarietà, di condivisione e di autenticità. Fra quelli che hanno lavorato con lui – il serbo e la sua famiglia – e fra tutte le componenti di quella comunità che è il cantiere, dirigenza e maestranze insieme; fra quelli che hanno condiviso le manifestazione di solidarietà dentro e fuori la grande fabbrica, con la città e le comunità dei nostri paesi. Assenze e silenzi, abbandoni al primo vicolo sono piuttosto la prova di scarsa sensibilità umana e di perdita di senso della solidarietà che invece il sacrificio di una vita esalta e richiama.Il lavoro, quando è dignità, sa anche apprezzare questo sacrificio e la fatica di tutti; spetta a tutti darsi un sovrappiù di sapienza e di coraggio. La speranza è che ogni sacrificio non sia invano, si accompagna ad una presa di coscienza dei limiti e della precarietà, dentro ad un contesto di leggi che fanno cintura alla salute di tutti.
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