Dove nasce la forza per il martirio?
27 Marzo 2017
Quadretto alpino domenicaleOberinn – Auna di Sopra, sul Ritten-Renon sopra Bolzano, ha circa 600 abitanti, sparsi nei masi e nelle poche case del “centro”, costituito da una chiesetta gotica con il suo cimitero, dalla pensione Gasthof Mesnerwirt e – assai significativo – nello stesso edificio dall’asilo e dalla scuola, intitolato al giubileo di Franz Josef. Non c’è altro, se non uno sportello bancomat e il negozietto venditutto con le piantine di fiori in vendita lasciati tranquillamente fuori anche la notte. La mattina dopo saranno ancora lì.Sono le 8.15 del mattino e la campana chiama per l’unica messa della domenica alle 8.30. Gli uomini nella bancata destra, le donne a sinistra. Al suono della delicata campanella una fila di 24 chierichetti rigorosamente in veste rossa e cotta bianca entra seguendo la croce e candelieri portati dai ministri più grandicelli. I bimbi più piccoli in abito civile sono seduti nei primi banchi, ordinati e silenziosi. Gente in piedi e gente fuori, perché lo spazio non è molto. I giovani invece sono su nella cantoria, a formare il coro che, a quattro voci, offre corali cinquecenteschi accompagnati dall’organo, suonato con maestria, e brani contemporanei invece con il suono del pianoforte.Ma i corali e le risposte della messa al sacerdote le cantano tutti, proprio tutti: montanari dalle mani aspre, giovani uomini distinti con foulard al collo, donne in età e donne più fresche che guardano le loro creature sedute là avanti nei primi banchi.Mi domando perché tanti bambini per così pochi abitanti in una terra difficile come la montagna; e non riesco intimamente a credere per il cospicuo contributo mensile che la lungimirante Provincia elargisce per i nuovi nati: non canterebbero così a messa, le madri e i padri.Mi domando ancora perché non vedo borsoni con le mute tecniche e pulmini di “mister” che attendono impazienti i bambini la domenica mattina per scorrazzarli qua e là nei vari campi sportivi: sono tutti lì i ragazzi, infatti.Mi domando ancora perché cantano tutti, perché la chiesetta è bella e ordinata, ben illuminata, con impianti tecnici all’avanguardia, le cotte plissettate della trentina di chierichetti rigorosamente pulite e stirate; e perché, appena usciti dalla chiesa al termine della messa, molti si fermano nel piccolo grazioso cimitero adiacente a dire una preghiera. Non riesco ad immaginare che anche questo sia legato ad un contributo della ricca Provincia bolzanina, né perché “in montagna non hanno altro”: qui sembra che i redditi siano mediamente assai più alti che da noi e la tivù c’è sicuramente in ogni casa.E non posso non pensare, invece, alla nostra fatica cittadina settimanale per invitare le famiglie e i ragazzi all’incontro con Cristo a messa, alle centinaia di inviti speranzosamente inviati dalle catechiste nei vari gruppi WhatsApp di genitori e ai tanti “non posso”, “non ci siamo”, in risposta, agli studi accurati – e sfibranti – sulle tecniche da usare nelle attività di formazione dei ragazzi, sugli orari più adatti delle messe, delle catechesi, degli incontri con i genitori.Un tanto non per santificare gli uni e colpevolizzare gli altri, ma per riflettere. Guardando all’altro capita di comprendere meglio anche se stessi. E di vedere più chiaramente la strada da prendere.
Partire dal “Tu” e dal “noi”E la prima riflessione è che la fede e il coraggio di Pepi Mayr-Nusser davanti al nazismo sono nati in un contesto come questo: in una cultura cristiana forte, in un modo di vivere e di pensare, cioè, condiviso e con radici positive nel Vangelo e nella vita della Chiesa. Non c’è fede senza una vita che la esprima, senza una cultura pratica che la sostenga e la alimenti: i calendari familiari, i riti, le scelte di investire il tempo proprio e dei figli in una attività piuttosto che in altre. E questo poi produrrà frutti buoni, non c’è dubbio; e la storia lo dimostra abbondantemente.Investire invece innanzitutto sull’”io”, sui desideri individuali presi come norma assoluta dell’essere e dell’agire, come ci ricordava anche padre Marko Rupnik nella recente conferenza a Gorizia, porta alla morte della cultura condivisa e al rinsecchimento della società intera. È grave mortifera illusione credere che bisogna partire dall’”io” per realizzarsi umanamente o essere felici: Cristo ci ha insegnato a partire dal “Tu” del rapporto con il Padre, dal “noi” della comunità ecclesiale; poi si arriva all’”io” di una vita vissuta come grata e gioiosa risposta alla grazia e ai doni ricevuti.La fede non è “individuale”, ma “personale”, cioè in relazione con un “Tu” e con un “noi”. Quando introduciamo nella nostra vita di battezzati il concetto di “credente non praticante” e lo adottiamo come bandiera nell’avventura della vita, lasciamo spazio senza volerlo al virus dello sfaldamento del tessuto ecclesiale. Ma anche allo sfaldamento del tessuto sociale, culturale e – dobbiamo constatarlo, purtroppo, senza voler scandalizzare nessuno – pure demografico.La pratica dell’eucaristia domenicale, invece, non è un pesante scotto da pagare “alla Chiesa”, ma la sorgente della vita di Dio in noi e della permanenza della nostra fede e della cultura cristiana del nostro popolo.
Disposti alla perditaJosef Mayr-Nusser rifiutando di giurare a Hitler e al nazionalsocialismo sapeva di andare incontro alla perdita della vita e non solo: anche alla perdita degli affetti familiari e alla sofferenza della sposa e del figliolo. Questo può quasi irritarci e sembrarci una crudeltà inutile.Parlare di “perdita” nella nostra cultura civile è veramente difficile, quasi offensivo a volte. Anche la naturalissima perdita della giovinezza o della salute, infatti, diventa inaccettabile per più di qualcuno.Eppure per la nostra vita umana c’è una profonda dolorosa saggezza nell’accettazione della perdita. Quasi ogni svolta decisiva in noi è legata ad una perdita. Perdiamo la condizione di bambino quando entriamo nella pubertà, ma diventiamo capaci di generare. Perdiamo la condizione di “single” quando ci sposiamo, ma rinasciamo come sposo, come sposa, come famiglia. E così via.Perdita è sinonimo di “morte”. Moriamo come feto, quando veniamo portati alla luce, ma proprio allora inizia una nuova vita. Forse quella vera.Mentre ci avviciniamo alla “Pasqua di morte e risurrezione di Gesù Cristo”, forse ci fa bene ricordare che non tutto è perduto quando perdiamo qualche cosa di noi stessi per amore. Questo ci ricordano i martiri con il rosso vivo del loro sangue.
Un filo di sangue lega a Gorizia il nuovo beato tirolese Josef Mayr-Nusser: il padre infatti morirà in combattimento proprio a Gorizia durante la disgraziata Prima Guerra mondiale. E per il piccolo Pepi, nomignolo con cui era chiamato in casa, nato negli splendidi altipiani bolzanini, inizierà una storia breve, ma straordinaria, che a sua volta lascerà molti anni dopo senza un papà sulla terra anche il figliolo di pochi anni Albert, presente ed emozionato al rito di beatificazione sabato 18 marzo 2017 nella cattedrale di Bolzano.
La sua biografiaJosef Mayr-Nusser nacque nel 1910 al Maso Nusser (Nusserhof) ai Piani di Bolzano.Dopo le scuole commerciali lavorò come contabile a Bolzano, ma proseguì la sua formazione personale da autodidatta. Le sue passioni erano l’astronomia e la teologia.Colpiscono, per un giovane montanaro, le sue letture preferite: san Tommaso d’Aquino, l’inglese san Tommaso Moro e Peter Mayr, patriota tirolese, che preferì morire piuttosto che mentire. Josef risaltava tra i compagni soprattutto per la sua fede profonda.Nel 1932 Josef entrò a far parte della Conferenza di San Vincenzo di Bolzano/Centro poiché al suo interno egli scorgeva la possibilità di vivere il suo essere cristiano nella quotidianità. Quando nel 1937 fu fondata una Conferenza di San Vincenzo ai Piani di Bolzano, ne fu nominato presidente.Quando nel 1933 fu fondato a Bolzano un gruppo giovanile cattolico c’era anche Josef. Nel 1934 fu nominato presidente della sezione maschile dei giovani di Azione Cattolica della cosiddetta “parte tedesca” dell’Arcidiocesi di Trento. Il fatto che fosse chiamato a presiedere due organizzazioni testimonia della sua grande capacità di guida. Visitava personalmente i gruppi giovanili, pubblicò lettere circolari e scrisse contributi per la rivista “Jugendwacht”. Il suo assistente spirituale fu don Josef Ferrari, per lui un sostegno particolarmente significativo.Durante il periodo delle “Opzioni”, nel 1939, Josef Mayr decise di rimanere nella sua terra, a differenza della maggioranza degli altoatesini, in un ambiente, sotto il fascismo, dichiaratamente ostile ai cittadini di lingua tedesca.Il 26 maggio 1942 sposò Hildegard Straub e un anno dopo nacque il figlio Albert.Nel settembre del 1943 l’Alto Adige fu occupato dalle truppe tedesche. Nel settembre del 1944 Josef fu arruolato nelle SS. Un atto contro il diritto internazionale, dal momento che egli, in quanto “Dableiber”, nel 1939 aveva scelto di mantenere la cittadinanza italiana. Josef partecipò al periodo di addestramento, in Prussia, ma il giorno prima del giuramento dichiarò che, per motivi di coscienza, non avrebbe potuto prestarlo. I compagni tentarono di dissuaderlo. Egli rispose loro di essere consapevole che quel rifiuto gli sarebbe potuto costare la vita, ma che la sua coscienza cristiana gli proibiva di agire in altro modo.Il 4 ottobre 1944 Josef Mayr-Nusser rifiuta di prestare giuramento alle SS per convinzione cristiana ed è quindi condannato a morte. Il treno diretto a Dachau dovette sostare nei pressi di Erlangen per otto giorni a causa dei binari distrutti. A Erlangen Josef Mayr morì di stenti il 24 febbraio 1945 in un vagone bestiame. Il militare di guardia testimonierà che con sé aveva soltanto un Vangelo, un messalino e il rosario.Troverà la sua sepoltura definitiva nel Duomo di Bolzano, dove è proclamato beato il 18 marzo 2017.
Giovane uomo di fede“Per Josef Mayr-Nusser l’amore di Dio non significava soltanto protezione e consolazione, ma anche un’esigenza. Quest’amore non permette indifferenza o negligenza, ma pretende una netta distinzione tra il bene e il male”, ha affermato l’abate Fischnaller in una messa di suffragio per Josef.Negli scritti, nei discorsi e nelle lettere, già giovane di Azione Cattolica, mostra la profondità della sua fede è l’importanza che questa ha nella vita quotidiana. Vale, tra tante, le parole scritte nella rivista giovanile JUGENDWACHT il 15 gennaio 1938: “Dare testimonianza oggi è la nostra unica arma efficace. È un fatto insolito. Né la spada, né la forza, né finanze, né capacità intellettuali, niente di tutto ciò ci è posto come condizione imprescindibile per erigere il regno di Cristo sulla terra. È una cosa ben modesta e allo stesso tempo ben più importante che il Signore ci richiede: dare testimonianza”.
Membro attivo della S. VincenzoNel 1932 Josef entrò a far parte della Conferenza di San Vincenzo di Bolzano/Centro poiché al suo interno egli scorgeva la possibilità di vivere il suo essere cristiano nella quotidianità. La visione dei verbali delle riunioni indica come durante questi incontri si partisse sempre dalla lettura spirituale, gesto a cui Josef Mayr-Nusser attribuiva molta importanza. Già nel 1934 scriveva in una Lettera della Conferenza di San Vincenzo quanto segue: “È la lettura (spirituale) che ci insegna a guardare il povero con gli occhi di Gesù, che prima e al di là del bene temporale della persona mirava alla sua salvezza eterna.”Il Maso della famiglia Nusser era poi il luogo di distribuzione periodica di una quantità di patate a circa 50 famiglie bisognose.
Marito amorevole e rettoSono commoventi le lettere che Josef scambia con la sua sposa, lettere intrise di rispetto e d’amore, ma anche di fede e di fermezza nella coscienza cristiana. Tra le ultime scriverà così: “Ciò che più di ogni altra cosa affligge il mio cuore, o mia fedelissima compagna, è che nel momento decisivo, la mia professione di fede ti getterà un immane dolore”. E poi spiega: “preferisco perdere la vita piuttosto che abbandonare la via del dovere”.
Testimone cristallinoLa decisione di rifiutare il giuramento a Hitler, e quindi di esporsi alla morte, fu il frutto di un lungo percorso interiore, come si evince dalle sue lettere e dai suoi interventi. Da Konitz, il 27 settembre 1944, Josef scrisse una lettera alla moglie e al figlio Albert: “L’impellenza di tale testimonianza è ormai ineluttabile; sono due mondi che si scontrano l’uno contro l’altro. I miei superiori hanno mostrato troppo chiaramente di rifiutare e odiare quanto per noi cattolici è sacro e irrinunciabile.” Dopo la guerra il suo compagno Hans Karl Neuhauser di Brunico raccontò di aver detto a Josef di non credere che Dio pretendesse da lui il rifiuto del giuramento e che con il suo atto non avrebbe cambiato niente tranne che per la sua famiglia, che sarebbe rimasta senza padre. La risposta di Josef fu questa: “Se nessuno ha mai il coraggio di dire loro che non è d’accordo con le loro visioni nazionalsocialiste, allora non cambierà mai niente.”
Figura attualeJosef Mayr-Nusser ha consumato in breve la sua esistenza terrena. L’ha riempita di lavoro, di fede, di carità, di rettitudine e di testimonianza cristiana. Ha dimostrato che un cristiano, per essere tale, sa leggere il presente e sa prendere posizione, per lui in tempi in cui prendere posizione poteva significare la perdita di ogni cosa, vita compresa. Ci ha dimostrato che il rapporto con Cristo trasforma la persona umana e la rende differente dal contesto, capace anche di dire “no”, quando tutto il mondo attorno sembra di di “sì”.
(Fonti: http://www.josef-mayr-nusser.it)
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