Un Consiglio per noi preti…
30 Marzo 2017
È stata una riunione di giunta simpaticamente quasi tumultuosa, quella di lunedì 20 marzo scorso per preparare il Consiglio Presbiterale del 6 aprile prossimo alle 9.30, in comunità Sacerdotale. Come è sana prassi, del resto, quando si incontrano e si confrontano, pur nel numero ristretto di presbiteri all’opera, visioni differenti e articolate di Chiesa, di pastorale, di immagine stessa del presbitero.A tema c’era l’ordine del giorno del prossimo Consiglio Presbiterale. Preciso il suggerimento del Consiglio dei Vicari: dopo aver esaminato nell’ultimo Consiglio Presbiterale lo stile pastorale della Chiesa, specialmente su ispirazione di papa Francesco, affrontare alcune pratiche pastorali, in particolari quelle che ci mettono in contatto con l’ingresso nella Chiesa, come i sacramenti dell’iniziazione cristiana degli adulti in particolare, e con l’ingresso del battezzato nella vita eterna, come l’accompagnamento nelle esequie cristiane.Apriti cielo! Ecco che si alzano mugghianti gli alti flutti della discussione; e l’esile barchetta con i sei coraggiosi navigatori a bordo deve avventurarsi tra le ripe scoscese di Scilla – “mica ritorneremo a elenchi di norme e rubriche cerimoniali” – e le plaghe insidiose di Cariddi – “a che serve parlare tanto, tanto i preti fanno quello che possono”.Fortunatamente, come in ogni storia marinara che si rispetti, usciti dal turbine, ecco stagliarsi all’orizzonte il piccolo porto inatteso, che con due braccia accoglienti sembra attenderci da sempre. Il primo braccio è “accoglienza”, quella tenera attesa delle persone che deve trasparire in ogni gesto, domanda, incontro che vive il presbitero. Accoglienza che promana dallo sguardo, dalla postura, dalle parole del prete, perché in realtà viene dal cuore di Cristo, di cui noi preti siamo espressione e addirittura sacramento.E il secondo braccio del porticciolo è “evangelizzazione”, il poter ridire ancora una volta alle anime che, come gli operai delle cinque del pomeriggio, chiedono apparentemente troppo tardi e spesso senza evidente consapevolezza un sacramento, che Dio le ama e in Cristo le attende, nella comunità cristiana, per dare nuovo senso e più ricco alla vita. Non ha importanza se nella parrocchia di cui sono al servizio non sembrano esserci richieste di battesimi o di cresime da parte degli adulti: anche se è chiaramente un fenomeno sempre più in crescita – e dovremo trovarci sempre più preparati ad avere a che fare correttamente con degli adulti allontanati dal cristianesimo e poi riavvicinati alla Chiesa – in realtà l’iniziazione cristiana degli adulti è la matrice da cui prendere ispirazione per la prassi ordinaria della catechesi e della pastorale. Per “accogliere”, allora, non basta istintiva bonarietà e sorriso accondiscendente, ma bisogna riscoprire come la Chiesa accoglie i suoi figli nei gesti rituali, che sono poi i gesti pubblici con la quale essa è conosciuta e riconosciuta. Ecco allora perché approfondirli, dialogarci assieme, identificare e seguire delle prassi comuni e riconoscibili, accompagnati dal nuovo incaricato diocesano don Flavio Zanetti, che in lunghi anni di Africa di catecumeni ne ha accompagnati centinaia verso il Battesimo.Così come per “evangelizzare” non bisognerà attendere il gruppo scelto dei “cercatori di Dio” per l’incontro settimanale sul Vangelo, ma inserirsi ad esempio nell’occasione dolorosa, ma umanamente ricchissima, della morte di un proprio caro, quando i familiari vengono a chiedere le esequie cristiane. Cosa non scontata, tra l’altro. E, anche qui, non lasciare che le pratiche dei battezzati di fronte alla morte vengano abbandonate alle subculture metropolitane o mutuate dalle trasmissioni televisive, ma inserirsi con delicatezza e ferma attenzione per annunciare come noi cristiani la affrontiamo, la morte, visto che Cristo ci ha guadagnato la risurrezione e la vita eterna.
*Vicario episcopale per l’Evangelizzazione e i Sacramenti
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