Enrico de Calice: diplomatico goriziano tra il Sol levante e il Corno d’Oro

Venerdì 14 luglio 2017, ore 20.30, a Farra d’Isonzo – Palazzo Calice (Municipio, Piazza Vittorio Emanuele III, 10), verrà presentato il libro di Federico Vidic “Enrico de Calice Un diplomatico goriziano tra il Sol levante e il Corno d’Oro”,  introduzione di Liliana Ferrari.Dopo il saluto del Sindaco Alessandro Fabbro, ne parleranno la prof. ssa Liliana Ferrari (Università degli Studi di Trieste) e il prof. Ferruccio Tassin (Istituto di Storia Sociale e Religiosa di Gorizia); considerazioni finali dell’Autore. La manifestazione è promossa dall’amministrazione comunale di Farra d’Isonzo, dalla Cassa Rurale e Artigiana di Lucinico Farra e Capriva (Cassa Rurale FVG), dall’ Istituto di Storia Sociale e Religiosa di Gorizia, con il patrocinio della Società Filologica Friulana.“Chi fu il primo occidentale a firmare un trattato con l’imperatore del Giappone? Chi riuscì per trent’anni a mantenere la pace nei Balcani, la “polveriera d’Europa”, con le sole armi della diplomazia? Chi fu il più ascoltato consigliere di Francesco Giuseppe per le questioni d’Oriente?Chi fu il più influente goriziano del XIX secolo? Come poté da una piccola terra di confine arrivareai vertici della diplomazia internazionale?Enrico de Calice nato a Gorizia nel 1831, intraprese la carriera diplomatica nel 1859 e fu console a Liverpool (1864 -1871), console generale e ministro residente in Siam, Cina e Giappone (1871-1874), con i quali stipulò i primi trattati per conto dell’Austria-Ungheria. Inviato a Bucarest (1874-1876), venne nominato plenipotenziario alla conferenza di Costantinopoli (1876). Secondo e quindi primo capo sezione al Ministero degli Esteri a Vienna, fu ambasciatore a Costantinopoli (1880-1906), dove divenne anche decano del corpo diplomatico. Morì a San Pietro di Gorizia nel 1912. Calice riuniva in sé le qualità del “gran signore” dell’ultima età asburgica. Colto, raffinato, elegante conversatore, posato e padrone di sé, sapeva guidare il proprio giudizio sugli interlocutori tra innato ottimismo ed equilibrata conoscenza delle circostanze e dei fatti alla basedelle scelte degli uomini. Esercitava il suo servizio come se fosse un piacere personale prima ancora che dovere d’ufficio, dando prova di generosità e distacco di fronte alle delicate questioni di politica internazionale”.Autore di questa ricerca, che coinvolge l’Estremo Oriente (agli albori dell’apertura politica e commerciale con USA ed Europa), il mondo Mediterraneo, i Balcani, è Federico Vidic, goriziano, che ha conseguito laurea e specializzazione in Scienze internazionali e diplomatiche all’Università di Trieste, sede di Gorizia. Master in Management dei servizi avanzati all’Alma Graduate School dell’Università di Bologna. Assunto al Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale a seguito del concorso diplomatico 2014 ’Bernardo Attolico’, ha prestato servizio alla Direzione Generale per l’Unione Europea, all’ufficio per i rapporti bilaterali con i Paesi dell’Europa mediterranea. Dal 2017 all’Ambasciata d’Italia ad Amman in Giordania”.In 166 pagine, il libro, di un formato che lo fa tenere volentieri in mano, accompagna scorrevolmente il lettore in un mondo, dove quello attuale sembra proprio un’ eco, pur nel mutare della storia, che non si ripete affatto, ma che è sempre un intrico di interessi di grandi potenze, che vorrebbero la pace, e che mettono in campo eserciti e vendono armi, che, come ebbe a scrivere già Tacito al tempo dei Romani, “fanno il deserto e lo chiamano pace”, che tendono a spartirsi il mondo fra tutele che nessuno richiede e l’eterna, virgiliana “auri sacra fames”, la esecranda fame dell’oro. In mezzo a tutto questo caracollare di armi, trattati, paci, guerre, ricerca di equilibri e popoli sballottati nella sofferenza, la classe dei diplomatici, con una capacità di infinita pazienza nel tessere e ritessere, riprendere fili interrotti, non di rado, con la sincera ricerca della pace e della concordia fra popoli e nazioni che si rimescolano in un eterno caleidoscopio del tempo.Alla fine della carriera, creato conte, motu proprio, dall’Imperatore Francesco Giuseppe, Enrico Calice si ritirò a San Pietro di Gorizia, dove morì. I funerali furono presieduti da un altro grande della storia, non ugualmente fortunato e riconosciuto, l’on. mons. Luigi Faidutti, allora deputato al parlamento di Vienna, il quale, dopo la tragedia della grande guerra, collaborò a ritessere la pace nei Pesi Baltici.Toccante fu l’amore del Calice per il suo Friuli, che onorò, sentendolo patria e traducendo in lingua friulana poesie di Schiller e di altri poeti di lingua tedesca. Federico Vidic, per la prima volta, ne ha tratto un’opera molto convincente, ferrata di fonti, di una ricca bibliografia, di immagini d’epoca, anche inedite, riuscendo a far dire, a sigillo della sua vita, al Calice, un postumo, virgiliano “exegi monumentum aere perennius…”; “sono riuscito a erigere alla mia memoria un monumento più eterno del bronzo…”, e questo, sia nel clangore della vita pubblica, che nel ritiro degno di memorie e di amore per la propria terra.