Chiesa e impegno politico: il Concilio sempre dimenticato
14 Luglio 2017
Oggi, come ieri, le contraddizioni sono all’ordine del giorno in quasi tutti i settori della convivenza e, in particolare delle’informazione: secondo l’autorevole Ernesto Galli della Loggia, commentando le recenti vicende della chiesa in Italia, oggi “l’opinione pubblica sarebbe in grande maggioranza ostile all’idea che la Chiesa faccia politica” (quest’utima parole tra virgolette) e benedice quella che, a suo parere, sarebbe una svolta, esemplificata appunto nella recente designazione (per intanto) del card. Gualtiero Bassetti alla presidenza della Conferenza episcopale italiana. Alla Chiesa, sempre secondo il professore, sarebbe affidato così un compito di misericordia e/o di aiuto e conforto, di denuncia dei mali strutturali del mondo (natura, risorse, ambiente, migrazioni…. Insomma un ruolo assistenziale e “da ospedale da campo”).Ogni tanto (anzi spesso) sulle stesse colonne, si lamentano (con ragione) le “assenze” dei cattolici italiani, cioè le dimenticanze e le fughe dalle responsabilità anche solo culturali; in altri casi, si rimpiange il tempo in cui i cattolici (la Chiesa) sono scesi in campo in occasioni di vere e proprie scelte di campo alla fine della seconda guerra mondiale; in altri, infine, si esaltano alcuni epigoni, dei quali si parla come di veri e propri “statisti” (titolo lesinato a quasi tutti gli altri) che hanno saputo guidare il Paese con autorevolezza e scelte illuminanti specialmente per la costruzione dell’Europa.La tradizione dell’impegno politico dei cattolici è una tradizione travagliata; non solo: praticamente non viene riconosciuta con i suoi travagli e le sue contraddizioni; anzi si preferisce dimenticare le scelte (patto Gentiloni) e, soprattutto, le scelte di popolo si negano; si preferisce sempre fare riferimento a qualche epigono autorevole e magari santo. Le citazioni, come qualla di lunedì scorso del Corriere della sera, appaiono più come un groviglio di riferimenti, perché c’è un po’ di tutto: da don Bosco e don Sturzo, Montini e l’Aci di Gedda, la comunità di S.Egidio e Comunione e liberazione… fino a La Pira e don Milani.La storia (plurale e pluralistica) del Movimento cattolico (con le cooperative e le banche, le assicurazioni e perfino il partito..) è dimenticata. Forse sconosciuta. Eppure si tratta di una storia di popolo, di una bvera militanza che, a partire dalla seconda metà dell’ottocento -innervandosi nelle encicliche (Dalloa Rerum novarum fino all’enciclica del Papa attuale), si conferma essere una presenza coraggiosa durante le guerre e d il fascismo, nella guerra di liberazione e nelle elezioni politiche e amministrative, nel tempo della guerra fredda e della ricostruzione… Niente si dice della rinascita del sindacato cattolico o delle associazioni ((Acli ad esempio) che sono state e sono il tessuto connettivo di tale impegno.Soprattutto -ed è la dimenticanza che pesa di più- silenzio assoluto sul Concilio ecumenico Vaticano II e su quanto (gruppi associazioni e personaggi) lo hanno preceduto e preparato; niente si dice della “scelta religiosa”, sempre male intesa e peggio descritta con confusione anche per la comunità cristiana. Storici e commentatori (che non siano quelli cattolici dichiarati) politici e giornalisti oggi sulla cresta dell’onda che, dopo essere stati da giovani nelle segreterie dei movimenti giovanili della sinistra anche estrema, oggi non si ricordano più della loro origine e occupano un comodo posto sui giornalini ed alla Tv che, un tempo, molto criticavano… Così va il mondo.Un silenzio, comunque, che non può essere coperto da un rimpianto (!?) verso Alcide De Gasperi o da una citazione spesso a caso di don Primo Mazzolari, del prof. La Pira o Dossetti, Fanfani, Aldo Moro o don Milani. Un florilegio di riferimenti che in molti casi sono fuori posto e, soprattutto, mancano di qualsiasi riferimento alla storia di popolo che è quella del movimento cattolico in Italia; poco o niente si dice rispetto ad alcune tesi (sempre trasformate in alleanze spurie) di gruppi e movimentismi, rispetto al pensiero e alle dottrine della chiesa nel sociale. Si evita per precisi interessi di parte.Invece si tratta di un patrimonio di studi e di ricerche, di esperienze vissute (contraddittorie ma sperimentate sul campo) che hanno superatto i centocinquanta anni di vita e di storia: tutto questo non merita spesso nemmeno una riga di citazione non si dice di apprezzamento, per il ruolo decisivo di discernimento svolto presso persone e comunità, nei circoli culturali e nelle pubbliche amministrazioni. Un servizio al bene comune. Si preferisce tirare in ballo a volte le chiese nazionali e le loro aspettative generiche: sullo sfondo resta un liberalismo del quale non si dice mai che era massonico e laicista la sua parte, o si riduce lo scontro ideologico con l’immagine di Peppone e don Camillo, ma senza la bonarietà del loro autore; ancora meno si riconosce o si ricostruisce -tra limiti e contraddizioni evangeliche evidenti – il cammino del popolo di Dio che vive in Italia e che seppe collaborare e discernere, decidere e sceglie ad esempio nel nome dei valori iscritti -insieme – nella Costituzione. Una carta poco amata: questa mancanza sta alla base della carenza di senso di patria e di senso dello Stato delle persone e delle comunità.”Fare politica”, per don Sturzo come per il gruppo dei professorini – e poi per la Dc, nata dal partito popolare messo fuori causa dal fascismo insieme al suo fondatore condannato ad andare all’estero – ha significato volere l’Europa insieme ai politici ispirati dalla stessa area (Adenauer e , in particolare); certo, nel corso della storia, alcuni “hanno brigato per posti e denari e favori…” , operazione che poteva risultare più difficile in presenza di un mondo ecclesiale più vigile ma anche di un’ informazione giornalistica meno genuflessa.Per la verità, quanti “hanno fatto politica”, sono stati spesso usati per interessi di parte o messi contro la comunità. Solo dopo tanti anni -e magari in confronto al presente- si riconosce che invece si trattava di impegno politico autentico, di servizio al bene comune, di testimonianza. Cioè di “politica” , direbbe Papa Francesco, “con la P maiuscola” . Anche nei suoi confronti -nonostante la sua autorevolezza e affidabilità- non mancano le dimenticanze, eppure non ha paura di parlare e di parlare chiaro e bene. Il Papa con il linguaggio del Concilio, come scelta di ciascuno e di tutti.Infine, occorrerebbe riconoscere che “l’impegno politico” non significa un chiudersi nelle sagrestie -come si voleva (e si vuole, oggi?) cento anni fa soprattutto da parte dei cattolici- ma significa un impegno pubblico ed in pubblico. Impegno al quale nessun credente può sottrarsi, anche il presidente della Cei. Modalità ed opportunità saranno diverse, e così stili e opzione differenti ma sempre evangeliche. L’impegno di laici e sacerdoti – come De Gasperi o come don Milani o don Mazzolari – ha la medesima passione per l’uomo e per il popolo; è animato dalla ricerca del bene comune e da una attenta mediazione culturale, dimensione irrinunciabile per fare politica attraverso il dialogo, il confronto e con la collaborazione anche di chi la pensa diversamente. I testi sacri dell’impegno politico e la esperienza dicono questo. Si può essere d’accordo o no. I pregiudizi di ieri e di oggi vanno superati come i giudizi scarsamente motivati. Anche il Corriere della sera può prenderne atto.
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