Quel tribolato pellegrinaggio dell’8 settembre 1943
14 Luglio 2017
Alla fine del mese scorso sono state ben 181 le persone di Romans d’Isonzo, che hanno partecipato al pellegrinaggio mariano fino all’isola di Barbana, organizzato dal parroco don Flavio Zanetti, con la collaborazione di molti suoi parrocchiani. La folta comitiva di fedeli romanesi è partita nel pomeriggio in pullman raggiungendo Grado e da lì l’isola di Barbana a bordo di alcuni vaporetti. Visto il numero, si è subito parlato di record di partecipanti, soprattutto in virtù del fatto che nessuno a Romans, pur avendo partecipato a tanti pellegrinaggi all’isola di Barbana nel corso di questi ultimi decenni, aveva memoria di una così numerosa affluenza. A smentire il tutto è stato Edo Martellos, classe 1931, che ha ricordato il travagliato pellegrinaggio dell’8 settembre 1943, il giorno dell’armistizio, quando da Romans, alla volta di Barbana, partirono ben 7 carri agricoli, carichi di fedeli e trainati da delle coppie di cavalli, di cui uno era stato affidato proprio alla sua guida, nonostante avesse solamente dodici anni di età, essendo già esperto nel tenere in mano le redini. Complessivamente, sotto l’organizzazione della popolare “Gigia Tomba”, al secolo Luigia Petruz ved. Naglich (1891 – 1961), parteciparono a quella trasferta a Barbana, in pieno periodo di guerra, forse per pregare la Madonna che si facesse portatrice della pace, ben 217 pellegrini, in maggioranza donne, ammassati sui carri coi posti a sedere sopra delle balle di paglia a forma di parallelepipedo, sistemate al centro e a perimetro dei tavolacci, quindi coi pellegrini che lasciavano penzolare verso l’esterno le gambe. “Raduno al sorgere del sole – ricorda Martellos – davanti al pilo in piazza dei Caduti a Romans e via al gran passo fino all’imbarcadero di Grado, da dove la folta comitiva salì sui vaporetti per sbarcare al santuario della Madonna, raggiunto prima di mezzogiorno. “I nostri pellegrini avevano appena consumato il pranzo – ricorda Martellos – mangiando quel poco che ognuno era riuscito a portarsi dietro in quei tempi di grande ristrettezza, quando scattò una sorta di allarme generale: campane e sirene iniziarono a far sentire tutt’intorno la loro voce in modo impressionante e pauroso, perpetrando il suono sia sull’isola di Barbana sia a Grado, a cui facevano eco tutte le imbarcazioni che in quel momento solcavano il mare e avevano saputo del messaggio letto dal maresciallo Badoglio con cui aveva annunciato la resa e l’entrata in vigore dell’armistizio con gli anglo-americani, mentre nel cielo iniziarono a sfrecciare le fortezze volanti americane, che sfilarono sopra le nostre teste per più di mezzora. I frati obbligarono tutti i pellegrini a lasciare immediatamente l’isola. Anche la comitiva di Romans fece immediatamente ritorno a Grado, dove noi, conduttori dei carri, attendevano il loro ritorno, previsto nel pomeriggio, per riportarli a casa. Sbarcati in fretta e furia, i pellegrini, impauriti cercarono subito riparo accovacciandosi sotto i carri, fintanto che la situazione si stabilizzò un poco e quindi partimmo a tutto spiano verso Romans. Lungo la via del ritorno – prosegue il racconto di Martellos – attraversando i vari paesi notavamo una generale concitazione, avvertendo l’inquietudine e la paura della gente e questo ci indusse a far correre i cavalli per arrivare a casa il più presto possibile. Sul mio carro erano sistemate circa 25 persone, tutte donne impaurite, che desiderose di ritornare a casa mi incitavano a sorpassare i carri che ci stavano davanti e procedevano in fila indiana sulle strade ancora sterrate, polverose e piene di buchi. L’operazione sorpasso mi riuscì più volte e poco dopo aver lasciato Villesse riuscii a guadagnare la testa del gruppo poco prima di fare ingresso a Romans, dove la coppia di cavalli, quasi avesse capito la situazione, si produsse in una specie di sprint finale, tanto che dovetti usare più volte il freno per ridurre la velocità che poteva diventare pericolosa per quanti erano a bordo. Sennonché i freni – prosegue Martellos – usati troppo spesso, si erano surriscaldati e avendo poca tenuta mi riusciva difficile rallentare la velocità del carro, che sotto l’impeto dei cavalli procedeva a forti strattoni. Giunto davanti al pilo a Romans, soddisfatto per aver portato a felice compimento il viaggio, mi girai, forse per guadagnarmi i complimenti delle passeggere, ma mi accorsi che sul carro non c’era più nessuno: le donne erano state sbalzate dal carro a seguito di quei violenti strappi. Ricordo che una donna – conclude Martellos – finita pure lei a terra, negli anni seguenti, finché è rimasta in vita, ogni qualvolta mi incrociava per strada mi faceva un gesto di ammonizione con la mano per ricordare quella caduta e quel martoria pellegrinaggio a Barbana”.
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