Immigrati: offrire qualcosa di più, oltre l’emergenza
29 Settembre 2017
La dimostrazione che sono i piccoli gesti a fare la differenza è rappresentata pienamente dalla famiglia Koching di Gorizia. I coniugi Thomas e Cristina, insieme alle loro due figlie Victoria e Sophia, hanno ricevuto lo scorso agosto il riconoscimento “Mattone su Mattone” da parte della parrocchia di San Rocco per il loro impegno all’accoglienza e sostegno ai migranti che giungono in città, vero esempio di testimonianza della Parola.La famiglia Koching – arrivata a Gorizia alcuni anni fa dalla Germania – è attiva nel sostegno ai richiedenti asilo con l’associazione “Insieme con voi” e ha ricordato come il premio sia per loro un riconoscimento a tutta l’associazione, che assiduamente si spende per permettere una permanenza dignitosa a coloro che, essendo fuori convenzione Caritas – Prefettura, non hanno un posto dove poter trovare riparo.Abbiamo incontrato Thomas e Cristina, ci siamo fatti raccontare come si siano avvicinati a quest’esperienza di accoglienza ma al tempo stesso come loro, provenienti da una realtà diversa come la Germania, vivano il “clima” goriziano sull’argomento migrazioni.
Signori Koching, com’è iniziato il vostro impegno per portare sostegno ai migranti?Abbiamo iniziato due anni fa su suggerimento di don Ruggero Dipiazza. Una delle nostre figlie stava seguendo il percorso per la Santa Cresima e don Ruggero ha invitato tutti i genitori a partecipare a progetti esterni alla parrocchia. A quel tempo sapevamo della realtà della parrocchia della Madonnina, che ospitava durante il giorno numerosi richiedenti asilo; abbiamo realizzato un incontro con i nostri cresimandi, accompagnandoli, e da quel momento alcuni tra i genitori si sono organizzati per proseguire nell’assistenza. Noi non eravamo mai entrati realmente in contatto con questa presenza in città ma, prima uno, poi l’altra, abbiamo iniziato con questo servizio di volontariato aderendo all’associazione “Insieme con voi”.
Di cosa vi occupavate principalmente alla Madonnina?Ricevevamo molte donazioni, sia alimentari che monetarie, da parte della Caritas, di volontari e di cittadini. Noi distribuivamo il cibo e procuravamo quello che mancava, ma la cosa bella era che i ragazzi si autogestivano: c’era ovviamente sempre qualcuno di noi in cucina, ma facevamo cucinare loro, pulivano la sala, preparavano l’occorrente per il pasto. Questo era un modo per renderli partecipi, coinvolti e per fargli fare qualcosa ed erano sempre molto contenti di poter essere “parte attiva”.
Com’è proseguito quindi il vostro cammino all’interno del mondo del volontariato?Ci sono stati alti e bassi per quanto riguarda gli arrivi. Quando si è chiusa l’esperienza alla Madonnina, più o meno nello stesso periodo sono arrivati a Gorizia Medici Senza Frontiere, pertanto non c’era più esigenza di sostenere i migranti con cibo e generi di prima necessità. Come associazione abbiamo proseguito organizzando diverse attività tra cui corsi di Italiano al Nazareno, cineforum alla Sala Incontro a San Rocco, momenti di ritrovo per dialogare. Tutte queste attività però possono essere svolte appunto in momenti in cui non c’è “emergenza” (anche se troviamo ridicolo parlare di emergenza, dato che è un fenomeno che continua almeno da quattro anni).Poi, verso la fine di novembre del 2016, hanno incominciato ad arrivare di nuovo sempre più persone e c’è stato nuovamente bisogno di prestare assistenza a quei 10 – 15 che quotidianamente rimanevano senza un posto dove passare la notte. “Insieme con voi” si occupa infatti principalmente di loro, di coloro che rimangono fuori convenzione, e che è anche il gruppo più fragile perché non ha un appoggio. Spesso poi sono ragazzi molto giovani – proprio ieri abbiamo incontrato un ragazzo della minoranza dei turkmeni che dice di avere 19 anni…ma sembra un bambino -.
Immagino vi raccontino le loro storie…Certo, ad esempio questo ragazzo in soli 19 anni ha alle spalle una vita pazzesca: ha perso il padre da piccolo, è andato via dall’Afghanistan con la madre, il fratello e la sorella quand’era bambino, andando a vivere in Pakistan, da qui si sono spostati in Iran, poi due anni in Turchia… Sono ragazzi incredibili e non paragonabili con i “nostri”: sono un misto di “infantilismo”, perché come bambini dal punto di vista emotivo e dei rapporti intrapersonali, ma dal punto di vista delle esperienze di vita, sono quasi dei “vecchi”. All’inizio, anche nei confronti di noi volontari, sono molto scettici, perché hanno passato davvero di tutto e di più, non solo in patria ma anche in Paesi come l’Ungheria e la Bulgaria, però poi quando si fidano, ti danno veramente il cuore, si aprono tantissimo e hanno una riconoscenza infinita.
Che cosa cercano queste persone?Più che un po’ di cibo e the caldo, cercano contatto umano, una parola, essere ascoltati. Tanti sono veramente disperati e, quando parlano, fanno emergere la loro fragilità.In tedesco c’è una parola, gestrandete Existenz, che vuol dire “esistenza arenata”; loro vorrebbero una vita normale, con una casa, la loro famiglia e un lavoro. Vorrebbero poter stare tranquilli in un posto, con un’occupazione che sanno difficilmente troveranno a Gorizia – sono pochissimi infatti quelli che rimangono qui -.Con molti di loro negli anni siamo rimasti in contatto e, chi in Italia, chi all’estero, sono riusciti a rifarsi una vita, a trovare un lavoro, e scoprirlo fa immenso piacere.
In questo momento come associazione di cosa vi state occupando?Ci stiamo occupando dei richiedenti asilo che stanno trovando riparo alla Galleria Bombi. Come già facevamo ai tempi del “bunker” del San Giuseppe, portiamo coperte, the e biscotti. Operiamo noi di “Insieme con voi” ma si sono avvicinate anche tante altre persone, già quando avevano stanziato per alcuni giorni in piazza Vittoria. Diciamo che c’è stato questo risvolto positivo dell’esposizione di queste persone, che ha scatenato reazioni diverse tra i cittadini – c’è chi passa e dice cose irripetibili, ma ci sono anche tanti che appunto si sono avvicinati per dare una mano -.
Con “Insieme con voi”, ci sono delle idee o dei progetti che vi piacerebbe poter sviluppare?Il nostro obiettivo è sempre stato poter offrire ai ragazzi qualcosa in più rispetto alle attività culturali che già proponiamo loro, perché lo stare con loro e il parlare permette di conoscersi meglio e li fa stare bene. Purtroppo però in questo momento di emergenza non è possibile dare vita a progetti più a lungo termine.Sarebbe bellissimo poter avere una sede, dove poter organizzare incontri aperti come già fanno associazioni simili alla nostra sul territorio regionale, ma in questo momento non abbiamo la possibilità economica per poterlo realizzare.
Voi, che avete alle spalle anche un’esperienza di vita all’estero, come vivete il clima che c’è in città legato all’argomento migranti?Male perché in un certo senso non riusciamo a capacitarcene. Gorizia non è mai stata una città “alternativa” o di protesta, però si è sempre riconosciuta in certi valori come la moralità e la dignità; sembra si stia proprio scadendo in una xenofobia e in una “caccia allo straniero” che non ha nulla a che fare con le radici e la storia di questa città. È qualcosa di nuovo che sinceramente fa paura.C’è difficoltà tra le parti a capire che le cose che si vogliono sono più o meno le stesse. Siamo molto preoccupati per lo sviluppo di questa mancanza di dialogo e, a volte, per un “passarsi la palla” sulla responsabilità di questi migranti.
Cosa ha aggiunto il volontariato alla vostra vita?Tanti pensano che il volontariato sia un “lavoro” difficile, ma alla fine il ritorno è più grande. Noi in questi due anni abbiamo allargato i nostri orizzonti, abbiamo imparato tante cose della cultura islamica in generale e poi dell’Afghanistan e del Pakistan, ci siamo appassionati e abbiamo voluto anche seguire un corso informativo di Persiano all’Università di Nova Gorica, tenuto da un professore di Teheran.Inoltre, molto importante, quando si conoscono le persone, queste non sono più numeri. Chi non fa volontariato, non sa cosa si perde.
Notizie Correlate