“Intervenire al più presto per evitare il peggio”
3 Novembre 2017
L’arcivescovo Carlo ha visitato lunedì sera i luoghi dell’accoglienza nella città di Gorizia.La prima tappa ha portato mons. Redaelli nei locali dell’istituto “San Luigi” dove vivono attualmente una quarantina di minori stranieri non accompagnati; successivamente c’è stata la visita all’istituto “Nazareno”, al dormitorio “Faidutti” di Piazzutta ed al “San Giuseppe” a San Rocco che accolgono complessivamente circa 300 profughi e richiedenti asilo. L’arcivescovo – che era accompagnato dal Vicario episcopale per la Caritas, don Stefano Goina, e dal Direttore della Caritas, don Paolo Zuttion – ha avuto modo quindi di incontrare gli immigrati che trascorrono la notte nella galleria Bombi, soffermandosi anche coi volontari che li assistono quotidianamente.Lo abbiamo incontrato al termine della sua visita.
Monsignore, quali le motivazioni alla base della Sua decisione di visitare la galleria Bombi e i luoghi dove si fa accoglienza in città?
La Caritas diocesana da sempre è impegnata sul fronte profughi con altre realtà ecclesiali e non (basti pensare alle Suore della Provvidenza che hanno messo gratuitamente a disposizione il Nazareno, ai Salesiani del San Luigi o ad alcune parrocchie), insieme a diversi volontari, sia a Gorizia che in altre realtà del territorio. La Chiesa diocesana, quindi, non è assente e io stesso sono costantemente informato dai miei collaboratori con cui spesso ci confrontiamo sul come agire anche in riferimento alle esperienze e indicazioni della Caritas del Nord Est, della Caritas italiana e della Fondazione Migrantes. Ma mi sembrava importante conoscere di persona i vari luoghi e soprattutto incontrare le persone che lì sono accolte e chi vi opera, per avere un’idea ancora più precisa della situazione.
Quale impressione ha ricavato? Cosa le hanno chiesto i profughi incontrati?
Le impressioni sono diverse in base ai luoghi visitati. Mi ha colpito anzitutto molto favorevolmente l’impegno educativo nei confronti dei minori dell’associazione salesiana che gestisce il San Luigi (si tratta di minori che provengono anche dall’Albania e dal Kossovo). Anche l’accoglienza al Nazareno e, pur con maggior precarietà, nei containers del San Giuseppe, è dignitosa e offre anche qualche opportunità di formazione e di integrazione. Il dormitorio di Piazzutta è sempre insufficiente e può offrire solo un’accoglienza notturna. Molto drammatica è invece la situazione in galleria Bombi: una sistemazione certamente non rispettosa delle minime esigenze umane delle persone. Fa’ molto freddo, non c’è acqua, né servizi igienici. Sono più di 100 le persone presenti. Ho apprezzato molto l’azione dei volontari che offrono minestra, pane, te caldo e altro cibo e contribuiscono a mantenere un minimo di ordine e pulizia. Suppliscono alla incomprensibile assenza delle istituzioni. Si deve intervenire al più presto per evitare il peggio. Quanto ai profughi è stato possibile solo uno scambio di saluti e raccogliere qualche informazione sulla loro provenienza: la maggior parte sono pakistani e afghani.
Il San Luigi, il dormitorio di Piazzutta, il Nazareno, la parrocchia di Lucinico, il San Giuseppe: tutte le strutture dove si fa accoglienza a Gorizia sono di natura ecclesiale. Un grande impegno della comunità diocesana cui però corrisponde un’assenza delle istituzioni cui l’accoglienza sarebbe affidata per legge.
Si tratta effettivamente di una situazione poco comprensibile. È vero che in alcune delle strutture indicate i soggetti gestori operano in convenzione con la Prefettura, ma mi sembra strano che in tutta la città non si trovi una struttura pubblica da mettere a disposizione almeno per l’accoglienza dei 90 profughi che per legge Gorizia deve ricevere. Devo dire che resto perplesso quando leggo che gli amministratori affermano che il Comune accoglie più dei profughi previsti. Si tratta di qualcosa che corrisponde a verità, ma solo in riferimento al territorio comunale non certo all’istituzione pubblica che non mette a disposizione né strutture, né servizi. Almeno per quello che mi risulta. Comunque come Chiesa, pur sapendo che non è nostro compito, non ci tiriamo indietro.
Quali le motivazioni di questa assenza a suo parere?
Penso che il motivo principale che blocca le istituzioni sia la scarsa considerazione in cui viene tenuta la saggezza e capacità critica delle persone. La gente – non la “gente” come massa indifferenziata, ma le persone – non reagisce solo di “pancia”: sa andare al di là delle emozioni immediate, delle paure istintive. Le persone sanno ragionare, hanno una testa che pensa, hanno occhi che vedono altre persone e non “etichette”, hanno cuori che si commuovono, hanno mani che operano. Certo occorre aiutare le persone a capire, a ragionare, a reagire in modo corretto. Chi ha la responsabilità della cosa pubblica dovrebbe agire in questa direzione e non invece enfatizzare paure e pregiudizi, magari pensando a un ritorno elettorale immediato. Del resto sono convinto che chi pretende di cavalcare le paure della gente, prima o poi viene disarcionato…
Come allora aiutare le persone a capire?
Intanto spiegando che il tema profughi/immigrati è una questione complessa per cui non ci sono soluzioni facili e immediate e che con essa dovremo convivere a lungo. Già le motivazioni per cui le persone emigrano sono diverse e spesso intrecciate tra loro: guerre, fame, malattie, … ma anche il desiderio di migliorare la situazione economica personale e della propria famiglia. Alcune cause dell’emigrazione possono trovare soluzione solo a livello internazionale e qui qualcosa può fare e sta facendo il nostro governo. Faccio solo un esempio che noi goriziani possiamo capire visto il rapporto che abbiamo da diversi decenni con la Costa d’Avorio (ci sono stato un anno fa). Molti di quelli che attraversano oggi il Mediterraneo sui barconi sono ivoriani. Ma fino a vent’anni fa la Costa d’Avorio, che tuttora è il maggior produttore ed esportatore mondiale di caffè, semi di cacao e di olio di palma, era una paese che dava lavoro a migliaia di immigrati provenienti dai paesi africani vicini. Poi la guerra civile, le distruzioni, le divisioni hanno creato miseria e povertà. Una guerra in cui alcune potenze occidentali hanno precise responsabilità. Un discorso analogo potrebbe essere fatto per l’Eritrea, la Somalia, la Siria, la Libia, ecc. Altre situazioni poi devono essere affrontate a livello europeo; altre ancora a livello nazionale. I responsabili a vari livelli, anche locale, devono avere la consapevolezza che la questione non si può risolvere facilmente ma deve e può essere governata.
Papa Francesco ha dato qualche indicazione in proposito?
Sì, lo ha fatto più volte. Mi ha colpito quanto ha detto a fine settembre quando ha ricevuto una folta rappresentanza dei sindaci italiani. Il papa ha anzitutto riconosciuto il disagio dei cittadini: “Comprendo il disagio di molti vostri cittadini di fronte all’arrivo massiccio di migranti e rifugiati. Esso trova spiegazione nell’innato timore verso lo “straniero”, un timore aggravato dalle ferite dovute alla crisi economica, dall’impreparazione delle comunità locali, dall’inadeguatezza di molte misure adottate in un clima di emergenza”.Ma poi ha aggiunto: “Tale disagio può essere superato attraverso l’offerta di spazi di incontro personale e di conoscenza mutua. Ben vengano allora tutte quelle iniziative che promuovono la cultura dell’incontro, lo scambio vicendevole di ricchezze artistiche e culturali, la conoscenza dei luoghi e delle comunità di origine dei nuovi arrivati”. E poco prima aveva affermato: “abbiamo bisogno di una politica e un’economia nuovamente centrate sull’etica: un’etica della responsabilità, delle relazioni, della comunità e dell’ambiente. Ugualmente, abbiamo bisogno di un “noi” autentico, di forme di cittadinanza solide e durature. Abbiamo bisogno di una politica dell’accoglienza e dell’integrazione, che non lasci ai margini chi arriva sul nostro territorio, ma si sforzi di mettere a frutto le risorse di cui ciascuno è portatore”.
Ma cosa si può dire circa i rifugiati che vengono qui a Gorizia?
Per quello che so, la maggior parte dei profughi presenti a Gorizia e nel territorio sono afghani e pakistani: non vengono dal Mediterraneo e spesso giungono da altri paesi europei per rinnovare i loro permessi. Non mi pare abbiano intenzione di rimanere qui. Probabilmente se, come promesso dal governo, la commissione per l’esame delle domande di asilo sarà spostata da Gorizia, il numero calerà significativamente. È corretto che i nostri amministratori insistano nel richiedere questo, come anche sull’esigere una più equa distribuzione sul territorio dei richiedenti asilo o comunque migranti. Penso a Gradisca che ha certamente una situazione più difficile di altre comunità. Ma nel frattempo le persone (ribadisco: le persone!) sono qui, sia pure provvisoriamente, e va garantito loro almeno un minimo accettabile di accoglienza, mettendo a disposizione strutture di ricovero, servizi igienici e assistenza sanitaria.
Quello che colpisce però il cittadino è constatare che questi profughi sono tutti giovani, maschi, sono vestiti decentemente, hanno il telefonino dell’ultima generazione, spendono nei negozi per acquistare beni di vario tipo. L’immagine più lontana possibile a quella di poveracci da aiutare…
Non tutti sono così, però ce ne sono. Soprattutto chi è qui solo perché è scaduto il permesso e aveva un lavoro nei Paesi del nord Europa. Ci sono poi alcune storture della legge italiana, che per esempio non permette il lavoro ai richiedenti asilo anche quando sarebbero disponibili a svolgerlo. Occorrerebbe invece prevedere percorsi di integrazione che inseriscano progressivamente le persone, che intendono rimanere in Italia, nella nostra cultura, nella società e nel mondo del lavoro. Ma altre storture di legge sono ancora più gravi e spero che vengano superate approvando la legge dello ius solii (o meglio ius culturae), che a certe condizioni riconosca i pieni diritti ai ragazzi nati e cresciuti in Italia. Sarebbe inoltre da cancellare il reato di clandestinità e ripristinare canali regolari per permettere ai migranti di lavorare in Italia. Anche a livello europeo è necessario correggere la convenzione di Dublino che penalizza i Paesi di prima accoglienza come l’Italia. In ogni caso, però, le persone sono qui e va garantita loro un minimo di accoglienza.
La Chiesa quindi sarebbe a favore dell’accoglienza sempre e comunque?
Certamente no. Più volte papa Francesco lo ha ricordato. La Chiesa è a favore di un’accoglienza legale, regolarizzata, che distingua le situazioni di chi ha diritto allo status di rifugiato, di chi deve avere la possibilità di un lavoro regolare e di chi è in una situazione di irregolarità e può essere anche espulso. Ma nel frattempo le persone hanno comunque diritto a essere rispettate e messe in condizione di vivere una situazione dignitosa. Questo vale dappertutto. Anche nei campi profughi dove, grazie ad accordi con paesi europei compreso il nostro (e relativi soldi), vengono tenuti bloccati, uomini, donne e bambini in condizioni spesso da lager. Non ci deve bastare il fatto che così vengono bloccati i flussi di migrazione verso le nostre coste. A proposito di posizione della Chiesa, mi permetto di anticipare una domanda e cioè se tutti nella comunità cristiana sono d’accordo su questa linea. Mi auguro di sì, ma so che c’è bisogno di informazione e di formazione anche nelle nostre parrocchie, perché al di là di una legittima diversità di punti di vista, di accentuazioni e di sensibilità (la Chiesa non è qualcosa di monolitico, ma da sempre è una realtà variegata pur partendo da una fede comune), ci sia comunque un modo di vedere le cose – e di agire – rispettoso e attento alle persone. Il fatto che verremo giudicati tutti – proprio tutti… – sull’amore non lo ha inventato la Chiesa, ma è scritto nel Vangelo. E il problema della legalità?
Ovviamente a chi viene in Italia deve essere chiesto il rispetto delle leggi italiane. Ma questo va domandato anche ai cittadini italiani. Se posso permettermi una battuta, i migranti per il fatto di essere tali non sono “santi”, né sono “diavoli”. Come tra gli italiani, ci sono tra di loro persone corrette (e sono la maggior parte) e altre che lo sono meno o sono persino dei delinquenti. Ma non si può ragionare per categorie ed etichette: le responsabilità nel bene e nel male sono personali.
L’obiezione che viene rivolta quando si parla di accoglienza è che essa non può essere indiscriminata. Come conciliare questo elemento con la giusta attenzione verso chi giunge nella nostra città per ottenere lo status di rifugiato? La paura del cittadino è che, se si apre una nuova struttura, essa si riempirà presto e ne servirà un’altra e poi un’altra ancora in una catena senza fine.
Sicuramente l’accoglienza non può essere indiscriminata, ma la soluzione non va trovata a valle, ma a monte. Non si può cioè far star male chi viene qui, in modo da scoraggiarne la presenza e costringerlo a cercare altrove. Quanto piuttosto occorre che progressivamente i flussi di profughi e migranti siano regolati in modo che la loro gestione sia rispettosa nei loro confronti e anche affrontabile da parte della città. Questo spetta alle istituzioni responsabili. L’attivazione di altre commissioni, per esempio, è un provvedimento che va nella linea giusta. E mi si permetta una domanda: le nostre città, i nostri paesi che ospitano gruppi di migranti quali gravi disagi hanno patito in questi anni? O non è forse come con la temperatura “percepita” – si usa dire così – per cui il problema non è il vero disagio, ma quello “percepito”, amplificato ad arte da chi ha interesse?
Lei nel suo giro ha incontrato anche i volontari che curano l’accoglienza dei profughi.
Il volontariato è sempre molto prezioso e spesso supplisce alle carenze delle istituzioni pubbliche. Auspicherei una maggior collaborazione tra questi due soggetti. Ci guadagnerebbero tutti, a cominciare dai rifugiati. In ogni caso occorre molta riconoscenza verso chi si attiva per gli altri, che sia spinto da motivazioni religiose o di altro tipo non importa. Ciò che conta è che qualcuno si dia da fare.
Scendiamo nel concreto. Le temperature si stanno abbassando e il numero di arrivi non accenna a diminuire. Come intende rispondere a questa emergenza la Chiesa diocesana? Cosa chiede, come vescovo di Gorizia, alle istituzioni locali, Comune e Prefettura in primis?
Non chiederei niente, perché do per scontato che al di là di quello che si scrive sui giornali o si chiacchiera al bar, chi ha la responsabilità delle istituzioni abbia predisposto da tempo un “piano emergenza freddo” per ricoverare e assistere le persone che vivono per strada, siano esse straniere o italiane (ci sono anche italiani senza fissa dimora…), in caso di avverse condizioni atmosferiche. Per quanto possiamo, siamo comunque pronti a dare una mano affinché nessuno resti per strada o sotto una galleria.
Notizie Correlate