Martino, un Santo d’autunno – Fra chiese, luoghi e arte

D’autunno protagonisti i colori in maniera modulata, evidente; la luce, “regina dei colori”, li accarezza, o li investe. Devono essere quasi cercati, allorché atmosfere diafane o lattiginose sembrano trattenerne una parte.Alberi e cespugli si scrollano di dosso le foglie, per riposare liberi. Ambienti caratteristici, accanto alla “Mont di Migea”, oppure su Carso e Collio; echi del Carducci in “San Martino”, versi come pochi bistrattati cantilenando la rima, se non attenti a sinestesie (sensazioni multiple contemporanee, moventi tutti i sensi), che quel mago di parola e musica sapeva trarre Atmosfere che ritornano in assai più popolari versi di poeti nostrani. Se si vuole scendere terra terra (facile dirlo oggi), si citi la rima popolare nostrana (varianti in tutto il Friuli):”San Martin mi tenta/Che fedi la polenta/Che mangi la razuta/Che bevi la bozuta/Che bevi un biciarin/Viva viva San Martin!”; per i più, era sogno. Se vogliamo rialzare le azioni poetiche, dobbiamo tornare, per esempio a Venanzio Fortunato (VI secolo): alla fine di un suo poemetto latino sulla vita del Santo, invita il suo libro a fare a rovescio il viaggio da lui compiuto per recarsi in Francia.A questo punto, spiegare si deve il perché proprio a Romans si vorrebbe mettere in rilievo la presenza di un’ antica chiesetta, di San Martino. Iniziativa non da poco: si sa dove dovrebbero esserci le fondamenta e allora si intende valorizzare luogo e resti. Sul come vedranno storici, museologi, architetti specialisti del settore. Non da poco, perché ? C’è tutto un mondo che ruota intorno a San Martino, da una grandinata di secoli in qua. Ci si riferisce alla carità, fondamentale per il popolo; ma la sua importanza prevalente è la difesa della ortodossia, e a Romans, la faccenda è collegata con un insediamento dove probabilmente si doveva ribadirla, l’ortodossia, forse di fronte alle resistenze dell’arianesimo longobardo, o forse per esaugurarlo. Quindi l’importanza è straordinaria. Si aggiunge al ritrovamento della necropoli di San Giorgio – San Martino – e corrobora presenza antica di Longobardi, facendo di Romans un luogo non da poco.Chi scrive è stato testimone di un’ ipotesi, formulata prima del ritrovamento archeologico, dalla prof. Gina Fasoli, medievista di fama, specialista di Longobardi e Ungari, proprio sulla scorta del toponimo Romans e della presenza santorale di Giorgio e Martino. Nel 1984-85, per i 500 anni della parrocchia di Romans, uscì un volume a più mani che le fu mandato. Rispose: “Romans, nome che puzza di longobardo un miglio”. La cosa  fu riferita a Ivaldi Calligaris, che dei “Longobardi romanesi” è stato lo scopritore.Dopo il ritrovamento di prove certe, le fu scritto di nuovo; rispose il I settembre 1986: “…La toponomastica è una scienza non priva di ambiguità, che ha bisogno di supporti storici ed archeologici per dare risultati sicuri: certo è che dove si trovano dedicazioni a San Giorgio, San Michele e San Martino ad un insediamento longobardo si può sempre pensare e quanto ai toponimi come Romano, Romanoro, Romagnano, Romans, più che ai Romani, cioè ai Latini, contrapposti ai Longobardi, si deve pensare agli arimanni. Nel caso di Romano d’Ezzelino, a pochi chilometri da qui, oltre al toponimo principale esisteva una massa langobardorum, inequivocabile e nel ’700 c’era ancora una località chiamata Contra’ dei Romani, che sono da intendere anche in questo caso come arimanni…”. Della stessa ambiguità della toponomastica sono partecipi i titoli santorali, che abbisognano di prove archeologiche  e di documenti, ma tali e tanti sono nella nostra zona anche con un raggio ampio, che la presenza longobarda dev’essere stata intensa.A Romans, chiese di San Giorgio e San Martino. Si possono aggiungere altri elementi: nella toponomastica, il “ciamp di San Michel”, a Versa; il “ciamp di San Zuan”, a Tapogliano ( chiesa di San Martino e ricordo di una chiesetta di San Giovanni Battista) e, ovviamente le località “San Zorz” e “San Martin” (molto vasta a Romans). Le vicinanze della pieve di Romans pullulano di presenze longobarde: a Medea le chiese scomparse in epoca giuseppina di San Giovanni Evangelista e Sant’Atanasio; San Giovanni Battista venerato a San Vito; San Michele a Crauglio; San Giorgio a Campolongo; San Michele a Villesse; San Martino a Visco (chiesa campestre, scomparsa nell’ ’800, dedicata anche a San Giovanni Battista e San Matteo; una braida di San Michele); San Martino a Privano; San Giorgio a Bagnaria; San Michele a Ontagnano; San Martino a Percoto; San Martino a Clauiano (demolita); San Giorgio a Clauiano e San Michele a Trivignano; San Michele a Chiopris… Mettiamoci pure San Pietro sul castello di Cormòns (la città aveva una chiesa di San Martino); San Pietro a Rosazzo, Santo Stefano a Giassico e a Fratta. Perfino San Mauro a Cormons… Poi ci sono i toponimi Chiopris, come paese; Modoletti, tra Viscone e Medeuzza; a Romans, Modoletto, che vien fatto derivare dalla parola longobarda modola e modalaiscum, quercia, passata per il friulano muèdul, il cerro, quercus cerris. Il Desinan lo lega ad altre consistenti presenze longobarde.Proprio nel Modoletto di Romans è stata ritrovata la necropoli longobarda, e nello stesso luogo sorgeva la chiesa di San Giorgio.La questione (riscontro ai toponimi) resterà a lungo sub iudice, se l’archeologia medievale sarà riservata (e… grazie a Dio) a ENEL, TELECOM, imprese stradali, di acquedotti e fognature.Per la festa di San Martino, avvenimenti lieti e altri meno. Uno – terribile – un tempo, l’escomio! Allora il nome non è entrato nella nostra società: pochissimi i Martino nei libri battesimali; così come per Rocco (nonostante il culto): il roc era il ciastron, il “marito” della pecora!A Ruda, a un povero diavolo che andava di anno in anno da una parte all’altra con le sue poche cose, avevano sgnacât il soprannome di “Toni Sammartin”!Finiva l’annata agraria, si facevano i conti; nei catastici dell’ ’800 si vede che i proprietari stavano bene, coloni, mezzicoloni e sottani, tutti indebitati coi padroni. Anche i proverbi orecchiavano il momento: “A San Martin i puls i cambia paiòn”; “A San Martin a cambiavin di ciasa i pedoi”. A San Martino, perfino la “muinianza”, il contratto del sagrestano, aveva inizio.San Martino di Tours, nonostante il nome, francese non era; lo diventò. Era della Pannonia, attuale Ungheria; vi nacque verso il 315 (la depositio del corpo avvenne l’11 novembre 397); la sua santità subito proclamata dal popolo, fu confermata dalla Chiesa (primo Santo non martire). Portava il nome con sé, derivava da Marte, dio della guerra. Fu soldato (conversione adulta), in tale veste è rappresentato nell’immagine classica, mentre divide il mantello con un povero (di solito, il mantello è rosso, ma il suo, storicamente deve essere stato bianco). Dal popolo fu “costretto” a diventare vescovo di Tours.La sua vita fu cantata da un poeta “nostrano”, Venanzio Fortunato. Nato nell’attuale Valdobbiadene, studiò anche ad Aquileia. Guarito da una malattia agli occhi ungendosi con l’olio della lampada che ardeva davanti alla immagine di Martino, andò pellegrino in Francia, da dove non tornò; divenne vescovo di Poitiers, morì verso il 603 – 604. Santo anche lui, compose diverse vite di santi. Tra esse, celebre quella di San Martino (trovata sin nei monasteri della Tebaide, in Egitto); ecco la partecipe descrizione nell’episodio del mantello: “…il ghiaccio ondulava le terre sotto un gelido freddo, avendo il triste inverno stretto le acque come in una morsa glaciale[…]ad un povero incontrato sulla porta di Amiens[…] divide in parti uguali il riparo della clamide e con fede fervente lo mette sulle membra intirizzite. L’uno prende una parte del freddo, l’altro prende una parte del tepore, fra ambedue i poveri è diviso il calore e il freddo[…] Certamente lo stesso creatore si diede una copertura con questa veste e la clamide di Martino protesse Cristo con un riparo…”. È raccontato nella pala d’ altar maggiore della parrocchiale a Romans, da un pittore di non comune talento. L’insistenza di riportarlo nella pala è non senza significato rispetto a quanto era entrato nel cuore della gente. Nel quadro, c’è la vittoria più grande di San Martino, guerriero: contro sé stesso, e l’egoismo. Era un guerriero atipico, lui, che, a un certo punto voleva andarsene dall’esercito; fu accusato di viltà, proprio alla vigilia di una battaglia di quelle fondamentali, ma Dio lo aiutò. Imprigionato, l’indomani volle andare verso il nemico senz’armi, e quell’esercito si ritirò.Fu uno dei santi più grandi, allievo del vescovo e poeta Ilario di Poitiers, narrato da Sulpicio Severo, dal suo contemporaneo Gregorio di Tours, e dal citato Venanzio Fortunato. Santo molteplice, a Romans “Malleus haereticorum”, martello degli eretici; confermato come guerriero, nella pala, vescovo, nella statua sull’altar maggiore: grande pastore, che iniziò le visite pastorali, l’andare alla gente per crescere insieme. Estirpatore del paganesimo, maestro di vita cenobitica; santità a 360°, e collocazione stagionale, lo resero protettore di un’ infinità di categorie: cavalieri, soldati, vignaioli, vendemmiatori, viandanti, osti, albergatori, mendicanti, pastori. Invocato nei temporali e contro il mal di stomaco…Il miracolo, talvolta, sconfina nella superstizione, in Della regolata devozione dei Cristiani, Lodovico Antonio Muratori citava Agostino “Non crediamo arbitrariamente, che noi diamo qualcosa ai martiri. Perché festeggiamo i giorni loro con particolare solennità. Quelli non hanno bisogno delle nostre feste, difatti godono in cielo con gli angeli; godono tuttavia insieme con noi, non se li onoriamo, ma se li imitiamo…onorarli e non imitarli non è altro che adulare in maniera mendace”.In Francia, Martino è invocato patrono dei bevitori e al momento dei brindisi. È citato nei versi del Goriziano Carlo Favetti (1819-1892), in una assai poco religioso sposalizio tra “toç” polenta e vino, con almeno qualche scampolo di invocazione alla carità.L’arte ha una miriade di esempi: gli è intitolata una miriade di chiese. Nella parrocchiale a Tapogliano (già filiale di Versa e Romans) vera concentrazione: sulla porta, bassorilievo, lui a cavallo (’600); all’interno, pala d’ altar maggiore (’600?); sul soffitto della navata San Martino vescovo (Giulio Justulin, primi del ’900). Nella sagrestia, San Martino ligneo (’500) e ciclo di affreschi (primi del ’500), scoperto nel 1911, per il quale si fiondò da Vienna a Tapogliano un ispettore delle Belle Arti. A Visco, gruppo ligneo ’500 tela di Domenico Molinari (primo ’800, da stampa di Giandomenico Tiepolo).Parlando di questo Santo, si trova un po’ di tutto, ma abbiamo anche il raziocinio per pensare alle priorità. Una di esse è la valorizzazione per il sito della sua chiesa a Romans. Perché non provare?