Isontino: crisi industriale senza fine
17 Gennaio 2018
Monfalcone e l’intero territorio isontino, nell’ultimo decennio, stanno facendo scuola in materia di crisi industriali non solo nell’ambito regionale ma anche a livello nazionale.Non si contano più ormai le imprese che, per varie ragioni, sono state chiuse. Vedi Detroit, Carraro, Safog, tanto per citare le ultime grosse realtà dismesse nell’ultimo periodo.Non serve elencarle tutte , basta fare un giro per la provincia per vedere i siti industriali, un tempo pulsanti di vita , in cui operavano centinaia di lavoratori, oggi chiusi, trascurati , invasi dalle erbacce.Un panorama desolante che sembra essere senza fine nonostante un giorno sì e uno no vengano fatti dei proclami che annunciano che la recessione, iniziata nel 2008, sta per concludersi.L’ultima notizia shock è rappresentata dall’annuncio, da parte della proprietà, dell’immediata chiusura della Eaton di Monfalcone.Quest’azienda, facente parte di una multinazionale americana, presente in Italia su più siti (Rivarolo, Bosconero in Piemonte, ecc.), aveva aperto i battenti a Monfalcone, zona industriale Schiavetti, nel lontano 1970 rappresentando, in tutti questi anni, una notevole risorsa occupazionale per l’intero territorio.Produce valvole, con notevole valore commerciale, per motori destinati al mercato automobilistico nazionale e straniero, un mercato, fino a qualche tempo fa, in continua crescita.Per quarant’anni la fabbrica ha assicurato l’occupazione a circa cinquecento persone con un’attività svolta su tre turni, compresi sabato e domenica. Sicuramente, trattandosi di lavoro su catena di montaggio, vi era un’alta incidenza di turn over.Fintanto che la domanda di valvole tirava, i rapporti sindacali, peraltro mai idilliaci, riuscivano, con fatica, a risolvere le varie contraddizioni esistenti all’interno della fabbrica.Negli ultimi dieci anni, la crisi in atto, ha comportato una riduzione della domanda con conseguente ridimensionamento dell’organigramma e inasprimento dei rapporti sindacali.Dai 530 occupati (punta massima raggiunta), oggi siamo arrivati a 150.L’annuncio della chiusura non è quindi proprio una tegola a ciel sereno, è una tegola preceduta da molti segnali, non ultimo quello della mancata riconferma, nel dicembre scorso, di lavoratori interinali ( prassi di assunzione in essere negli ultimi anni).Possibile che i segnali di questa tragica scelta non siano stati oggetto di valutazione da parte di politici e dell’ associazione industriale, in modo da poter scongiurare una simile conclusione di una storia industriale lunga cinquant’anni?Si tratta forse di un’ennesima forzatura della proprietà per ridurre ulteriormente il personale e avere mani libere per un maggior profitto? Alla fine, quelli che pagano sono sempre gli ultimi, gli operai che, nel caso di specie, sono tutti di mezza età ( la crisi ha eliminato da anni il turn over) e quindi di difficile ricollocazione nel mondo produttivo.Ancora una volta assistiamo alla mancata trasparenza che dovrebbe caratterizzare il rapporto fabbrica-territorio che esiste solamente quando gli imprenditori rivendicano aiuti economici o altre agevolazioni.Si auspica che , in qualche modo venga scongiurata la chiusura della fabbrica e che i lavoratori non vengano abbandonati a se stessi rimanendo, come sempre, gli unici a pagare le contraddizioni di questa società in cui vige solo il profitto.
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