Comunità fondate sul battesimo. Una Chiesa tutta ministeriale
3 Ottobre 2018
Alla fine, da Gorizia in automobile la strada è in effetti un po’ lunga… Ma quelle strade, diritte come spaghi tirati in mezzo alla campagna, e che seguono i saliscendi delle dolci colline del terreno, sono molto belle. Il sole di settembre è brillante, nella sua forma migliore.La trasmissione su RCF, la radio nazionale cattolica, tratta di Babilonia in rapporto alla storia biblica di Babele, sul senso di questa città e dell’esilio del popolo di Israele in essa. Uno degli ospiti intervistati, un domenicano iracheno, ad un certo punto esce con un’affermazione esplosiva: “Se non ci fosse stato l’esilio di Israele in Babilonia, non avremmo avuto la Bibbia”.Il parallelo è immediato, non voluto e illuminante: che forse la “mancanza” di clero sia una situazione di “esilio” che costringerà il popolo della Chiesa a far emergere la sua vera anima di Corpo di Cristo? Un sentimento di pace fa capolino nel cuore. E immediatamente un’altra constatazione: che forse ogni tanto avremmo veramente bisogno di riflessione, di trovare il senso delle cose che stiamo facendo e alle quali stiamo andando incontro. Magari guidando in pace per lunghi chilometri di campagna.Però adesso sono arrivato; il parroco di St. Jacques en Gâtine, père Gérard Mouchard, mi attende sorridente.
Che c’entra Venanzio FortunatoMi ha colpito un libro di Albert Rouet, Un nuovo volto di Chiesa, tradotto e pubblicato dalle Paoline nel 2007, in cui il Vescovo, ora arzillo emerito, racconta l’evoluzione della diocesi e le motivazioni teologico-pastorali che hanno portato alla struttura attuale della Chiesa potevina.La diocesi di Poitiers, nota per la battaglia vittoriosa di Carlo Martello contro gli arabi, e che annovera tra i primi vescovi il famoso Ilario, strenuo difensore della retta fede cristiana, e che vide altresì residente in essa sino alla morte il quasi aquileiese Venanzio Fortunato, da decenni infatti ha dovuto modificare il suo assetto ecclesiale. Negli anni ’90, i circa 750.000 abitanti erano organizzati in 604 parrocchie, riunite in 77 settori (circa i nostri decanati), a loro volta riuniti in 13 zone pastorali. Non più sostenibile la struttura “una parrocchia – una chiesa – un prete” per diversi ordini di motivi, tra cui le parrocchie rurali ormai troppo ridotte di fedeli e di risorse e il calo vistoso del clero, la diocesi vi ha messo mano in almeno due Sinodi diocesani dagli anni ’90 ad oggi. Il passaggio inevitabile attraverso vent’anni circa di “settori pastorali” (unità pastorali diremmo noi) ha portato alla fine la configurazione della Chiesa attuale in 28 parrocchie, dalle dimensioni notevoli, ma con un segreto che le rende ancora a misura d’uomo e di cristiano. Quale?
Evitare la centralizzazione, mobilitare i battezzati“È soltanto grazie alle Comunità locali che possiamo avere grandi parrocchie, ma che assicurano la presenza della Chiesa sul territorio”, confessa père Gérard. La preoccupazione della Chiesa potevina, rivela Gérard, a suo tempo Vicario Generale con il Vescovo Albert Rouet promotore della riforma, era ed è ancora tutt’oggi di evitare sistemazioni della Chiesa che sapessero di centralizzazione. Benché più pratica da gestire, in particolare dal presbitero, un’unica grossa parrocchia con i servizi ecclesiali centralizzati “lascia il vuoto nel territorio circostante, come testimonia l’esperienza di una diocesi vicina”, dice Gérard.Il “sistema Poitiers” è basato sulle “Comunità locali”, cioè le parrocchie di una volta. Ognuna è resa viva da una serie di battezzati laici, radunati in diverse équipes, coordinati da cinque responsabili, eletti ogni tre anni e al massimo per due mandati: per la catechesi, la carità, la preghiera, la gestione dei beni e un responsabile che tiene le fila del tutto. Le Comunità locali sono a loro volta collegate in “Fraternità di comunità”: dalle 5 alle 8 comunità locali (le ex-parrocchie), con un responsabile che tiene i collegamenti tra le comunità e, alcune volte all’anno, con le altre Fraternità della grande parrocchia. Alcune attività ecclesiali vengono sostenute a livello di Comunità locali, come ad esempio la catechesi dei bambini (dove questi ancora esistono…): il responsabile locale della catechesi mobilita i genitori per coinvolgerli nella formazione cristiana dei più piccoli, ad esempio. Altre attività, come la formazione al matrimonio, vengono gestite a livello di Fraternità di comunità o di parrocchia, così come la Commissione per la manutenzione degli edifici, che serve diverse Comunità locali. Altre ancora, come il catecumenato, sono gestiti a livello di parrocchia.A livello della grande parrocchia, tiene le redini il Consiglio Pastorale Parrocchiale, formato da una cinquantina di persone, che raduna i responsabili delle ventisei comunità locali, assieme ai movimenti e associazioni. Si incontra ogni tre mesi, seguendo un progetto pastorale fatto di indicazioni molto semplici e spalmato idealmente su cinque anni. “Si lavora non nel grande gruppo, ma per piccoli tavoli”, ricorda Gérard, “in modo che tutti abbiano la possibilità di parola”. Come al convegno di Firenze, insomma, o nei nostri incontri diocesani, forse in maniera ancora troppo timida.Come fare a tenere insieme un sistema apparentemente così complesso? Si è scavato nelle comunità sino a trovare il solido fondamento del Battesimo, sul quale è costruita la Chiesa di Cristo.
Alla scoperta delle Comunità localiLe “Comunità locali” sembrano davvero la risorsa che assicura la presenza della Chiesa sul territorio. Nella necessaria riorganizzazione territoriale, la Chiesa di Poitiers si è preoccupata di garantire il legame anche e soprattutto tra le parrocchie e non soltanto con il centro diocesano, come altre diocesi invece hanno fatto, non rendendosi conto dell’errore, come si è ricordato più sopra.Il sistema è complesso, ma mobilita molte persone. L’attenzione dei sacerdoti e dei responsabili è finalizzata “innanzitutto ad attivare delle relazioni tra le persone, in modo che vadano avanti da sole”, confida Gérard. “Il prete delega, mentre l’equipe pastorale veglia sull’armonia e sulla comunione”.E la delega viene estesa sino ai funerali, che vengono celebrati normalmente da laici appositamente preparati dell’equipe liturgica, a turno a settimane alterne, salvo qualche caso difficile, dove invece interviene il parroco, come per il giovane ventiquattrenne morto suicida nel corso del nostro viaggio. Del resto, per quattro sacerdoti, di cui alcuni anziani assai, oltre cinquecento funerali all’anno sarebbero difficilmente sostenibili, assieme alle altre incombenze, evidentemente.Françoise riporta la sua esperienza di figura stipendiata, con tanto di decreto del Vescovo e un part-time di 27 ore settimanali. Scelta per “chiamata”, con una adeguata formazione seguita a livello diocesano, segue tutto ciò che inerisce alla catechesi nella Fraternità di comunità, dalla formazione dei genitori, alla gestione dei sussidi, sino alla preparazione al matrimonio.È stato gentilissimo e proprio disponibile il parroco Gérard a combinarmi una serie di appuntamenti con diversi volontari. Con una parrocchia di decine di migliaia di abitanti e lunga almeno 50 km, mi sarei atteso un uomo super impegnato e stressato; ed invece ha avuto anche il tempo da dedicare ad una serena passeggiata nel centro storico della cittadina parlando della riforma della Chiesa e di storia locale.
La liturgiaInevitabile è stata la domanda sui criteri per programmare le liturgie. “Innanzitutto volevamo garantire la prossimità, che le celebrazioni siano presenti su tutto il territorio”, specifica il parroco, “prevedendo un tempo distanziato tra gli orari per poter raggiungere il luogo”. Per non creare confusione tra i fedeli, sono stati scelti gli stessi orari in tutte le comunità: la prefestiva e le due messe domenicali, alternando però la celebrazione nelle diverse comunità, che alla fine possono riceverla in media una volta ogni quattro – sei settimane. In alcuni casi, viene inserita una assemblea di preghiera gestita dai laici, intercalata tra le messe, perché non passi troppo tempo senza una preghiera comunitaria.
I volontariJoseph è il primo che incontro. Parla sottovoce, fa parte della “Commissione costruzioni”, un gruppo di artigiani pensionati per la manutenzione degli edifici di tutta la fraternità di comunità. “L’attività mi piace”, sussurra, “si può fare qualche cosa per la Chiesa”. E, fiero, mi porta a vedere i pavimenti e le sale sistemate a dovere, compresi i difficili adattamenti per le norme di sicurezza.Trovo Noëlla all’accoglienza in canonica. Fa parte del gruppo che anima le sepolture, “équipe lutto e speranza”, come la chiamano. “Il nostro compito è innanzitutto l’accoglienza della famiglia quando viene a comunicare la morte, il loro ascolto. Poi una di noi prepara e gestisce i canti, la liturgia funebre prevede l’accoglienza sulla porta, la parola di introduzione a cura della famiglia o di noi volontarie, la lettura della Parola di Dio”, mi dice. Mi domando se fanno anche l’omelia. “Noi possiamo fare un commento, l’omelia la tiene solo il parroco”, mi risponderanno. Capisco che hanno ricevuto una formazione adeguata. Poi segue il rito della luce, della aspersione della salma. “Sono le famiglie lontane dalla Chiesa che più frequentemente non capiscono perché non c’è il prete”. Rifletto anche su questo.Anne-Marie ha avuto una storia di capo scout sino a livello nazionale e fa parte di diverse equipes, sia dei funerali che dell’”accompagnamento e formazione” a livello parrocchiale. Per tutte le 27 comunità organizza delle giornate di formazione per i diversi incaricati della catechesi e della liturgia, dalle 9.00 alle 17.00 di solito, con esperti e attività adeguate. Mi spiega che la liturgia di ogni domenica è preparata da un gruppo, che legge e condivide la Parola e in base a ciò che emerge sceglie i canti, compone le preghiere dei fedeli e soprattutto comunica ai diversi altri gruppi i loro compiti.Anche i gruppi della Parola seguono un metodo preciso: dopo il segno di croce iniziale si legge il testo prescelto, ognuno sottolinea tre parole che l’hanno colpito, poi si condivide con gli altri.Che cosa le dona svolgere questo servizio, chiedo. “Mi aiuta ad approfondire la fede, a lavorare in equipe, a consentirmi un incontro con i non credenti durante i funerali, per mostrare il volto della Chiesa vivente e dinamica”.Christine è delegata pastorale della Fraternità che raduna quattro comunità locali. “Lavoro in squadra con i quattro responsabili, mi incontro con loro quattro volte all’anno. Dopo un momento di preghiera, realizziamo una verifica delle attività e in base a ciò che emerge avanziamo delle proposte. Io devo temere insieme i responsabili e la comunità sul piano pastorale, proponendo e vigilando che tutto sia fatto”. Mi ricorda che nei piccoli comuni il responsabile di Comunità fa da collegamento anche con l’autorità civile. “È difficile fare Chiesa, bisogna conciliare le differenti sensibilità, ma così si apprende l’umiltà, si impara a mettersi in ascolto. In me è cresciuta la preghiera per chiedere di essere all’altezza di questo compito”. Chiedo a Christine e Françoise che cosa si attendono dal sacerdote. “Che stia davanti, che ci spinga e ci tiri, non possiamo fare l’uno senza l’altro”. “Il sacerdote ci ricorda che il Cristo ci raduna”.
Canoniche vuote? La canonica, non abitata dal sacerdote, è diventata per Parthenay, paese di circa 10.000 abitanti, un luogo di accoglienza, aperto mattina e pomeriggio con i volontari dell’accoglienza. È luogo di formazione cristiana per i diversi momenti della vita, per i genitori, per i ragazzi. È anche un luogo di ospitalità per alcuni sacerdoti che vengono a passare dei periodi dall’estero a servizio della Chiesa o per ricarica personale, come è successo per il giovane sacerdote tedesco, per alcuni mesi ospite in comunità durante il suo anno sabbatico.
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