Don Luigi Sturzo a Grado e Gorizia nel nome dell’autonomia e della politica

La (felice ed assai impegnativa) ricorrenza centenaria della pubblicazione dell’appello “Ai liberi e forti”  (19 gennaio 2019) ha impegnato riviste e giornali, telegiornali e trasmissioni televisive di storia a ricordarne l’autore ed il padre: don Luigi Sturzo, personalità poliedrica, maestro e militante, sociologo testimone, intransigente, fondatore del Partito popolare italiano. Un protagonista del ’900 per la Chiesa nella quale è stato sacerdote e per la società italiana nella quale ha avuto il merito unico e inimitabile di superare il non expedit, cioè di ridare voce ai cattolici immettendoli nella vita politica del Paese, cioè “passando da una condizione di integralismo chiuso alla percezione piena della potenzialità della democrazia politica”. Oggi si preferisce dire, “prestato alla politica”: non è vero, don Luigi Sturzo è uomo, sacerdote e politico, grande: è, fra laltro, colui che ha avuto il merito ed il coraggio, sulla scia del tentativo di Romolo Murri e dei giovani dell’Opera dei congressi, di compiere definitivamente il salto di qualità verso la democrazia adottando lo strumento tipico del sistema democratico: il partito politico. Egli non volle dare vita al “partito cattolico”, quanto piuttosto ad un partito di cattolici – quindi non di tutti i cattolici – e, precisamente, “di ispirazione cristiana”. Partito come gli altri e capace di dialogare  e contendere alla pari con gli altri (quelli del suo tempo); partito non confessionale, per non coinvolgere mai la Chiesa; esigente con i cattolici, chiedendo a tutti di essere in prima persona responsabili di scelte progetti e programmi.L’Appello di don Luigi Sturzo suona anche oggi un vero e proprio proclama: per i contenuti e per la domanda di politica e di democrazia. Diverse personalità si sono attribuite meriti e -purtroppo anche – eredità impensabili. Berlusconi e Salvini (!), ad esempio, hanno maldestramente tentato di attribuirsi una qualche attinenza con il politico ed il sacerdote. Quest’ultimo, rispetto a questi auto-epigoni, poteva esibire una piena visione innovativa della politica: autonomia e sussidiarietà, valorizzazione delle libertà politiche e civili, no allo statalismo, decentramento, meridionalismo, abolizione del diritto di guerra, regionalismo, riforme dello Stato e dei partiti, utilizzazione della religione.Dalla testimonianza di Luigi Sturzo vengono molti insegnamenti: primo fra tutti la netta contrarietà ad ogni forma di politicizzazione della Chiesa e della fede ma anche l’invito ad uscire fuori dalle sagrestie, la laicità, il no allo stato totalitario e la centralità della persona, l’appello all’Europa, la lotta contro la partitocrazia. Tutte indicazioni che è utile cogliere in questo frangente di dissoluzione dei partiti e della politica ma senza l’illusione della attualizzazione.Nessun ritorno appare possibile: piuttosto è auspicabile che la lezione di Sturzo -della sua opera e della sua vita e testimonianza – aiuti a leggere il tempo attuale per coglierne con completezza e determinazione le linee emergenti, le nuove domande e le mutazioni avvenute: una lezione anche per la ricerca post-conciliare ed a quello che viene descritto come il presente, cioè altro non è se non un anaspare continuo e pasticciato, con molti conati (gli appelli a fare rete) e poche idee. Il nuovo vero consiste nell’abbandonare la ricerca di leaderismi fallimentari per invece mettersi alla stanga e ricostruire progetti e strategie possibili in dialogo con tutti. A partire dal governo delle autonomie, della fine dello statalismo accentratore, della centralità della persona e della comunità, del bene comune e della fiducia nel protagonismo dell’impegno politico garantito solo dalla libertà.

***La figura e l’opera di don Luigi Sturzo ha avuto anche un significativo contatto con la nostra terra: il sacerdote e segretario del PPI – prima dell’esilio – è stato ospite a Grado e Gorizia nel 1922 e nel 1924. Nella città del sole, egli ebbe occasione di incontrare i popolari di don Luigi Faidutti, come viene raccontato da una pubblicazione firmata dal comm. Camillo Medeot. (C. Medeot, I cattolici del Friuli Orientale nel primo dopoguerra, Gorizia 1972). Alla puntualità dei particolari documentati dalle foto, l’autore aggiunge alcune note che illustrano le ragioni note e meno note della visita. Siamo nell’agosto del 1922 e Luigi Sturzo sale a Grado insieme alla sorella gemella, viene accompagnato dalla stazione di Cervignano da tutti i maggiorenti del partito popolare locale (dott. Pettarin, presidente della giunta provinciale di Gorizia e dott. Serravalle segretario del PPi di Gorizia) ma anche dell’Istria e di Trieste; visita Gorizia, si fa intervistare da “L’Idea del popolo” (il giornale diocesano), si complimenta per la storia e il ruolo svolto dal Partito popolare del quale mette in risalto le intuizioni e le esperienze in tema di autonomia, di scuola (“ammira gli ordinamenti scolastici che hanno il merito di avere completamente eliminato l’analfabetismo”), di capacità di coinvolgere la comunità anche dopo la conclusione della guerra, della presenza attiva del Goriziano sull’economia del territorio  (fiera campionaria di Trieste).Si ferma a Gorizia senza ritornare a Grado: il comm. Medeot, facendo riferimento alla testimonianza di Ricardo Cunoldi (figlio dell’ing. Culot) secondo il quale, don Sturzo aspettava una telefonata per partecipare ad un incontro a Klaghenfurt con Ignazio Seipel, presidente del partito cristianosociale austriaco. Caduta tale opportunità, il sacerdote e politico ha l’opportunità di visitare la basilica di Aquileia, i campi di battaglia della grande guerra, i cantieri di Monfalcone dove non mancarono “bordate di fischi da parte di elementi fascisti”. Quindi il ritorno a Grado e poi a Roma.

***La seconda visita di Sturzo a Grado è del luglio 1924. Tutt’altro il tono della accoglienza per il prete di Caltagirone, oggetto di insulti della “prosa fascista” e di un gruppo di giovinastri gradesi al quale egli risponde con calma signorile “Se avete delle idee, e non solo delle frasi offensive, vi propongo un incontro per una libera discussione”. Un invito caduto nel vuoto… quasi la promessa del trattamento, specialmente dopo il delitto Matteotti, riservato ad un protagonista della storia e della Chiesa.   R.B.