Uomo della Parola con gli uomini delle parole
27 Marzo 2019
Quando monsignor DeAntoni venne eletto arcivescovo di Gorizia, in diocesi – oltre ai settimanali Voce Isontina e a Novi Glas – i massmedia di ispirazione cattolica erano rappresentati da Radio Kolbe (l’ex Radio Popolare che trasmetteva da via Seminario) e dalla redazione locale dell’emittente triveneta Telechiara.La prima intervista in assoluto la diede a chi scrive una ventina di giorni dopo l’annuncio della nomina. Era una giornata di fine giugno e la frescura delle stanze dell’episcopio di Chioggia mitigava a stento il caldo ancora più intenso nella cittadina in riva al mare: per lui farsi intervistare era un’assoluta novità. Conservo un suo prezioso appunto autografo in cui ricordava quel giorno: “Dinanzi ad alcune di quelle domande mi scoprì impreparato: ne ha guadagnato la spontaneità e l’immediatezza, forse ne ha risentito la precisione. Ma non è possibile preparare tutto in anticipo. Ho cercato di essere me stesso, dicendo quanto sapevo e riconoscendo la mia impreparazione su alcuni aspetti”.L’arcivescovo “imparò” ben presto come comportarsi coi giornalisti. E nacquero tanti rapporti con operatori dei giornali, delle radio, delle televisioni che entravano da lui magari timorosi di intervistare un vescovo ma ne uscivano entusiasti della persona che avevano avuto modo di incontrare, conquistati dalla sua affabilità ed accoglienza.Monsignor Dino aveva una capacità innata di stemperare le tensioni, di placare gli animi quando stavano per accendersi pericolosamente, di rendere innocue domande fatte magari con spirito di provocazione: lo faceva ricorrendo ad uno dei suoi proverbiali sorrisi a commento di quella che poteva sembrare una battuta scherzosa ma era in verità un concetto profondo espresso in modo non pesante.Il suo “segreto” credo fosse proprio la cristiana attenzione nutrita verso ogni persona che incontrava e di cui rammentava innanzitutto l’essere una creatura amata profondamente dal suo Creatore.Questo “Credo” diventava una risorsa in più quando si trattava di affrontare le domande più scomode ed insidiose nei momenti difficili che certamente non sono mancati anche durante il suo episcopato.Non penso abbia mai rifiutato il dialogo con un giornalista anche quando questo lo costringeva a stravolgere la sua agenda come avvenne ripetutamente nei giorni di Aquileia2 o della visita di Papa Benedetto ad Aquileia ma anche quando i massmedia di tutta Italia e dall’estero lo rincorrevano per chiedere un commento sulla candidatura a sindaco di un sacerdote della diocesi o quando la morte di Eluana Englaro coincise con la sua presidenza della Conferenza episcopale triveneta. Quando sceglieva la strada della prudenza – rimandando le proprie dichiarazioni ad un momento successivo – lo faceva sempre con una cortesia capace di non urtare l’interlocutore.Questa disponibilità derivava anche dal profondo rispetto che lui vescovo e quindi uomo della Parola nutriva per la vocazione di coloro che avevano il compito oneroso (lo ricordò durante uno degli annuali incontri nella festa di San Francesco di Sales citando “Gaudium et Spes”) di raccontare con le parole “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono perché queste sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.Un rispetto che non faceva venire meno, però, la giusta critica ed il richiamo quando il modo di fare giornalismo rischiava di scadere al livello del pettegolezzo e non prestava la dovuta attenzione alla persona ed alla sua dignità.Per lui l’appuntamento nella festa di San Francesco di Sales era un’occasione preziosa per condividere l’Eucarestia ed incontrare giornalisti, fotografi, tipografi: ricordo la sua gioia quando il numero dei partecipanti ricominciò ad aumentare e soprattutto quando l’età media si abbassò grazie alla presenza di alcuni giovani che avevano iniziato a collaborare col settimanale diocesano. Confidò apertamente che gli appariva come un segno di speranza anche per il futuro della nostra Chiesa.Cedute le frequenze della radio e chiusa l’esperienza di Telechiara, volle che “Voce Isontina” fosse diretta per la prima volta dalla sua fondazione da un laico. Una scelta non scontata -soprattutto perché interrompeva una tradizione lunga decenni – ma capace di cogliere i mutamenti che velocemente stavano avvenendo nel campo delle comunicazioni sociali anche in ambito ecclesiale, con la necessità di una nuova presenza – imposta più che proposta – dal mondo digitale.Da direttore ho sentito la sua vicinanza quotidiana: quando ci siamo confrontati sugli argomenti che Voce trattava ed anche quando mi “copriva” le spalle trasformando in “suggerimenti” – sempre rispettosi e mai invadenti o impositivi – quello che di condivisibile riscontrava nelle critiche che qualcuno non mancava periodicamente di fargli arrivare su questa o quella scelta editoriale.Grazie, monsignor Dino. Anche di quell’ultima carezza sul volto – quando siamo rimasti da soli per un breve tempo durante il suo ricovero in ospedale a Gorizia a metà febbraio – che era un “arrivederci” e che da sola diceva tutte le parole che in quel momento la voce non riusciva ad esprimere.
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