Il bene e il male
23 Ottobre 2019
Superato questo primo impatto, però, ecco che l’orrore si moltiplica e si materializza davanti agli osservatori un mondo che non ci si aspetta.Stiamo parlando di una chat di WhatsApp frequentata prevalentemente da ragazzini, partita da un gruppo nel Torinese e via via capace di infettare il web – e le coscienze – ad ampio raggio. Dicono le cronache che le immagini e i video presentavano scene di violenza inaudita a sfondo sessuale, nazista e islamista. Nella chat entravano minorenni e per gli inquirenti – che dopo mesi si indagini sono riusciti a risalire agli amministratori del gruppo, a quelli che lo hanno creato e alimentato: minorenni e maggiorenni, tutti residenti nella zona di Rivoli – la partecipazione al gruppo era una sorta di prova di maturità. Al momento sono indagati 25 ragazzi, 16 minorenni, tra i 13 e i 17 anni, e 9 maggiorenni tra 18 e 19 anni. La Procura per i minori di Firenze ha indagato tutti per detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico, istigazione all’apologia di reato avente per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali.L’indagine è partita dalla denuncia di una madre che ha “controllato” il telefonino del proprio figlio e si è trovata davanti uno scenario agghiacciante. Così, nel gennaio scorso si è recata dai carabinieri di Siena, da dove sono partite le indagini. Una denuncia provvidenziale, spiegano i carabinieri, che pure sottolineano come la diffusione della chat abbia interessato molte regioni d’Italia e moltissimi ragazzini hanno potuto osservare “le immagini di pedopornografia, di enorme violenza, di apologia del nazismo e dell’islamismo radicale che vi erano contenute”.Una sola denuncia. Viene da chiedersi dove fossero altri adulti, o come sia stato possibile che nessun occhio attento si sia posato sulle immagini e sui video negli smartphone dei ragazzini. Ma viene anche da domandarsi – e qualche esperto lo ha fatto da subito – come sia possibile che tantissimi minorenni semplicemente non si ribellino di fronte a immagini e scene come quelle scoperte dai carabinieri. Molti, certo, si saranno spaventati, uscendo dalla chat. Molti altri ne avranno riso? Tantissimi hanno inoltrato e condiviso.È evidente che un fatto come questo chiama innanzitutto in causa le responsabilità degli adulti. Dei genitori – grazie mamma coraggio – e della scuola, di chi si occupa in modo e con responsabilità diversi di educazione. Ma c’è anche chi ha puntato il dito su un problema che riguarda più da vicino i ragazzi, parlando di “analfabetismo emotivo”, l’incapacità di provare immedesimazione e compassione verso gli altri, di riconoscere e controllare le proprie stesse emozioni. Così anche le immagini più violente scivolano via, in quel confine indistinto tra realtà e videogioco. L’emergenza è qui: aiutare i nostri ragazzi a valutare la sofferenza che le nostre azioni possono procurare ad altre persone, i contesti relazionali nei quali si trovano immersi anche senza che se ne rendano conto. Perché ormai sempre più confusi tra il virtuale ed il reale.
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