Informazione, tra fake news e verità
23 Gennaio 2020
L’informazione oggi vive un’epoca complessa, dovendo farsi spazio tra fake news e notizie gonfiate ad arte. Non da ultimo la stampa cartacea si trova da qualche tempo in difficoltà a causa di una diffusa crisi dell’editoria e il sopraggiungere di nuovi mezzi di comunicazione.In tutto questo, dove e come si colloca la stampa cattolica? Che peso ha tra il popolo dei lettori?Abbiamo affrontato tutte queste tematiche con don Giorgio Zucchelli, direttore de “Il Nuovo Torrazzo” di Crema e della radio diocesana “Antenna5”, nonché presidente dell’USPI – Unione Stampa Periodica Italiana.
Don Zucchelli, come definirebbe il ruolo della stampa cattolica nel nostro Paese, storicamente e oggi?Stampa e media cattolici da sempre hanno il compito di interpretare tutta la realtà dal punto di vista dei valori cristiani. Il nostro ruolo non è soltanto quello di dare un’informazione religiosa, ma anche un’informazione religiosa; lo scopo quindi è quello di dare informazioni corrette su tutta la realtà, interpretandole dal punto di vista dei valori cristiani.Ciò significa dare anche informazioni su alcuni settori di cui gli altri parlano meno, su settori più trascurati, o sulle realtà locali più piccole. Si dà la possibilità a queste persone e a questi luoghi di essere conosciuti e di poter informare su argomenti che li riguardano.Ci sono poi alcuni temi fondamentali per la cristianità, come ad esempio quello legato alla vita, molto attuale, o quello legato alla carità e all’accoglienza. Si parla di tutto questo non facendo dei “predicozzi” ma raccontando fatti, organizzando magari degli speciali… insomma dando informazione a 360° su tutte le tematiche, dall’attualità, alla cronaca, allo sport e molto altro, di ispirazione cristiana, analizzando alcune tematiche che il resto dei media laici, per vari motivi, non affronta.Riguardo poi la presenza dei nostri media cattolici: ad inizio secolo c’erano 20 quotidiani d’ispirazione cristiana in Italia. Oggi ce ne sono 3 o 4, di cui uno è nazionale.Già prima della Rerum Novarum Leone XIII aveva pubblicato la Etsi Nos, nella quale parlava proprio di mass media e della necessità per le diocesi di dotarsi di strumenti di comunicazione sociale. Da quell’enciclica, poco per volta, tutte le diocesi iniziarono a dare il via a progetti editoriali. Già allora gli obiettivi primari erano quelli di dare un’informazione generale, sociale, che fosse vicina alle persone, comprese le fasce più deboli della popolazione. Il periodo fascista ha poi un po’ smorzato queste iniziative, riavviate con vigore nel dopoguerra, dopo il Concilio Ecumenico, con una ripresa notevole della stampa e la nascita di Avvenire, ancora oggi tra i “top 10” in Italia.Oggi tuttavia si ha una forza e una presenza minore rispetto a quella di una sessantina d’anni fa, dovuta non solo dalla maggior debolezza della presenza cristiana, ma anche dalla crisi del cartaceo e del mondo della comunicazione, cha ha comportato la preoccupante chiusura di diversi giornali diocesani; dico preoccupante perché una diocesi senza giornale, è come se non avesse la voce.
A tal proposito quindi, cosa significa oggi, a suo vedere, operare in un giornale cartaceo? Che “peso” ha all’interno della società, funge ancora da riferimento?Siamo obiettivamente spodestati da una pioggia di informazione che circola sui social e che “soddisfa” gli interessi di moltissime persone che non vanno più a cercarla sui mezzi tradizionali. Però purtroppo questo non ha garanzia; ci sono problemi di tipo giuridico – tantissimi prendono le informazioni dai giornali, diffondendole gratuitamente, senza pagare una redazione -, in più molto spesso diverse informazioni diffuse tramite social non sono “garantite”, sono prive di verifica e danno il via alla diffusione delle cosiddette fake news, anche gonfiandole per farsi leggere. Importante in questo il ruolo del giornale, che dà una garanzia dell’informazione ai suoi lettori. Questa secondo me è la strada su cui dobbiamo camminare, quella che si fa forza di un’informazione seria, garantita e di qualità.Certo è che, per costruire l’informazione, ci si deve avvalere delle persone adatte. Servono figure competenti, formate. Per un media cattolico si aggiunge anche il fare missione, ossia mettere in atto un’attività che porti i valori cristiani tra la gente. Lo spirito di chi lavora in questi mezzi d’informazione deve essere di questo tipo. È credo l’aspetto principale, oggi forse più difficile di ieri, bisognerà trovare le formule migliori per poter essere sempre presenti
Parlando di “strada da percorrere”, secondo lei quale sarà il futuro dei periodici diocesani e quali sfide dovremo cogliere per tenerci al passo con i tempi?Il futuro purtroppo non si può prevedere. In passato nessun media è mai stato distrutto da un altro; magari offuscato per un periodo, ma non è mai scomparso, basti pensare alla radio con l’avvento della televisione. Secondo me quindi ora noi dobbiamo agire con prudenza, senza demonizzare il passato – il cartaceo – ma anche senza chiudersi al futuro – il digitale -. Attualmente è prudente portare avanti una formula di convivenza e di media integrati, in una visione integrata della comunicazione, cercando di far sì che ogni strumento favorisca l’altro, con rimandi e contenuti aggiuntivi, comprendendo le potenzialità di ognuno e valorizzandole. Il tutto in attesa di vedere gli sviluppi.Il Papa stesso, nel recente discorso alla Curia romana, ha invitato a vedere in senso positivo la multimedialità, che non vuol dire abbandonare il cartaceo o viceversa chiudersi in una nicchia, perché si rischia di “perdere il treno” del nuovo che avanza. Per la Chiesa è un modo, quello offerto dai nuovi media – tra blog, testate online, Facebook, Instagram e quant’altro -, di essere più presente e portare avanti il suo messaggio originale.
Lei è anche preside del Liceo “Dante Alighieri” di Crema. È stato rilevato come oggi le nuove generazioni leggano meno rispetto a solo un decennio fa e che la soglia dell’attenzione si sia drasticamente abbassata. Come si potrebbe intervenire, con che percorsi, per aiutarle nella lettura, anche e soprattutto dei periodici di informazione, cosa che stimola poi la costruzione di una coscienza critica?È una questione molto complicata. Nella nostra scuola leggiamo il quotidiano in classe e si realizza un giornale, cosa che impegna gli studenti non solo nella lettura ma anche nella scrittura; va detto che non raccogliamo grande entusiasmo. I ragazzi oggi, anche nel loro consumo di social, non lo fanno per informarsi, è prettamente a livello ludico.Il grosso problema è quindi rappresentato dal fatto che, oggi, i giovani sono “ai margini” dell’informazione; bisognerebbe educarli all’interno delle scuole, con un’analisi ai giornali e una lettura guidata. Certamente però il compito ricade anche sulla famiglia, dove per primi si dovrebbe educare al leggere.Attirare i giovani è complicato, non saprei quali percorsi si potrebbero mettere in atto, ma vale la pena di tentare. Noi ad esempio, alla radio diocesana, abbiamo creato un appuntamento settimanale, tenuto da un parroco molto attivo sui social, che coinvolge i più giovani trattando tematiche di vario genere, contemporanee, con un linguaggio a loro vicino. L’”esperimento” sta funzionando piuttosto bene.Si tratta di provare e cercare strade per interessare i giovani all’informazione, facendoli “giocare” con questa e i suoi contenuti, portandoli verso qualcosa di profondo, in modo tale da creare poi un volano che coinvolga ancora altri ragazzi.Bello sarebbe come Fisc discutere insieme sulle novità dei social, come districarci in questo campo, magari proprio confrontandoci sul coinvolgimento dei giovani, scambiandoci le esperienze e insieme costruire qualcosa di nuovo.
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