La sintesi fra sentire degli umili e la grande cultura
18 Maggio 2020
Passata da poco la festa del lavoro: quel I maggio, che è stato anche occasione per dividersi, e che, tuttora, non è sempre di pacifica accettazione. Qualche divisione da noi, pur nella tristezza di un momento che ha consentito solo di pensarci, più che di esserci.Historia magistra vitae? Magari! Per fortuna, possiamo affidarci alla stessa fonte, Cicerone, pensatore e uomo politico. Magistra vitae non fu neanche per lui: fece una brutta fine, dopo una carriera, politicamente variabile, densa di opere superbe e di cariche politiche. La definizione regge; intera, è: Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis “la storia è testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria, maestra della vita, messaggera dell’antichità”. Allora sì, nell’insieme, diventa accettabile: di per sé stessa, la storia insegna a vedere l’uomo ripetere spesso errori simili, ma anche capace di risollevarsi, come i giunchi dell’ Isonzo, e del Torre, dopo ogni piena. Dunque, il messaggio è che bisogna conoscerla. Il lavoro: disprezzato da chi poteva permettersi di farne senza; assegnato quasi come pena da un medievale tu ora, tu labora, tu defende, che assegnava compiti distinti. La fatica, allora, ai contadini.Lotte secolari; slogan, necessariamente riassuntivi a sottolinearne la dignità e il diritto.Ora, in un Italia, che su di esso ha fondato la Costituzione, ha segni preoccupanti di degrado: difese mancanti, aggredite, più subdolamente sminuite e, per fortuna, e dono dello Spirito Santo, un Papa Francesco che ne parla al mondo come diritto, dovere, dignità.In questo balenare di mistero e di incertezza, che ha schiantato certezze, scorciatoie, e semplificazioni, appare chiaro che il lavoro è fondamentale. Viene messa in luce la sua importanza essenziale in una società, dove tutti hanno un ruolo. Il lavoro, valore scontato, grida in ogni funzione, dalla più umile alla più elevata; fa riandare col pensiero all’apologo di Menenio Agrippa, per richiamare il dovere, organico, della solidarietà.Senza fare paralleli bellici, come ora, dopo la II guerra mondiale, si verificava la necessità di unirsi: lo fecero perfino i potenti; gli umili non potevano farne a meno. I cattolici lo svilupparono, in un partito (la D. C.), in un movimento (le ACLI), in un sindacato (la CISL, ma qui non soli). Senza nulla togliere a numerosi personaggi e a tanti aderenti alle prime organizzazioni sindacali, nel Goriziano, chi emerse in tutti i passaggi verso la fondazione della Cisl, fu Rolando Cian (1918-1977).Nascita a Milano, da profughi, nella materna e paterna Ruda è cresciuto in un clima diffuso di cattolicesimo sociale, prima popolare; dopo la guerra, in parte riannodato al popolarismo, in parte scoperto nuovo. Lui, nel Goriziano, e non solo, fra i maggiori teorici, che fece sintesi fra sentire degli umili e la grande cultura.Laurea in giurisprudenza; attività frenetica, insieme con la preparazione dagli studi, la pratica di vita nelle lotte per la difesa dei diritti nella fabbrica e nelle campagne. La tensione all’unità nella lotta per la emancipazione, irta di ostacoli rappresentati da ideologie in scontro e in una situazione di confine che tornava a dividere con violenza.La sua azione è stata studiata in profondità da Franco Bentivogli, già Segretario Confederale Cisl, in un ampio saggio inserito nell’opera “Rolando Cian uomo di frontiera”, uscito a cura del politologo Paolo Feltrin, nel 2013, per le Edizioni Bibliolavoro della CISL Lombardia, e nato anche con il contributo di gruppi dell’area culturale cattolica nella diocesi di Gorizia.Nel 1945, Cian è nominato reggente dei Sindacati Giuliani di Gorizia, che poi, nello stesso anno diventa Camera confederale del lavoro “articolandosi secondo lo statuto della Cgil nazionale”. Il congresso provinciale della Camera del lavoro di Gorizia lo elegge segretario generale. Un tentativo di insieme nel “Comitato centrale di intesa sindacale” fra le forze di estrema sinistra e i Sindacati giuliani fallisce, come quello di intesa unitaria nei sindacati a livello nazionale.Il motivo principale è la volontà di autonomia dai partiti rivendicata dalla corrente cristiana che non viene accettato da chi era incapace di distinguere fra sindacato e partito. Così, a Gorizia, in anticipo rispetto al livello nazionale (13 agosto 1948, anziché 17 ottobre), nasce la Cils (Camera italiana liberi sindacati) e Cian è segretario generale e primo fra gli 11 eletti come delegati al congresso nazionale Lcgil (Libera confederazione generale italiana del lavoro) a Roma. Costante è la linea della autonomia: collaborazione c’era con le ACLI, ma autonomia dal partito della D.C. e visione di un sindacato laico e non confessionale. “In seguito agli accordi tra Lcgil, Fil [Federazione Italiana Lavoratori] e Unione dei sindacati autonomi del 30 aprile 1950, anche a Gorizia, con 7 giorni di anticipo sulla ufficializzazione dell’accordo nazionale… si costituirono la Cisl – Unione sindacale provinciale – e i relativi sindacati di categoria, e fu eletto il primo Comitato direttivo provinciale con Cian segretario generale”.A chi ha conosciuto Rolando Cian, è noto anche il seguito della sua vicenda umana di uomo integerrimo e coerente. Chi non la conosce ha strumenti per farlo e trarne utili insegnamenti. La sua azione sindacale a Salerno e a Napoli possono parlare anche nei tempi attuali. La sua coerenza fra pensiero e vita sono memoria cara e sguardo sul futuro.
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