Giulio Regeni: le parole e i fatti
10 Giugno 2020
Un muro beffardo e offesivo impedisce ancora la ricerca della verità giudiziaria sulle torture e sull’assassinio che il 3 febbraio 2016 hanno fatto trovare, alla periferia della capitale egiziana, il corpo straziato di Giulio Regeni, 28 anni, di Fiumicello, rifercatore dell’Università di Cambridge. Dall’aprile dello scorso anno la Procura della Repubblica di Roma attende una risposta alla richiesta di rogatoria, inviata dopo che un testimone ha trovato il coraggio di riferire agli avvocati che assistono la famiglia di Giulio Regeni quanto udito in merito alla cattura del giovane da un agente egiziano. Il nome di questo agente è nella lista dei cinque appartenenti alla National Security che risultano indagati dalla Procura romana. Il silenzio della Procura egiziana conferma la falsità delle affermazioni di collaborazione con l’Italia per la ricerca della verità espresse dai vertici politici del Paese africano e l’intensa attività di depistaggio attuata in questi anni. Ci si chiede come l’Italia possa sopportare un simile schiaffo alla sua dignità e come questo stesso nostro Paese possa continuare ad avere rapporti economici, definiti più che buoni, con il regime che sta riempiendo le proprie carceri di dissidenti: il caso del giovane egiziano Patrick Zaky, ricercatore dell’Università di Bologna, è quello che in questo momento colpisce di più in Italia. Nell’aprile 2016 l’Italia richiamò a Roma il proprio ambasciatore al Cairo in seguito a quanto successo al giovane ricercatore di Fiumicello, ma nell’agosto 2017 ne ha inviato uno nuovo con l’esplicito obiettivo di favorire la ricerca della verità per Giulio Regeni. Ebbene, da quando l’ambasciatore è rtornato al suo lavoro al Cairo si sono visti molti incontri di affari, tante trattative economiche, l’avvio di incontri per la vendita di navi militari ed armi all’Egitto. La verità per Giulio resta nelle nebbie che l’Egitto si guarda bene dal voler diradare. Da quando l’ambasciatore è tornato in Egitto, la magistratura egiziana ha smesso ogni parvenza di reale collaborazione con quella italiana che, con un grande lavoro degli inquirenti, ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di cinque ufficiali egiziani. Anzi, ha scelto la strada che più tradisce il senso della giustizia: il silenzio che sa di omertà e di disprezzo. Se il ’popolo giallo’, quelli che continuano a sostenere la famiglia di Giulio, aderiscono all’appello che chiede di richiamare nuovamente l’ambasciatore dal Cairo, il nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha già detto lo scorso febbraio che “il processo di conoscenza e di richiesta di giustizia può essere portato avanti solo avendo un ambasciatore lì”. Intanto, il periodo Covid ha rallentato anche i lavori della Commissione Parlamentare che ha aperto le proprie indagini sull’assassinio di Giulio Regeni, ma non ha impedito di far vedere con grande risalto agli italiani la ’solidarietà’ dell’Egitto che ci ha inviato materiale sanitario utile nell’emergenza pandemica. Grazie, ma questo non fa dimenticare il silenzio e l’oltraggio che ancora ci arriva dal Paese del Nilo, della Sfinge e delle piramidi. Se Verità e Giustizia non hanno il primo posto nell’agenda dei rapporti tra le Nazioni, e quindi anche tra Italia ed Egitto, è chiaro che ci sono altri ’valori’ a determinare il corso degli avvenimenti: i soldi e le armi. Dovrebbe essere chiaro, a questo punto, che chiedere ’verità e giustizia per Giulio Regeni’ è una battaglia per i veri diritti di ogni persona, in Egitto ed ovunque nel mondo: la vita, lo studio, il lavoro, l’amore, la giustizia, la pace. Si capisce perchè il ’popolo giallo’, quello che porta il braccialetto giallo ed espone il drappo con la scritta ’verità per Giulio Regeni’ e molti enti ed amministrazioni pubbliche non intendono fermarsi e non vogliono sentir parlare di archiviazione dell’inchiesta, mentre non si capiscono quelle pubbliche amministrazioni, anche di casa nostra, che rifiutano anche solo un ordine del giorno in appoggio al lavoro di ricerca della verità, da parte della famiglia, della Procura di Roma, dell’apposita Commissione parlamentare. La vice ministro degli Esteri, Marina Sereni, il tre giugno scorso durante una audizione in Senato ha definito l’uccisione di Giulio “una ferita aperta per il nostro Paese e continuerà a precludere il pieno sviluppo dei rapporti con l’Egitto finché non saranno assicurate verità e giustizia, che continuiamo a chiedere incessantemente ed a ogni livello”. Ha poi aggiunto “Vorrei ancora una volta ribadire la ferma volontà dell’Italia di ottenere la verità sulla barbara uccisione” di Regeni. Fin qui le parole. Con quali fatti si farà capire ai potenti d’Egitto che lo vogliamo davvero?
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