La professione solenne di don Giacomo Bertuzzi
17 Luglio 2020
La comunità dei monaci del Monastero di Santa Maria di Barbana, nel cuore della laguna gradese, si è arricchita di un monaco in più. Con la Professione Solenne di sabato 11, celebrata proprio nella chiesa dell’Isola di Barbana, dom Giacomo Bertuzzi si è consacrato definitivamente all’interno della comunità monastica. La Santa Messa Pontificale, celebrata da monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, è stata concelebrata dal priore dom Benedetto de Lyra Albertin e dall’arciprete parroco di Grado e Fossalon, monsignor Michele Centomo assieme a don Gianni Medeot. Ad accompagnare la liturgia la sezione maschile della Corale Santa Cecilia di Grado che, diretta dal maestro Annello Boemo, ha eseguito la Messa Cerviana di Lorenzo Perosi. Una cerimonia decisamente particolare che, come già accaduto per la celebrazione nell’Ottava di Pasqua con la Professione Solenne di dom Vitale, ha visto la cosiddetta ’sepoltura rituale’ di dom Giacomo: il neo-professo ’muore’, così, alla vita mondana per rinascere in un’esistenza totalmente diversa e dedicata alla preghiera e al lavoro. Di fatto, a Barbana, ormai, è forte l’impronta dell’Ora et Labora ovvero la regola benedettina. Dom Giacomo, 33 anni originario di Bazzano, vicino Bologna. Dopo un periodo di lavoro come impiegato, durante il quale ha svolto il servizio liturgico nella cattedrale di Bologna, sentendo sempre forte la propria vocazione religiosa. Si è avvicinato alla comunità dei benedettini della congregazione del Brasile che, fino gennaio, ha abitato la millenaria abbazia di Santo Stefano delle Sette chiese a Bologna. Entrato nel 2015, fin da giovane è stato attivo sia in parrocchia che poi, piano piano, nella congregazione.San Benedetto è anche Patrono d’Europa: nel 1964 Paolo VI lo scelse come patrono principale dell’intera Europa. Nella lettera apostolica ’Pacis nuntius’ il Papa, spigando le motivazioni della scelta di Benedetto a patrono d’Europa, ricordava che “egli insegnò all’umanità il primato del culto divino per mezzo dell’”opus Dei”, ossia della preghiera liturgica e rituale. Fu così che egli cementò quell’unità spirituale in Europa in forza della quale popoli divisi sul piano linguistico, etnico e culturale avvertirono di costituire l’unico popolo di Dio”. Va detto che, oltre al forte senso di comunità e al rispetto della liturgia, è caratteristica dei benedettini il non avere un’attività particolare con esclusione di altre. “Una casa benedettina si fa carico di ogni attività che risulti idonea alla sua particolare situazione – scriveva Dom Edmund Ford, Abbate di Downside, nel 1896 – o che gli possa esser imposta dalle sue necessità. Così troviamo benedettini che insegnano nelle scuole dei poveri o nelle università, che coltivano le arti o si dedicano all’agricoltura, che sono in cura d’anime o si consacrano totalmente allo studio. Nessuna attività è loro estranea, pur che sia compatibile con la vita in comunità e con la celebrazione dell’Officio Divino. Il progetto di S. Benedetto era quello di fornire una regola mediante la quale ciascuno potesse seguire i consigli dell’Evangelo, vivere, lavorare, pregare e salvarsi l’anima”, concludeva Ford.
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