La solitudine dei malati d’amianto

“Incorruttibile” così suona la traduzione della parola greca “amiantos” dalla quale deriva l’italiana “amianto”. In effetti resiste al fuoco, ad agenti chimici, all’usura e per almeno un secolo è stato, proprio per le sue caratteristiche, utilizzato per la realizzazione di prodotti che sono stati ampiamente utilizzati nell’industria, nell’edilizia, nei trasporti. È entrato nelle case e nelle fabbriche. Finché ci si è accorti della sua subdola capacità di minare la salute e uccidere le persone. Le sue fibre, sbriciolate e polverizzate, entrano nel nostro organismo attraverso le vie respiratorie o trasportate dall’acqua. Anche a distanza di molti anni, hanno effetti devastanti e mortali. La medicina classifica i danni all’organismo in tumorali (mesotelioma, tumore del polmone e della laringe) o non tumorali (asbestosi, placche pleuriche). In Italia, la legge 257 del 1992 stabilisce il divieto assoluto di commercializzare l’amianto e i prodotti che lo contengono a partire dall’anno successivo alla sua promulgazione. L’Osservatorio Nazionale Amianto rileva che in Italia nel 2019 si sono registrati 6000 decessi a causa dell’amianto (un terzo per danni ai polmoni ed il resto ad altri organi), una cifra che si rileva anche negli anni precedenti ma che viene data in crescita almeno fino al 2022/2023 quando si attende l’inizio della diminuzione dei casi di malattie collegate all’amianto. Monfalcone, con il Cantiere navale è uno dei centri italiani più colpiti dalle conseguenze dell’uso dell’amianto. Tanti i morti. I numeri in questi casi non sono mai sicuri. “Negli ultimi vent’anni, tuttavia, sono stati registrati solo a Monfalcone 240 casi di mesotelioma della pleura e circa 600 nella fascia costiera fra Monfalcone e Trieste. Nella sola sede Inail di Monfalcone, nello stesso periodo, sono state riconosciute circa 2000 pratiche per patologie asbesto-correlate. Gli studi condotti dall’equipe del Prof Bianchi, allora responsabile dell’U.O. di Anatomia Patologica dell’ospedale di Monfalcone, hanno dimostrato, sulla base di criteri internazionali, che oltre il 50% dei decessi per carcinoma polmonare è attribuibile, nell’isontino, al contatto con l’amianto. Di questa patologia, il tumore ai polmoni, sono morte negli ultimi vent’anni circa 1500 persone residenti nei Comuni del mandamento monfalconese”.  Lo scrive il sito dell’Associazione Esposti Amianto Monfalcone. Nei tribunali in Italia e nella nostra regione ci sono stati e ci sono ancora processi nei quali avvocati e Pubblica accusa si sono confrontati e si confrontano ancora sulle responsabilità penali per l’utilizzo dell’amianto assassino. Ci sono state condanne ed altri processi sono ancora aperti. Anche il mondo politico ha fatto proprio il problema amianto, vuoi per legiferare vuoi per uso elettorale. Al di là e prima dei tribunali, delle statistiche e della politica c’è la persona che porta su di sé le conseguenze dell’uso dell’amianto.

Giovanni (non è il suo vero nome per rispetto alla persona colpita dalla malattia) cosa si prova quando si scopre di avere dentro di sé quelle maledette fibre? Ne avevi sentito parlare. La paura che ti portavi dentro, perché eri stato esposto, diventa una realtà ossessiva. Tutta e solo tua. Non è che condividerla con altri faccia diminuire la paura. Sei in un’età che matura l’orizzonte finale e capisci che il tuo percorso verrà interrotto, ti verrà rubato se parte la malattia. Sei impotente, il mondo è impotente. Ti chiedi: si sperperano tanti soldi, perché non impegnarli nella ricerca…

La vita continua ma quel tarlo è lì; cosa ha cambiato nelle tue abitudini e nelle tue amicizie?  È arrivata la solitudine, anche dentro la cerchia più ristretta, più intima. Ad un certo punto della giornata, si chiude la porta e sei solo. Quando le cose vanno bene le amicizie abbondano, poi… la compassione ti fa male, ti chiudi, ti isoli senza accorgerti.

Dove cerchi una risposta alle tante domande che nella solitudine emergono dentro di te?No, non ti bastano le risposte materiali, sanitarie, le cure, l’assistenza. Si cerca qualcosa a cui credere e chi ha una fede si rivolge al proprio Dio. In fondo, nessuno vuole morire. E poi torni a cercare risposte nelle cose che puoi toccare; fai la verifica per vedere se i compiti assegnati li hai fatti bene, con la famiglia, i figli. Cerchi di fare in modo che tutto sia in ordine.    

Chi vive questo dramma, cosa chiede alle istituzioni pubbliche? Ci ho pensato più volte. C’è una premessa da fare. Vedi, una persona sa che, se va in guerra, può essere ferita o morire. Quando vai a lavorare metti in pratica il tuo sapere, la tua professionalità e sai che a fine mese prendi quello che ti serve per vivere tu e la tua famiglia; non metti certo in conto che ci si ammala e si muore. E invece… C’è ancora molta strada da fare per mettere il valore delle persone prima dell’accumulo dei profitti. Per chi è stato esposto all’amianto e ne porta le conseguenze le istituzioni pubbliche offrono diverse strutture e servizi. Il loro funzionamento ha certo bisogno di essere migliorato, ma si sente soprattutto la mancanza del supporto psicologico e dei servizi sul territorio in ambienti decorosi ed accoglienti. In questo momento, come per altri malati, il Covid ha complicato e peggiorato la situazione.   

Amianto mai più, lo diciamo ancora, ma il “dopo amianto” è più sicuro?La società, la comunità in cui viviamo rappresentano una complessità di soggetti con interessi diversi e a volte divergenti o in conflitto. Vediamo crescere le disuguaglianze e quello che è toccato a te continua in altri modi. Il caso amianto deve risvegliare le coscienze per andare oltre la solidarietà dell’emergenza, che arriva quando i danni sono già realtà. La sicurezza e la salute negli ambienti di lavoro devono diventare una vera questione sociale, sulla quale far convergere le energie di tutte le componenti della società. Pensiamoci: passiamo la gran parte della nostra vita a lavorare… e non è giusto che questo abbia le drammatiche conseguenze che molti di noi oggi stanno subendo.