Armando Calligaris, morto d’inedia in manicomio
8 Dicembre 2020
Era il lontano 1966, quando Armando Calligaris, di Romans, classe 1923, si lasciò morire d’inedia nel manicomio di Gorizia, dov’era ricoverato da 12 anni, come una sorta di ergastolano innocente.Una storia triste, quella di Armando, ormai dimenticata in paese, ma che allora commosse l’intera comunità. Una storia pietosa, che il Circolo “Mario Fain” ed il gruppo di ricerca “I Scussons”, col patrocinio del Comune, hanno rispolverato e affidato ad un libro dal titolo “Armando e i suoi fratelli – Le loro storie raccolte in uno stadio”. Lo stadio è quello di Romans, che nel 2002 è stato dedicato proprio ai “F.lli Calligaris”, Alessandro, Armando e Mario. Una pubblicazione pensata per omaggiare la Pro Romans, gloriosa società calcistica (dal 2012 Pro Romans Medea), in occasione del centenario del 2021. Lo farà ricordando la storia di Armando, promettente calciatore della Pro Romans, che poteva ambire a traguardi ben più alti, se il destino non gli avesse teso una drammatica imboscata quando aveva meno di 7 anni di età.Accadde che Armando, giocando in un cortile vicino a casa, in via Raccogliano, venisse minacciato da un cane e un adulto lì vicino, per difenderlo impugnò una zappa per impaurire la bestia, ma finì per colpire Armando alla testa, procurandogli uno sfondamento nella parte destra del cranio, poco sopra l’occhio. Armando riuscì a superare apparentemente quel trauma e visse a lungo sereno, giocando a calcio con la Pro Romans, il Crda Monfalcone, la Saici Torviscosa e l’Omegna in Piemonte. Di lui si interessarono a più riprese anche alcuni club professionistici delle serie maggiori, ma quella ferita alla testa non passò mai inosservata nelle visite mediche e venne sistematicamente scartato. Alla fine degli anni Quaranta, il suo cervello, forse compresso da quello sfondamento cranico, gli provocò le prime crisi epilettiche, che diedero vita a comportamenti aggressivi, per i quali, nel 1951, venne ricoverato per la prima volta per un paio di settimane nell’ospedale psichiatrico di Gorizia, poi venne dimesso e non ebbe più alcuna crisi per un periodo di tre anni.Crisi che si ripresentarono, però, nel corso del 1954, quando venne ricoverato altre due volte in manicomio, l’ultima in modo definitivo. Visse il ricovero in modo straziante, con sporadiche crisi epilettiche e lunghi periodi di lucidità, che gli impedivano di accettare quella forzata degenza. Nel 1960 a dirigere l’ospedale psichiatrico di Gorizia, giunse Franco Basaglia, che analizzando la storia di Armando, nel 1964 si diede da fare per inviarlo all’ospedale di Udine per farlo operare alla testa dal professor Ceccotto, ritenendo che potesse guarire.Venne operato e per diversi mesi visse con la mente lucida, poi ebbe altre crisi epilettiche e per lui tutto franò nuovamente e definitivamente. Cadde in una sorta di astenia, rifiutò le cure e si ammalò di broncopolmonite, che lo portò alla morte, il 4 ottobre 1966.Aveva 43 anni. Il libro cade pure significativamente a quaranta anni dalla morte di Basaglia, come ricorda Claudia Panteni, presidente del Circolo “Mario Fain”, scrivendo che: “in una comunità di oppressi quali erano i pazienti degli ex manicomi, privati della libertà, privati dell’identità; anche la storia di uno ci fa capire l’enormità delle sofferenze e la grandezza della rivoluzione basagliana. Molte cose sono state scritte, studiate; documentata e scandagliata una realtà che per fortunata è stata scompigliata e buttata all’aria dall’intelletto e dal cuore di Basaglia, ma basta la storia di uno per capire quanta sfortuna per chi non ha fatto in tempo a respirare quel nuovo ossigeno. Basta la storia di uno per commuoverci. Ridare voce e dignità ad un oppresso è sempre nobile”.
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