Ripartire dalle relazioni
17 Febbraio 2021
Un anno fa veniva ufficialmente registrato in Italia il primo contagio da Covid – 19. Solo un paio di settimane dopo l’intero Paese iniziava il lockdown. Tutti ricordiamo ancora gli altoparlanti della Protezione Civile lungo le strade, che invitavano a collaborare rimanendo a casa e uscendo solamente per le emergenze e le spese strettamente necessarie. E ancora tutti ricordiamo le immagini devastanti delle lunghe file di carri militari che, partendo da Bergamo, portavano in più punti d’Italia le bare contenti le vittime del virus per essere incenerite.Abbiamo sentito Sabrina Penteriani, direttrice di “santalessandro.org”, settimanale diocesano online proprio di Bergamo, e insieme a lei abbiamo cercato di comprendere quale sia la situazione oggi, mentre andiamo verso una graduale riapertura e ripresa, quali siano ancora i timori, ma anche da dove poter ripartire per ricucire, in qualche modo, le ferite rimaste.
Direttrice, ad un anno dall’arrivo del Coronavirus anche nel nostro Paese, qual è oggi la situazione a Bergamo, città tra le più colpite dalla pandemia?Guardando la gente che si muove nelle strade e il traffico, tornato ad essere intenso come prima della pandemia, da un lato si legge una grande voglia di tornare a vivere, dall’altro lato, osservando l’attenzione che le persone riservano alle distanze di sicurezza, all’indossare la mascherina… si legge una grande prudenza, tipica di chi ha vissuto un’esperienza molto drammatica, come quella vissuta nei primi mesi della pandemia. Credo che in questo periodo a Bergamo si vivano intensamente entrambi questi aspetti.
Come si sta vivendo quindi questa “seconda fase”? Quali sono i timori di chi, come i bergamaschi, ha vissuto la pandemia sulla propria pelle in maniera molto forte?Sicuramente c’è ancora paura e proprio oggi il titolo di apertura dell’Eco di Bergamo conferma che è presente sul nostro territorio la “variante inglese” con 15 casi in un paese dell’hinterland, non molto lontano dalla città; i positivi al Covid – 19 ieri erano poco meno di 200.Ad ogni modo, siamo in una situazione tutto sommato migliore rispetto ad altre province dove non si è creata un’immunizzazione che forse qui abbiamo, perché davvero moltissime persone sono state contagiate nella prima fase della pandemia.In questo momento però c’è sicuramente anche una grande speranza, data dal fatto che cominciano ad essere somministrati i vaccini; questo sta aprendo ad una prospettiva di miglioramento per i prossimi mesi. Certo c’è molta prudenza – e anche molta paura che nei prossimi mesi si possa ripresentare una situazione in qualche modo critica -.
Nel corso di quest’anno, le comunità, le chiese, hanno dovuto affrontare tanti ostacoli. Secondo lei com’è cambiato il modo di “fare” Chiesa ma soprattutto di “essere” Chiesa?Ho parlato con tanti preti, anche in quest’ultimo periodo. Mi ha colpito come molti di loro abbiano riferito che la Messa – soprattutto in questa seconda fase – sia diventata per molte persone anche l’unico momento per ritrovarsi in comunità, l’unico momento di contatto sociale.Le comunità hanno vissuto una nuova stagione, con un rinnovato desiderio di spiritualità, perché nella difficoltà l’uomo è portato a guardarsi dentro, a cercare in sé la forza per affrontare le crisi, di qualsiasi tipo esse siano: sociali, culturali, economiche… e la pandemia ha messo insieme tutti questi aspetti.Per quanto smarrita fosse la Chiesa nella prima fase pandemica, con l’impossibilità di muoversi e la necessità di trovare forme nuove, anche in modalità che prima non erano familiari a nessuno, ha avuto una reazione e abbiamo assistito alla nascita di tante iniziative davvero creative nei nostri oratori – nella provincia di Bergamo sono una forza, presenti in quasi tutte le parrocchie – dove i curati più giovani, grazie alla loro familiarità con le tecniche digitali, hanno messo a disposizione la capacità di essere comunque vicini ai giovani, alle famiglie, a tutti quanti. Quindi a mio parere c’è stato un iniziale forte smarrimento – comprensibile perché davvero generale e dovuto al fatto, inaspettato da tutti, di essere il centro della pandemia – al quale c’è stata altrettanta reazione.Ulteriore caratteristica del nostro territorio è la forte presenza di associazioni di volontariato e la forte capacità di mettere in moto azioni di solidarietà. Da questo punto di vista, soprattutto nella prima fase, hanno dimostrato una grandissima tenuta – forse non altrettanto forte nella seconda fase, ma va detto che non c’è nemmeno stata una così grande “messa alla prova” generale, come invece era accaduto nella prima -.
Sul territorio della nostra arcidiocesi, nel corso della pandemia molte persone e famiglie hanno subito forti contraccolpi dalle chiusure dovute al lockdown, con la perdita del lavoro o la riduzione degli stipendi e le richieste di aiuto si sono moltiplicate. Si è registrato questo problema anche sul vostro territorio? Cos’è stato possibile mettere in atto?Sicuramente il problema si sente moltissimo e a mio vedere sarà un’onda lunga, nel senso che si sentirà per lungo tempo da qui in avanti; si tratterà anche di capire come si evolverà la situazione. Un esempio: qui da noi un settore che aveva molta presa sul territorio era quello legato al Turismo, sostanzialmente azzerato all’improvviso. Molte fabbriche poi sono chiuse e lungo le strade si osservano numerose saracinesche abbassate…Le difficoltà sono molte, sicuramente sono state ancora più pesanti sulle fasce di popolazione più fragili, magari con condizioni lavorative precarie, interinali… Sicuramente questo si è sentito sia nelle parrocchie, che a livello diocesano nelle richieste di aiuto arrivate a tutti gli enti preposti. È nato così, nella prima fase, il fondo “Ricominciamo insieme”, per rispondere all’emergenza e alle difficoltà delle famiglie, coordinato dalla Caritas diocesana. In questa seconda fase – sarà avviato proprio a breve – il fondo cambia nome e diventa “Occupiamoci”, puntando a trovare nuove possibilità occupazionali per le persone che si sono ritrovate improvvisamente senza lavoro e quindi spiazzate
Tutti abbiamo vissuto e stiamo vivendo questa pandemia, ma purtroppo – lo si vede dai dati – ci sono territori che l’hanno subita più pesantemente. Noi tutti abbiamo visto con forte commozione le immagini della lunga fila di carri militari che trasportavano le bare delle vittime del Covid della bergamasca. Però noi, da “fuori”, potevamo solo percepire il vostro dolore, viverlo in prima persona, come dentro ad una guerra, doveva essere ancora più difficile.Ricordando proprio queste immagini, che non dimenticheremo, cosa crede resterà dopo questa pandemia? Da dove ripartire?Sicuramente ne resterà un tessuto sociale impoverito, perché parliamo di più di 6.000 morti, di una generazione di padri, madri, nonni fortemente decimata dalla pandemia.Una prima necessità sarà quindi quella di ricucire questo tessuto “sfilacciato” e di trovare, per chi ha perso delle persone care, un modo per superare queste ferite. Queste bare non erano dei fake, come qualcuno ha detto: queste bare erano vere e basta parlare con i parroci per trovare conferma. Lo stesso parroco di Seriate, alle porte di Bergamo, solo per fare un esempio, ha perso due nipoti, trentenni, padri di famiglia ed è stato uno di quei sacerdoti che avevano le chiese della propria parrocchia piene di bare.Di sicuro tutto questo è un segno forte, che porta ad una necessità di cambiare mentalità, di costruire nuove reti di protezione e interroga molto anche sulla condizione degli anziani, più in generale sulle condizioni della salute e sicuramente costringe a rileggere tutta la nostra società.Un invito che è stato fatto dal nostro vescovo – che ora incomincerà un pellegrinaggio pastorale attraverso la diocesi – è quello a riprendere il contatto con le comunità, di rifondare e ripartire dalle relazioni.Nel post – pandemia il focus dovrà quindi essere proprio questo: l’attenzione all’altro e alle relazioni.
(La foto, di Giovanni Diffidenti, fa parte della serie “Quel che resta del bene”, installazione urbana realizzata per il Bergamo Festival Fare la pace 2020 e ora diventata mostra itinerante).
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