Un “Fiocco di Neve” per avviare il cambiamento
29 Marzo 2021
Nel 2019 erano 3 milioni 574 mila gli uomini ad aver subito violenze di genere almeno una volta nella vita nel nostro Paese.La violenza contro gli uomini, inutile nasconderci dietro ad un dito, è presente anche nella nostra società; “silenziosa” forse, vuoi anche per i retaggi culturali che serpeggiano nel nostro Paese, ma innegabilmente parte delle violenze di genere registrate ogni anno.A Gorizia c’è una realtà – che proprio in questi giorni compie il suo primo anno di attività – che si occupa nello specifico di violenza sugli uomini: si tratta del Centro Antiviolenza “Il Fiocco di Neve” APS, ospitato presso gli spazi dell’Istituto Contavalle in via Garzarolli 131.Il centro – sostenuto anche dai fondi 8xmille della CEI – accoglie, ascolta, accompagna uomini che presentano nelle loro storie diversi tipi di violenza: non solo fisica, ma anche psicologica, stalking, economica… Abbiamo approfondito tutto questo con la dottoressa Helena Bia, presidente dell’associazione.
Dottoressa, proprio in questi giorni il Centro Anti Violenza “Il Fiocco di Neve” tocca il suo primo anno di attività. Com’è sorto, quali i passi che vi hanno portato qui oggi?Questo percorso è iniziato quando decisi di scrivere la mia tesi di laurea, nel 2018, sulla violenza di genere e la mia relatrice mi propose di cambiare prospettiva, in quanto le tesi incentrate sulla violenza sulle donne erano già moltissime, mentre di violenza contro gli uomini non ne parlava nessuno.Devo dire che il materiale era davvero scarso, pubblicazioni sostanzialmente non ce n’erano; la mia “fortuna” è stata che, dovendo scrivere la tesi sia in Inglese che in Italiano, ho trovato qualche pubblicazione estera. È stato così proprio durante questa ricerca che mi sono resa conto di come non esistesse un servizio che si occupasse di questa tematica in Italia.Solo a cavallo tra il 2018 e il 2019 è nato un primo centro misto, “Ankyra”, a Milano, al quale mi sono rivolta per avere qualche informazione.Successivamente, per meglio comprendere come si svolgesse l’attività di un Centro Antiviolenza, ho svolto un periodo di tirocinio presso l’associazione isontina SOS ROSA, dove ho imparato davvero moltissimo, sia per quanto riguarda la gestione di un Centro Antiviolenza, sia per quanto riguarda il rapporto diretto con le persone che a questo si rivolgono. Una vera esperienza formativa.Dopo la laurea ho deciso quindi di provare a “lanciarmi”, proprio perché non esisteva nulla che si rivolgesse specificatamente agli uomini. Ho proposto il progetto a don Stefano Goina, presidente della Fondazione Contavalle, il quale ha volentieri accolto la proposta, anche fornendoci gli spazi per la nostra sede. A lui un ringraziamento per aver creduto in questo progetto.Abbiamo così cominciato, purtroppo in maniera un po’ sfortunata: il Centro ha infatti aperto i battenti il 9 marzo 2020, giorno nel quale venne poi dichiarato il lockdown nazionale. Tuttavia, nonostante la fatica per farsi conoscere in questi mesi – abbiamo avuto a disposizione per quasi tutto l’anno solamente i Social -, la realtà ha cominciato a ritagliarsi il suo spazio, facendosi notare. Il lavoro che svolgiamo qui, è quello di qualsiasi altro Centro Anti Violenza – offriamo ascolto, consulenza, accompagnamento… – ma si concentra appunto sugli uomini.Nel frattempo inoltre è nato un altro centro, “Perseo”, a Milano, con il quale ci siamo messi in rete e successivamente è sorto anche il centro “Casper” a Genova, che si è unito alla rete di protezione per gli uomini.
Addentriamoci all’interno di questa tematica. Cosa si intende nello specifico quando si parla di violenza contro gli uomini?Va innanzitutto detta una cosa, dalla quale desidero partire: asserire l’esistenza della violenza sugli uomini non significa in nessun modo negare l’esistenza di quella contro le donne.Le forme di violenza sono uguali sia verso gli uomini che verso le donne, quindi oltre alla violenza fisica e sessuale troviamo anche quella economica e psicologica; c’è molto stalking, una delle violenze più diffuse verso gli uomini.Quella poi che trovo colpisca in maniera più grave gli uomini rispetto alle donne, è la violenza perpetrata tramite i figli, che spesso vengono usati come delle vere e proprie “armi” nei confronti dell’uomo. Purtroppo alcune donne non si rendono conto che, così facendo, trattano i figli come se fossero degli oggetti all’interno delle problematiche con i propri ex compagni e molto spesso quelli che ci rimettono più di tutti sono proprio i bambini, che cresceranno inevitabilmente con dei problemi e molto spesso manifestano già dei disturbi all’interno della fase di violenza.È una problematica molto delicata, che oltretutto lede fortemente l’autostima dell’uomo, il quale si trova a non essere più considerato non solo partner, ma anche e soprattutto padre.
Quali sono le storie che si sono finora presentate al vostro Centro e quanti casi state attualmente seguendo?Per la maggior parte si tratta di uomini a cui sono stati portati via i figli; a questa problematica si aggiungono altri tipi di violenze, principalmente psicologica, ma per diversi casi abbiamo anche la presenza di violenza fisica. Un’”arma” molto utilizzata nei conflitti sono poi le false denunce, che portano gli uomini che si rivolgono a noi ad avere in atto dei procedimenti penali in cui sono innocenti ma devono dimostrarsi tali.In questo momento seguiamo otto casi, tutti cittadini italiani, arrivati da novembre a fine febbraio, sono tanti… Alcuni arrivano da fuori provincia ma la maggior parte fa riferimento al territorio isontino. Lavorando in rete con gli altri due centri, tendiamo a dividerci un po’ i casi; per il prossimo futuro è probabile che lavoreremo sull’area triveneta, finché non aprono anche altri Centri Anti Violenza.
Come si svolgono i primi contatti e come si procede poi? Che tipo di supporto viene offerto?Dipende un po’ dal tipo di necessità che presenta ogni persona. Il primo contatto con il nostro Centro può avvenire al telefono, o tramite e-mail, o ancora con un appuntamento direttamente qui in sede, come la persona ritiene più opportuno.Successivamente cerchiamo un po’ di capire che tipo di situazione stia vivendo e già all’interno del primo colloquio si cerca di stilare una lista di priorità: cosa è essenziale mettere in atto subito e come procedere poi con i passi successivi.Gli uomini che si rivolgono a noi spesso non hanno bisogno di un servizio legale, perché già seguiti da un avvocato (anche se, in caso di necessità, abbiamo anche la disponibilità di un legale di fiducia), ma vengono per farsi aiutare più dal punto di vista psicologico. Questo perché forse fa meno “paura” presentarsi a noi, che rivolgersi a uno psicologo. Hanno tanto bisogno di parlare e soprattutto di essere ascoltati – è una cosa che mi è stata detta spesso -. Altri hanno anche il bisogno di essere accompagnati in tribunale, per farsi forza.Tra i nuovi progetti, stiamo attivando una Casa Sicura, in modo da poter offrire un luogo dove poter pernottare almeno una notte in emergenza, qualora venga a mancare all’improvviso la dimora (molto spesso infatti queste persone vengono private anche della casa).Cerchiamo poi di fare da intermediari qualora siano disoccupati, in modo da poterli aiutare a trovare un’occupazione.
Parlando proprio del mondo del lavoro, ci sono storie di violenza di genere sugli uomini avvenute in ambito lavorativo?Nel nostro centro non è capitato ma sì, succede; si sono registrati diversi casi, principalmente all’estero. Viene in genere archiviato come mobbing (tematica che affrontiamo anche nel nostro Centro), ma molto dipende poi dal punto a cui tutto ciò arriva.Le violenze possono celarsi non solo nell’ambito della famiglia ma appunto anche nel mondo del lavoro, in quello dello sport, nella scuola… Nostro obiettivo è quello di affrontare diverse tematiche e far capire che la violenza di genere è come una grande scatola, al cui interno stanno tante piccole scatoline: la violenza contro gli uomini è una, quella contro le donne è una, il mobbing è ancora un’altra… sono davvero tante le sfaccettature della violenza di genere.
Non si sente spesso parlare della violenza sugli uomini, ma purtroppo anch’essa esiste e ora sappiamo che è presente anche sul nostro territorio. Viene da chiedersi però quanto ci sia di sommerso in tutto questo…A livello generale si stima che, per ogni tipo di reato, il sommerso sia quattro volte superiore rispetto a quanto venga denunciato. C’è poi da dire che gli uomini denunciano ben nove volte in meno rispetto alle donne, quindi in questo caso il sommerso è davvero tantissimo.Questo accade perché molto spesso, nei casi in cui è la componente maschile ad essere vittima della violenza, quando questa va a denunciare, non viene creduta: molti sono gli uomini che si sono recati dalle Forze dell’Ordine ma sono stati vittimizzati di nuovo; alla luce di ciò, non si sentono sicuri a rivolgersi nuovamente alle varie agenzie del controllo, quindi tendono a nascondere anche elementi evidenti.C’è tanto più timore da parte degli uomini a denunciare, perché hanno paura di essere derisi, hanno paura del giudizio delle persone e non vogliono farsi vedere come delle vittime. Questo sicuramente è dovuto anche da un fattore culturale radicato, che vuole l’uomo che non piange mai, che non si piega, che non fa trasparire le proprie emozioni, “macho”. Il punto è che non dovrebbe essere così, a mio avviso è proprio un problema culturale che vorremmo cercare, come associazione, di mitigare: l’idea è – quando sarà possibile – di organizzare dei laboratori anche con le scuole e iniziare a piantare l’idea che anche gli uomini possono piangere, possono esprimere i propri sentimenti, possono chiedere aiuto e non c’è nessun tipo di vergogna in questo; siamo tutti umani, abbiamo tutti bisogno di esprimerci e di essere aiutati in qualche modo.
A tal proposito, a chi sta subendo una violenza ma ha timore di rivolgersi a voi, cosa vorrebbe dire?Posso dirgli che non c’è niente di cui vergognarsi, che questo è un luogo sicuro e vuole essere una piccola zona di ascolto e di libertà per tutti gli uomini che ne abbiano bisogno.
Un’ultima curiosità: perché “Il Fiocco di Neve”?Il tutto è partito da una riflessione sul detto “La goccia che fa traboccare il vaso”. Mi sono interrogata su quanto liquido una goccia potesse far fuoriuscire: un’altra goccia? Forse due o tre? Ci deve essere qualcosa di altrettanto piccolo ma capace di cambiare completamente le cose in maniera definitiva. Mi è quindi venuto in mente di come, durante le forti nevicate, basti un fiocco di neve in più per spezzare un ramo o provocare una valanga. Visto che il nostro obiettivo è quello di avviare un cambio culturale, che faccia comprendere come la violenza abbia tantissime forme e va condannata in tutte le sue forme, abbiamo scelto quest’immagine del fiocco di neve, che rompe i rami e dà il via al cambiamento.
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