Settimana della Cultura Friulana: eventi in diretta streaming
3 Maggio 2021
La Società Filologica Friulana organizzerà dal 6 al 16 maggio prossimi la Settimana della Cultura Friulana.L’ottava edizione della rassegna che propone concerti, conferenze, spettacoli teatrali e presentazioni di volumi si è naturalmente adeguata all’emergenza sanitaria: come già avvenuto nel corso dell’edizione dello scorso anno, la maggior parte delle iniziative sono state infatti riconvertite in eventi in diretta streaming direttamente dal sito internet della manifestazione all’indirizzo www.setemane.it.In attesa della presentazione della manifestazione che si svolgerà lunedì 3 maggio, in anteprima per Voce Isontina si presentano in questa pagina due degli eventi di particolare interesse per il Goriziano: la presentazione del volume “Storie di preti isontini internati nella Guerra 1915-1918” del maestro Camillo Medeot, che sarà messo in onda venerdì 7 maggio alle ore 16, e “Monsignor Luigi Fogàr. Pastore di coerenza evangelica” che verrà trasmesso domenica 16 maggio, sempre con inizio alle ore 16.Nel prossimo numero di Voce Isontina sarà presentato l’intero programma della manifestazione che riserva una ulteriore sorpresa e una importante manifestazione per il Goriziano.
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Il 26 agosto 1971 moriva a Roma il sacerdote goriziano, vescovo dal 1923 al 1936 di Trieste
uest’anno ricorrono i cinquant’anni dalla scomparsa di mons. Luigi Fogàr, un goriziano illustre che ha vissuto con intensità un’epoca difficile, lasciano un traccia profonda.Luigi Fogàr nacque a Piuma presso Gorizia il 27 gennaio 1882; il padre Luigi, commerciante e proprietario terriero, era vicino alle posizioni liberal-nazionali di molta della borghesia goriziana del tempo; il giovane Luigi frequentò a Gorizia le scuole elementari della Lega Nazionale, compì gli studi superiori a Gorizia e a Merano e quelli ecclesiastici a Innsbruck, lontano dal seminario goriziano, considerato probabilmente dal padre un covo di slavofili. Nel suo caso non era certo una scelta scontata quella di diventare sacerdote, ma fu tenacemente perseguita. Ordinato sacerdote nel 1907 a Innsbruck, rientrò a Gorizia e ricoprì subito incarichi di educatore ed insegnante; in particolare ebbe ruoli all’interno del seminario, raccogliendo presso i chierici sempre attestati di stima sincera.Durante la guerra si occupò dei profughi italiani e degli studenti italiani profughi a Lubiana. Nel 1917 si laureò all’università di Innsbruck, passo necessario per ottenere in seguito incarichi di prestigio a cui sembrava destinato. Rientrato a Gorizia nel settembre del 1918, nel dopoguerra, venne chiamato dall’arcivescovo mons. Sedej a ricoprire il delicato incarico di proprio segretario e, dal 1922, di direttore spirituale in seminario. Partecipò alla costituzione della sezione goriziana del PPI. Al suo nome è legata anche la nascita dell’Azione cattolica italiana a Gorizia con la fondazione del circolo “Per crucem ad lucem” nel 1921. Attivo nella vita culturale cittadina, il suo nome ricorre tra i primi aderenti alla Società Filologica Friulana.Nel 1923 venne scelto dalla Santa Sede quale nuovo vescovo di Trieste-Capodistria, diocesi attraversata da tensioni profonde: il vescovo Karlin, sloveno, era stato costretto a lasciare nel 1919 e sostituito dal piemontese Angelo Bartolomasi, ordinario militare italiano, il quale non solo si ritrovò a gestire un clero dalle molte anime, ma anche assistette alle prime violenze squadriste su clero e fedeli sloveni e croati. Bartolomasi lasciò presto e la nomina di Fogàr – sacerdote italiano originario della Venezia Giulia – doveva in qualche modo riuscire ad equilibrare i rapporti interni alla diocesi offrendo garanzie anche allo stato italiano.Il fascismo stava mettendo in atto una pesante politica di snazionalizzazione, che passava attraverso il divieto dell’uso pubblico – anche nelle chiese – di sloveno e croato, l’intimidazione e l’attacco fisico delle persone. Fogàr si impegnò a fondo, in accordo agli altri vescovi della Venezia Giulia, nel garantire la predicazione, il canto sacro e la catechesi nelle diverse lingue materne. Celebre il discorso in cui affermò che i confini dello stato non erano quelli della chiesa. Animato da uno spirito autenticamente evangelico, si prodigò nel contrastare quelle ideologie che riteneva essere portatrici di errori pericolosi per la conservazione della fede, ovvero “il bolscevismo da un lato, l’ultra nazionalismo dall’altro”, come ebbe a dire in un discorso del 1935.Inviso alle autorità fasciste ed in particolare al prefetto di Trieste Carlo Tiengo, nel 1936 venne rimosso dalla sua Sede e trasferito a Roma, come canonico di San Giovanni in Laterano. Mantenne un solido e fraterno legame con le sue terre d’origine. Morì a Roma il 26 agosto 1971. Su Fogàr si è scritto molto. Oggi sarebbe auspicabile ritornare a studiare la sua figura e la sua epoca. Si potrebbero in particolare approfondire molti aspetti del suo ministero episcopale grazie alla disponibilità di fonti archivistiche finora inutilizzate. Sarebbe inoltre un’occasione in più per ricordare lo spessore umano e religioso della sua persona oltre al rigore e all’impegno mostrati nella sua vita sacerdotale ed episcopale.Ivan Portelli
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Esce in copia anastatica il volume curato da Camillo Medeot 50 anni or sono
Sono trascorsi più di 50 anni dall’edizione di questo libro, ora in ristampa anastatica. Allora, era storia sepolta. Si ripete l’occasione, per far conoscere ingiustizie e reclamare giustizia. Con tale spirito va letto il libro di Camillo Medeot. Nella prefazione, allora, l’Arcivescovo Cocolin, esaltò le virtù nella sofferenza di tanti sacerdoti. Nella ristampa, in una presentazione non firmata, don Renzo Boscarol, che è stato il principale artefice di questa operazione di “pietas”, sottolinea la volontà di ripresentare la fonte preziosa, affinché la storia venga letta da ogni punto di vista. L’arcivescovo Redaelli ravvisa, fra tante sofferenze e ingiustizi,e anche “le testimonianze di quanti si son fatti carico – sull’esempio del buon samaritano – di versare sulle ferite l’olio e il vino della condivisione e della salvezza”.Otto le pagine introduttive della prof. ssa Ferrari.Quando i grandi incendiano il mondo, e le masse si fanno trascinare dagli imbonitori del momento, anche a chi usa la stessa lingua, prega lo stesso Dio, saltavano i freni, in un parossistico crescendo. All’entrata dell’Italia in guerra, si parlò di liberazione dei “fratelli” dal “giogo austriaco”. La realtà si manifestò diversa.I capi, soprattutto del movimento cattolico, vennero demonizzati. L’odio nazionalista (nel dopoguerra sarebbe scivolato nel razzismo fascista) punì, coll’internamento, una sessantina di sacerdoti friulani, italiani, sloveni. Data la qualità dei sacerdoti (spesso personaggi della politica e della cooperazione), vien da pensare a vendette coordinate, per rifarsi sulla loro azione, che aveva limato la ricchezza dei privilegiati, organizzando il popolo nella politica e nella cooperazione. I sacerdoti tornarono sfiancati dall’esilio. Palmanova, per più d’uno, fu la prima stazione della Via Crucis: sputi, colpi, derisioni, insulti, ludibrio della plebaglia, sofferenze inaudite. Perno della ricerca è don Carlo Stacul che tenne i contatti coi sacerdoti, provvedendo a necessità materiali, e spirituali.Racconti terribili: riporta il Medeot che, alle carceri di Palmanova, “Un capitano si prese gioco dei prigionieri annunziando loro che tutti erano destinati alla fucilazione”.Per molti, prima della “liberazione”, ci furono reclusori come Udine, Cremona, il Forte Belvedere a Firenze; per mesi. I sacerdoti sloveni internati sfiorarono la ventina. Fra chi ebbe un trattamento particolarmente infame, don Morsut, parroco di Perteole; don Stacul, decano di Gradisca, il decano di Visco don Justulin, sbalestrato dalla Sicilia a Campobasso, il decano di Fiumicello Camuffo. Tornati, ripresero la loro opera. La ricerca di Camillo Medeot, durata anni, venne pubblicata a puntate sulla rivista “Iniziativa Isontina” e poi riunita nel libro. Limpida è sempre la sua voce, anche quando parla dei casi più efferati come dei popolani fucilati di Lucinico, dei morti di Villesse e di altre parti (si intende morti per le armi). Allora, c’erano ancora testimoni diretti da interpellare e fonti scritte più ricche da consultare. Vivevano mons. Spessot, fonte preziosa per i sacerdoti friulani e mons. Klinec per gli sloveni. I sacerdoti tentarono di ottenere giustizia e riabilitazione dopo la guerra, invano!Ferruccio Tassin
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