Chiamati ad annunciare nello stile dell’accoglienza

L’accoglienza: da una riflessione teologico-pastorale alla narrazione di prassi. È questo il percorso svolto durante le tre serate di formazione per catechisti/e, ma non solo, anche per quanti sono a servizio dell’annuncio. I partecipanti, ospitati dalla parrocchia dei ss. Nicolò e Paolo di Monfalcone, hanno messo a fuoco la tematica “Accoglietevi gli uni gli altri (Rm 15,7). Accolti per accogliere”.

La prima serata“Accogliere per accompagnare: sfide e prospettive teologico-pastorali”. In quale contesto contemporaneo dovrebbe concretizzarsi l’accoglienza? Il direttore dell’ISSR di Padova, Don Livio Tonello, durante la prima serata, nella sua premessa faceva notare come stia emergendo un nuovo concetto per descrivere l’attuale situazione socio-culturale-religiosa: “esculturazione”. Si tratta “di un esodo, di un’uscita dalla cultura. Cioè dentro le nostre realtà il cristianesimo non ha più quella valenza, quel significato, quel valore che poteva avere fino a qualche decennio fa. Non è più parte del linguaggio. […] Facciamo fatica ad avere quei presupposti culturali per annunciare il vangelo, essendoci un’analfabetizzazione religiosa”. Quali prospettive o visioni per accettare questo nostro tempo e accogliere le persone di questo nostro tempo? Il relatore ha affermato che esistono due principi teologici “che possono giustificare il nostro impegno nell’accettare questo tempo promuovendo il vangelo”. Il primo principio è quello della “creazione”, il secondo quello dell’”incarnazione”. Proseguendo il suo intervento, don Livio ha proposto alcune acquisizioni, alcuni cambi di mentalità da apprendere per sviluppare il dono dell’accoglienza: avere una visione integrale della persona; discernere per valorizzare; generare esperienze; educare nel segno della fede.

La seconda serata“Esperienze di accoglienza… con i bambini e i ragazzi dell’iniziazione cristiana”. Un’equipe catechistica della collaborazione pastorale di Variano, formata da Suor Fabrizia, Francesco, Ilenia e Isabella, ha narrato nella seconda serata come, attraverso una serie molteplice, ricca e creativa di iniziative, percorsi e attività, la loro comunità educante sia impegnata nel seminare la parola di Dio. Quando Gesù narra la parabola del seminatore forse voleva “dirci che per lui non esistono terreni privilegiati; sa bene che tutti abbiamo dentro di noi sassi, rovi, strada battuta e anche terreno buono. Quindi, Lui dispensa con fiducia, perché sa che quel seme ha una potenza incredibile, capace di far fiorire il deserto”. È questo l’orizzonte entro il quale si muove la comunità educante di Variano: “dobbiamo essere persone di speranza, non lasciarci scoraggiare dalle difficoltà del terreno che ci si presenta e soprattutto non è dato a noi di giudicare il tipo di terreno che abbiamo davanti o quanto meno di dire: “non vale la pena”. […] A noi è chiesto di seminare con fiducia. […] Il seme non è nostro e contiene dentro la forza della vita. L’azione del seme collabora con la nostra fatica per far nascere frutti abbondanti”. I catechisti hanno poi raccontato che per loro il punto di partenza per accogliere è l’accoglienza tra di loro, soprattutto da quando è nata la collaborazione pastorale tra più parrocchie. Catechisti con età diverse e provenienti da parrocchie diverse hanno imparato l’importanza di aiutare e la difficoltà nel farsi aiutare; hanno constatato come nell’unire le forze, nel far squadra il gruppo dei catechisti si sia allargato. Un’unione che non ha annullato le singole realtà parrocchiali, ma le ha nutrite e ha dato nuova linfa e vigore. Hanno cura l’uno dell’altro, creando veri rapporti di amicizia, aiutandosi, sostenendosi, creando un clima positivo. Inoltre, per loro accogliere significa anche concentrarsi “nella cura della preparazione, nell’aggiornamento dei contenuti e nel rinnovamento dei linguaggi”. Senza dimenticare l’importanza di accogliere per prima cosa la parola di Dio: se questa non mi tocca, non mi attraversa difficilmente riesco a esserne eco e a trasmetterla.

La serata conclusiva“Esperienze di accoglienza… con/per gli adulti”. Qual è la parola o la frase che esprime in sintesi la vostra idea/esperienza di accoglienza, anche a partire da quanto avete condiviso nei due incontri precedenti? Con questa domanda Daniela e Marco Baratella, responsabili Pastorale Familiare della diocesi di Concordia-Pordenone, hanno stimolato l’assemblea all’inizio del loro intervento nella terza serata. I coniugi Baratella hanno raccontato che la prima esperienza di accoglienza che facciamo è nel nostro contesto domestico. Tuttavia, esistono diversi tipo di accoglienza e diverse aspettative nell’accogliere e nell’essere accolti. Questo dipende dal luogo, dal tempo e dalle persone che incontro. Inoltre, esiste un giudizio previo che mi condiziona e che verrà percepito dall’altro.Quali sono i giudizi o le scelte previe da considerare nell’accogliere l’altro? Innanzitutto, si accoglie nel nome di Cristo: “noi agiamo, parliamo e ci muoviamo nel nome del Signore”. Quindi, l’accoglienza deve manifestare cura e bellezza. Perché ciò avvenga è necessaria una preparazione interiore ed esteriore. Inoltre, l’accoglienza è anche far fare un’esperienza di comunione: “da come vi amerete vi riconosceranno (cfr Gv 13). Questa comunione è frutto di una scelta previa, vissuta prima di tutto dall’equipe, perché possa alimentare la comunione nella coppia e nel gruppo”. Poi, non va dimenticato che la persona che stiamo incontrando è un adulto, “il quale ha bisogno di rapportarsi alla pari. Per far questo va offerto un ascolto profondo e una piattaforma comune, a partire dalla quale si possa fare un cammino insieme”.Si passa, allora, dall’accoglienza all’accompagnamento nella fede. La base comune da cui partire è l’”umano”, per “illuminare alcuni aspetti del quotidiano alla luce della fede. Questo non può che avvenire con gradualità e facendo attenzione al linguaggio, perché non possiamo dare per scontato che posseggano tutte le conoscenze della fede”.Inoltre, nell’accompagnamento è importante che la persona si senta compresa nell’esatto punto del cammino di fede in cui si trova senza alcun giudizio. Questo permette di far emergere resistenze o chiusure o le visioni distorte che abbiamo di Dio, per poter recuperare il volto di un Padre, che è misericordioso. Allora, si può recuperare la dimensione di figli amati.I relatori hanno sottolineato che nella loro esperienza ci sono dei momenti che avvicinano le persone, nei quali si crea un clima di fiducia e di coinvolgimento. Ciò avviene quando gli accompagnatori manifestano le loro fatiche, i loro limiti, i fallimenti personali e di coppia, le loro sconfitte, le fragilità, ecc.: “l’imperfezione avvicina, la perfezione allontana”. Quindi, è importante dire “noi per primi siamo in cammino” e ciò che ti offriamo è un cammino verso il massimo bene possibile; dove non ci sono tecniche e formule magiche e rapide per risolvere i problemi, ma un lavoro serio di ricerca sulle domande di senso. Come conclusione Daniela e Marco hanno citato il n. 49 dell’Amoris laetitia aggiungendo una loro personale considerazione: “Nelle difficili situazioni che vivono le persone […], la Chiesa deve avere una cura speciale per comprendere, consolare, integrare, evitando di imporre loro una serie di norme come se fossero delle pietre, ottenendo con ciò l’effetto di farle sentire giudicate e abbandonate proprio da quella Madre che è chiamata a portare loro la misericordia di Dio”. “Gli adulti che il Signore ci chiama ad accogliere non sono armadi da sistemare o auto a cui aggiungere olio e benzina perché camminino, sono “terra sacra” davanti alla quale dobbiamo toglierci i sandali”.