Il gregge smarrito. Considerazioni all’avvio del Sinodo
28 Ottobre 2021
Il gregge smarrito”. Chiesa e società nell’anno della pandemia è il titolo di un libro uscito pochi mesi fa (e recensito da Avvenire), frutto di un “discernimento” di Essere Qui, un’associazione nata da un gruppo di amici guidati dal sociologo Giuseppe De Rita con Liliana Cavani, vicepresidente e, tra i soci, Gennaro Acquaviva, Ferruccio De Bortoli, Mario Marazziti, Romano Prodi e Andrea Riccardi. Non un semplice atto d’accusa, spiegano gli autori, ma un esame di coscienza, un “discernimento” sia interno alla Chiesa come istituzione, sia dal punto di vista dei fedeli.Le analisi e le considerazioni che individuano cause prossime e lontane, sono diverse e opinabili, ma la fotografia istantanea sembra spietatamente reale. Un gregge smarrito, ma forse una comunità ecclesiale tutta intera, fedeli ed anche pastori, smarriti. Si, smarriti, come quei due di Emmaus all’indomani della passione del Signore. Egli è già risorto, ma la comunità cristiana sembra confusa e divisa. Alcuni ben chiusi in casa, altri, come i due discepoli, in cammino delusi e disillusi, senza una meta, una motivazione, un’identità, una speranza, una capacità di ascolto.Poteva, in queste condizioni, essere una Chiesa in dialogo con il mondo? Non adesso.Lo sarà più avanti, ora è il momento di incontrare il Risorto, di fare un’esperienza viva di lui e così ritrovare sé stessi, la propria direzione e missione. Il dialogo adesso è con il Signore per scaricargli le proprie tristezze e ascoltare poi il suo ammonimento: “stolti e tardi di cuore”! E la sua parola che narra invece di risurrezione, di vittoria sul peccato e sulla morte, di vita piena. La verità e la speranza aprono allora il loro cuore e diventano capaci di vero ascolto fino al riconoscimento definitivo nello spezzare il pane, l’Eucaristia.Dopo gli orecchi ora “si aprono loro gli occhi”. Adesso si, sanno dove andare e di corsa: a fare comunità! A narrarsi reciprocamente l’esperienza del Cristo vivo. Tra non molto, con la consapevolezza di un’umanità nuova già impostata in cielo e con la potenza dello Spirito Santo si partirà per annunciare, con la capacità di parlare e dialogare in tutte le lingue, fino ai confini del mondo, condividendone le sorti ma con la consapevolezza di un tesoro preziosissimo da condividere. Penso dunque alla Chiesa italiana chiamata, con tutta la Chiesa universale, a celebrare un sinodo, un lungo tempo di cammino insieme, protesi in dialogo con il mondo. In quale punto del Vangelo di Emmaus collocarla? È il tempo dell’annuncio, del dialogo con tutta l’umanità o siamo ancora nella fase della discussione tra noi con “il volto triste” e gli occhi “impediti a riconoscere” il Risorto?Qualcuno dice: buttiamoci nel mondo e ritroviamo Cristo nell’altro, nel povero, nelle relazioni, nel dialogo, e ritroveremo noi stessi. Non sono in fondo le relazioni stesse la meta? Ma posso costruire una relazione bella efficace se non so chi sono? Posso fare vera carità se non ho la forza e la luce di Cristo in me? Costruisco un vero dialogo se non ho un’identità, un senso profondo del mio dire e del mio andare? No, non sono le relazioni stesse la meta ma Cristo. Principio e fine, nella quale diventiamo “figli nel Figlio” e come effetto, vinta la morte e il peccato di Caino, ci sarà finalmente una vera fraternità, un nuovo mondo.Abbiamo la sensazione che oggi le nostre comunità cristiane e forse la Chiesa stessa, siano senza una visione, senza energia, senza entusiasmo, senza una vera bella notizia da annunciare al mondo, e per questo poco attraenti, soprattutto per i giovani. Nonostante tutto però, non pochi, e proprio in questo tempo, sembrano ancora guardare ad esse, per trovare una risposta a quel richiamo di vita che va oltre, di amore più grande e più vero che sentono dentro sé stessi e che nel mondo non trovano perché privo di una fonte dove attingerli. Forse ci troviamo un po’ come il profeta Giona, depresso e recalcitrante, eppure insistentemente mandato da Dio a farsi necessaria voce di annuncio. Sia dunque, questa prima fase del Sinodo anzitutto un tempo di riscoperta “delle ragioni della speranza che è in noi” sollecitati delle domande vere e profonde, spesso inespresse, del mondo, verso cui il Signore ci manda ancora per un annuncio di conversione al Dio della vita, per un’umanità nuova cui noi per primi siamo chiamati a crederci e a vivere.
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