Giulio: una persona non “un caso”
20 Luglio 2022
Il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim e Usham Helmi e il maggiore Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, della Agenzia per la Sicurezza Nazionale egiziana, evitano ancora di essere chiamati a difendersi dall’imputazione di aver, in diversi modi, partecipato al sequestro, alle torture e all’assassinio del giovane ricercatore friulano Giulio Regeni. I fatti si svolsero al Cairo tra il 25 gennaio ed il 3 febbraio 2016. Il processo però non si può tenere perché, come ha rilevato la terza Corte di Assise di Roma il 14 ottobre 2021 e confermato la Corte di Cassazione al termine della seduta del 15 luglio scorso, gli imputati non hanno ricevuto la notifica delle imputazioni alla base della richiesta di rinvio a giudizio. Questo è conseguente a quanto prevede la legge italiana e nulla rileva, finora, il fatto che gli imputati nascondano il loro indirizzo e che le autorità giudiziarie e istituzionali dell’Egitto non collaborino per nulla con i magistrati ed il ministero della Giustizia italiani. Anzi, l’impressione è che le istituzioni egiziane utilizzino le procedure di tutela del diritto alla difesa, previste dalla legge italiana, per impedire il corso della giustizia in Italia. Una vera beffa, uno schiaffo di un ’Paese amico’, così viene ritenuto l’Egitto, ad un Paese, il nostro, che non riesce a far rispettare la propria dignità mentre stringe con lo stesso rapporti commerciali e di fornitura di armi sempre più rilevanti. Vista così, la situazione farebbe dire agli italiani: state attenti che in Egitto, se proprio volete andarci, nessuno vi proteggerà né farà valere alcun vostro diritto. Strette di mano e sorrisi che accompagnano firme su accordi commerciali, questo vediamo sugli schermi televisivi, non possono cancellare il fatto di un regime che ha permesso il sequestro, la tortura e l’assassinio di Giulio Regeni e che con la sua omertà protegge chi è imputato di tali orribili azioni contro la dignità della persona umana. Dunque, dopo quanto deciso dalla Cassazione si torna alla decisione del Giudice per l’Udienza Preliminare dello scorso 11 aprile che, rimanendo ancora sospeso il processo, ha affidato nuove ricerche degli indirizzi degli imputati ai quali recapitare le dovute notifiche. Ulteriore udienza davanti al Gup il prossimo 10 ottobre. Per sbloccare lo stop al processo pare vi siano due vie che a questo punto sono percorribili solo dalle nostre Istituzioni: Governo e Parlamento. Il Governo italiano avrà la volontà e la possibilità di ottenere dalle autorità egiziane quei quattro indirizzi prima di ottobre? Sul versante parlamentare, se ne era già sentito parlare, è possibile una modifica di legge che superi la volontà di sottrarsi al giudizio e l’omertà di imputati e loro protettori? Ecco perché è sempre più importante che si veda la solidarietà di quello che viene chiamato ’il popolo giallo’ verso i genitori di Giulio che con tenacia, assieme all’avvocato Alessandra Ballerini, chiedono una verità sancita nel giudizio di un tribunale sulla morte del loro figlio. La richiesta di verità verso le nostre istituzioni cresce e deve continuare a crescere. Ne va certamente della possibilità di raggiungere la verità processuale, ma è anche un dovere verso noi stessi, verso la dignità di ogni persona, verso il popolo italiano che non può essere sbeffeggiato da mani sporche del sangue di uno di noi.In Italia molti Enti locali hanno deciso di appoggiare la campagna di Amnesty per la ricerca della verità sulla morte di Giulio Regeni e molti hanno espresso solidarietà alla famiglia esponendo i manifesti gialli e realizzando le panchine gialle dedicate a Giulio per una riflessione sui diritti della persona umana. Purtroppo, fatte alcune lodevoli eccezioni, dalle nostre parti questo non si vede. Colpisce in particolare il Comune di Monfalcone, la cui amministrazione dal novembre 2016 non ha trovato modo di approvare nemmeno un documento di stimolo e di appoggio a magistrati, Governo e Parlamento affinché sia fatta luce sulla tragica realtà dell’uccisione di un giovane che pure non era certo estraneo alla vita della nostra comunità. Fino ad ottobre possono ancora accadere fatti nuovi, speriamo positivi per la ricerca della verità, ma non dimentichiamo mai che, come ha detto l’arcivescovo Carlo il 3 maggio del 2016 nella chiesa di Fiumicello, “Giulio non è un ’caso’, ma una persona”. I ’casi’ si discutono, la dignità di una persona va tutelata in ogni momento.
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