Trattare i migranti da persone e non come “problemi”
16 Novembre 2022
Il tema “migrazioni” è tornato prepotentemente al centro dibattito politico nei giorni scorsi nel nostro Paese dopo la decisione del Governo Meloni di ostacolare gli sbarchi di migranti dalle navi delle Ong impegnate nel Mediterraneo. Contemporaneamente si è assistito ad un intensificarsi degli arrivi in Italia attraverso la rotta balcanica: questa situazione ha portato la Caritas diocesana di Gorizia ad attivare nei locali della parrocchia di San Valeriano a Gradisca d’Isonzo una prima accoglienza temporanea “a bassa soglia” a parte dei migranti che non trovano ospitalità nel locale Cara, privo ormai di posti disponibili.Ne abbiamo parlato con l’arcivescovo di Gorizia e presidente di Caritas italiana, mons. Carlo Roberto Maria Redaelli.
Monsignor Redaelli, la questione immigrazione ritorna periodicamente alla ribalta anche nel nostro Paese. Il rischio è che se ne parli solo in termini propagandistici. Come affrontare la questione? Come riuscire a concreto a considerare il migrante come essere umano e non come “carico residuale”? Come uscire dal dualismo noi-loro? Penso sia importante quanto ci ricorda papa Francesco in modo particolare nella “Fratelli tutti”: siamo tutti fratelli e sorelle soprattutto chi si trova in una situazione di bisogno.Questo ci porta a trattare i migranti prima di tutto non come un problema ma come delle persone.Certamente la problematica relativa alle migrazioni è sicuramente complessa, non può ricevere delle risposte semplicistiche, esige una collaborazione e non una contrapposizione a livello europeo fra i diversi Paesi ma poi chiede anche di darsi da fare nella concretezza. Ricordando, come dicevo prima, che siamo dinanzi a delle persone e non ad un problema.
La Chiesa diocesana è intervenuta ancora una volta nell’emergenza attivando l’accoglienza a San Valeriano per chi non trova posto al Cara. Eppure la gestione della questione immigrazione spetterebbe in primis allo Stato. Il fenomeno migratorio non può più essere considerato un’emergenza essendo divenuto una costante con picchi numerici ciclici: eppure perché lo Stato con le sue istituzioni sembra non riuscire a gestirlo. È solo impossibilità oggettiva o mancanza di volontà? Come dicevo, la problematica è complessa perché ci sono tante situazioni non facili da risolvere. Non si può pensare di affermare semplicisticamente che ci sono le migrazioni nel Mediterraneo perché ci sono gli scafisti. Certamente va perseguito chi sfrutta queste situazioni ma in realtà ci sono gli scafisti perché c’è l’esigenza di migrare. Un’esigenza che trova origine dalle tante situazioni di difficoltà sociale ed economica ma anche come conseguenza delle guerre in corso. Ci troviamo dinanzi a situazioni complicate.Come Chiesa continueremo ad insistere con le istituzioni pubbliche perché si facciano carico nel migliore dei modi di questa situazione ma siamo disponibili ovviamente ad offrire una collaborazione che consenta a chi migra di non rimanere per strada sotto la pioggia o al freddo.
“I migranti non basta accoglierli: vanno anche accompagnati, promossi e integrati”. Sono le parole di papa Francesco rivolte a fine settembre ai partecipanti alla Conferenza internazionale sui rifugiati e i migranti promossa dalla Facoltà di scienze sociali della Pontificia Università Gregoriana. Nel concreto però la normativa pubblica sembra andare in tutta altra direzione come ha dimostrato (ma è solo l’ultimo esempio fra i tanti possibili in ordine di tempo) anche il recente dibattito nel Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia sui ricongiungimenti…Facendo ricorso a quei quattro verbi, papa Francesco sottolinea che non basta semplicemente accogliere in qualche modo e gestire chi arriva nel territorio italiano. È necessario attivare per quanti scelgono di rimanere nel nostro Paese dei percorsi che certamente non sono immediati ma che esigono tempo e disponibilità da ambo le parti per trovare un lavoro ed una sistemazione capaci di portare, progressivamente, anche ad un’integrazione.In questo senso ostacolare i ricongiungimenti familiari è una specie di autogol anche nei confronti della nostra società.Le persone che desiderano integrarsi fra di noi, che hanno un lavoro ed un’abitazione dove poter vivere con la propria famiglia si impegneranno in prima persona perché quella italiana sia una società in pace, dove le persone vengono rispettate e possono lavorare serenamente. La presenza di migranti senza riferimenti familiari può rappresentare, invece, una maggiore problematicità: non si tratta, però, tanto di una questione diordine pubblico ma prima di tutto di rispetto delle persone.
Come fare in modo che in Europa ci sia una responsabilità davvero condivisa per governare il fenomeno migratorio? Certamente non spetta alla Chiesa indicare una strada anche se noi qui sul confine orientale italiano ci rendiamo conto che gli Stati non possono continuare a “giocare” con i migranti. Analizzando i dati della cosiddetta “Rotta balcanica” si notano dei precisi flussi di transiti: in certi momenti gli arrivi sono ridotti al minimo ma in altri momenti, come l’attuale, si susseguono incessanti. Questo vuol dire che fra i vari Stati interessati non c’è un accordo preciso ma c’è quasi uno scaricare sugli altri la problematica.Occorre, invece, mettersi d’accordo ricordando che le radici della cultura europea (e della stessa Unione Europea) sono basate sulla dignità delle persone, sulla pace, sulla giustizia e sul creare progressivamente un’integrazione fra le diverse realtà nel rispetto dell’autonomia e della sensibilità di ciascuno.
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