Desiderio di futuro
1 Dicembre 2022
Arrivo alla parrocchia di San Valeriano, a Gradisca d’Isonzo, in una delle prime sere fredde di quest’autunno ormai inoltrato. Il cielo è grigio, per il giorno successivo è prevista un’allerta meteo e l’umidità comincia a pizzicare, la si sente entrare fin dentro le ossa. Interiormente e silenziosamente sto borbottando per il freddo.Quando faccio il mio ingresso presso l’area esterna alla canonica, dove mi aspettano i volontari per essere intervistati, scorgo il primo gruppo di migranti in attesa di essere registrati per la notte. Alcuni sono avvolti in una coperta, perché i giubbini che indossano sono ormai troppo leggeri per questa stagione. Appena li vedo, mi vergogno per essermi appena lamentata; io, che ho un bel giubbotto abbastanza imbottito, posso soltanto stare zitta.Se ne stanno lì – probabilmente in attesa già da un po’ – per essere certi di garantirsi un posto al caldo e al coperto per stanotte, presso la sala messa a disposizione dalla parrocchia, in accordo con il Comune, grazie all’impegno delle Caritas diocesana e parrocchiale. Saranno una quindicina ma manca ancora mezz’ora all’apertura delle accoglienze, quindi certamente arriveranno altri.Entro negli spazi parrocchiali e trovo ad attendermi Franco Colautti, coordinatore alla logistica e delegato per la Caritas diocesana all’accoglienza a Gradisca d’Isonzo.
FrancoMi racconta di come, in risposta all’emergenza delle scorse settimane, quando appunto sempre più migranti rimanevano all’addiaccio a causa dell’esaurimento dei posti a disposizione presso il locale Centro di Accoglienza per i Richiedenti Asilo, la parrocchia di San Valeriano, attraverso il parroco don Gilberto Dudine, si sia messa a disposizione per un’accoglienza emergenziale. Quando la proposta è stata accolta dalla Chiesa e dalla Caritas diocesane, in accordo anche con l’amministrazione comunale, “si è formato praticamente subito quello che, più che un gruppo parrocchiale, definirei proprio della cittadinanza di Gradisca. Quando è emersa questa necessità, è stata indetta quella che era partita come una riunione pastorale ma è diventata un’iniziativa pubblica. Dopo aver dettato le “linee guida” operative, siamo partiti praticamente subito – la riunione era stata fatta il lunedì e il mercoledì eravamo già attivi con la prima notte di accoglienza -“.Partiti con i volontari della parrocchia (componenti del coro, degli scout, volontari Caritas…) già dopo pochissimi giorni le adesioni sono aumentate, arrivando anche da altre associazioni locali e alcune dai paesi limitrofi. “Abbiamo così optato per una funzionalità massima – mi spiega Franco – un gruppo si occupa dell’accettazione, ovvero della registrazione di chi pernotta, di gestire la possibilità per loro di fare una doccia…; verso le 20.30/21 c’è il gruppo dei “notturni”, ovvero arrivano i volontari che si fermano come “sorveglianza” per la notte, in modo da essere presenti se dovesse esserci qualche malore, qualche necessità o succedere qualcosa. Alle 22 c’è il silenzio, gli ospiti possono rimanere svegli, qualcuno gioca a carte, ma nel rispetto di chi vuole riposare sono tenuti a non fare rumore. Al mattino poi ci sono i volontari della colazione, che arrivano verso le 6.30 e si occupano anche di rassettare e igienizzare le sale e i bagni all’uscita degli ospiti.Siamo arrivati a 1 turno, massimo 2, settimanali a persona, grazie all’adesione di circa 60 volontari. A distanza di circa 10 giorni, siamo abbastanza collaudati, abbiamo capito come organizzarci”.Anche gli spazi sono stati allestiti grazie all’adesione di volontari e cittadinanza, che si sono occupati di sgombrare la sala del ricreatorio, allestendola con tappetini, stuoini, cuscini e coperte, recuperati grazie all’aiuto della Caritas e di donazioni spontanee. Le donazioni aiutano anche a fornire agli ospiti degli indumenti di ricambio, soprattutto in vista del periodo invernale “Stiamo accumulando, ma cercando di “mirare”, abiti e scarpe – mi racconta -. In questo momento c’è necessità di scarpe chiuse, giubbini, tute”.Chiedo infine a Franco quante persone in media usufruiscano del servizio notturno: “ieri abbiamo raggiunto le 33 presenze, probabilmente oggi o nei prossimi giorni raggiungeremo la capienza massima di 35 persone, perché inizia a fare freddo…”.
Alcuni dei volontariMentre parlo con Franco, Filippo Fuser, presidente del Circolo Arci Skianto di Gradisca, il vicepresidente Filippo Medeot e l’associata Martina Braulin si occupano di allestire gli ultimi dettagli per l’accoglienza di quella notte.Mentre svolgono i preparativi, mi raccontano un po’ di queste persone, sostanzialmente tutte provenienti dal Pakistan, spesso giovanissime: “ieri il più giovane era del 2003 – mi racconta Martina – il più “vecchio”, se così si può dire, del 1988″.”All’inizio, i primissimi giorni, erano un po’ restii a venire, non conoscendo il posto – racconta il presidente – poi, iniziando ad abbassarsi le temperature e con il peggioramento del tempo, anche parlandosi tra di loro e scambiandosi esperienze, sono giunti sempre di più e ieri siamo arrivati quasi a capienza massima”.Chiedo ai ragazzi se hanno avuto modo di parlare un po’ con questi giovani, praticamente loro coetanei, e cosa li ha colpiti: “Sono veramente molto collaborativi tra loro: per chi non parla inglese, alcuni di loro fanno da traduttori, da “mediatori” con noi; stessa cosa quando avviene la distribuzione dei vestiti: si aiutano, si passano i vestiti, sono attenti tra loro e quando vengono a chiedere qualcosa sono sempre molto pacati e collaborativi.Ci hanno raccontato, nei momenti in cui li accompagniamo verso le docce, oppure quando si prende una boccata d’aria insieme nel giardinetto qui fuori, del loro vissuto; si aprono abbastanza al dialogo. Portano con sé storie personali anche piuttosto pesanti, sono tutte persone che hanno conosciuto la sofferenza e la violenza. Devo dire che oltre al lavoro di volontariato, c’è anche un po’ di carico emotivo…””Certi si trovano nel Paese da mesi, altri da qualche settimana – aggiunge il vicepresidente; in molti hanno seguito la Rotta Balcanica e tutti sappiamo cosa questo voglia dire. Sono persone in viaggio da tanto, spesso sono rimaste bloccate per lungo tempo in Grecia, Ungheria, Bulgaria… luoghi dove frequentemente vengono trattati molto aspramente”.Ora che l’accoglienza è attiva da un po’, chiedo loro come si stiano preparando per il prossimo periodo: “la nostra preoccupazione come volontari è che la situazione peggiori, che ci sia sempre più gente sull’uscio, addentrandoci man mano nell’inverno. Le previsioni non sono delle migliori, considerando che siamo già a capienza massima. Questa, come altre che sono state attivate, è una struttura d’emergenza, gestita solo da volontari e non da personale apposito, allestita in fretta per rispondere all’arrivo della pioggia e del freddo. Ovviamente sono soluzioni temporanee, per problemi che sono però strutturali; non potremo andare avanti con queste per sempre. Per ora volontari ci sono, energie e volontà anche e cercheremo di coprire i mesi freddi, ma ovviamente non è questa la soluzione, a primavera non si risolverà magicamente tutto, servono soluzioni sul lungo periodo”.
Don GilbertoNel corso della mia visita incontro anche don Gilberto Dudine, anche lui non nasconde una certa preoccupazione per il proseguimento: “la parrocchia fa la sua parte, nel senso che questa richiesta è nata dal Consiglio Pastorale, quindi espressione di ciò che vuole e desidera la gente. Da parte mia ho accettato e dato la disponibilità, nella misura in cui ci sia un volontariato, delle persone disponibili. Siamo una comunità, lo facciamo come comunità.Quindi abbiamo, insieme a Caritas e in accordo con l’amministrazione, strutturato l’accoglienza. La risposta dei volontari è molto buona e ci sono molti che arrivano da fuori Gradisca. Sarà utile continuare a sensibilizzare anche gli altri paesi limitrofi.Infine si dovrà vedere quanto durerà questa situazione, come andrà a finire con l’arrivo del freddo… è tutto in divenire”.
Nel frattempo si sono fatte le 20. I volontari aprono la porta e iniziano l’accoglienza degli ospiti che, stanotte, alloggeranno presso San Valeriano. Entrano uno alla volta, in una rispettosissima fila. Presentano un documento, viene registrato il loro nome, cognome, data di nascita e offerta loro la possibilità di fare una doccia.Grazie alla collaborazione dei volontari, che spiegano ad alcuni ospiti che parlano inglese la mia presenza lì quella sera, ho la possibilità di scambiare qualche parola con due di loro.Non desiderano essere fotografati e rispetto la loro scelta.
HamzaIl primo che incontro è Hamza, arriva dal Pakistan e ha solo 21 anni. “Sei molto giovane” “Sì, ma adesso sembro molto più vecchio di quando sono partito…” mi risponde. Lo rassicuro sul fatto che non è così, si vede che è solo un ragazzo; è però l’esperienza che ha maturato nell’ultimo suo anno di vita che, nel cuore, gliene avrà fatti accumulare almeno 10.Hamza ha infatti lasciato il suo Paese circa 6 mesi fa, percorrendo la rotta balcanica; “è stato un viaggio lungo e complicato”, commenta. “Qui ognuno di noi arriva per il suo futuro: abbiamo lasciato la nostra patria per un domani migliore. In alcuni dei Paesi che abbiamo attraversato, sfortunatamente non abbiamo trovato accoglienza e persone buone, non abbiamo potuto vedere lì un futuro più buono di quello che avevamo lasciato. In Bosnia, Bulgaria, Romania… siamo stati trattati molto aspramente, non siamo stati accolti e abbiamo incontrato sul nostro percorso persone molto cattive; anche la Polizia ci ha catturati e in più occasioni picchiati. No, non potevamo vedere lì un futuro… Continuare a ripartire era l’opzione migliore per noi. Qui finalmente possiamo iniziare a vedere un domani”.In Pakistan Hamza era studente in Scienze Informatiche e, dopo il diploma, a causa della situazione socio – politica nel Paese, ha deciso di partire: “con un Primo Ministro che non è lui stesso al sicuro, come possiamo noi, semplici cittadini, persone comuni, esserlo? Ci sono continuamente attentati, sparatorie… come si può vivere in tale situazione?”Mi racconta di aver lasciato in Pakistan i genitori e la sorella, mentre lui e altri due fratelli sono partiti in cerca di un posto migliore e più sicuro, con la speranza di poter dare un futuro anche a loro che sono rimasti lì. “I miei genitori non volevano perderci a causa dei problemi in Pakistan e ci hanno incoraggiati a partire; loro sono anziani e non possono affrontare un viaggio di questo tipo. Ora sono qui da circa un mese; quando avrò i documenti intendo fermarmi in Italia, un Paese dove mi sento bene e al sicuro, dove credo di poter vedere un futuro. Spero mi venga data questa possibilità”.
MohammedAccanto a lui, disposto a scambiare qualche parola, c’è Mohammed. Anche lui dal Pakistan, è un po’ più grande, ha 30 anni.”Sono qui da un mese – mi racconta – ho dormito in strada e nelle tende, da qualche giorno ho trovato ospitalità qui alla Parrocchia per la notte e sono infinitamente grato.In Pakistan avevo una mia attività che, purtroppo, a causa della grande crisi, dei problemi che ci sono continuamente nel Paese e, non da ultimo, la recente inondazione, ho perso. Non avevo più un’entrata e soprattutto non riuscivo a vedere un futuro lì, né per me, né per mia moglie, né per il nostro bambino; è piccolo, ha un anno. Ho deciso quindi di partire verso l’Italia, attraversando la rotta balcanica, per nulla facile, molto complicata ma fortunatamente ora sono qui.Sto ora programmando di fermarmi e stabilirmi in Italia, quando avrò tutti i documenti necessari. Desidero, appena ci sarà possibile, vendere le nostre proprietà in Pakistan, portare qui legalmente il ricavato e stabilirmi definitivamente con la mia famiglia. Lavorare qui, magari aprire nuovamente un’attività tutta mia… Voglio portare la mia famiglia in un posto sicuro, dove non rischia di morire ogni giorno, dove il mio bambino non rischia di essere rapito e dove può trovare un futuro nettamente migliore. Ho fatto questo viaggio per loro”.
Li ringrazio e, prima di salutarli, auguro loro buona fortuna. Spero davvero possano vedere presto quel futuro migliore di cui mi hanno parlato e che, nonostante la loro giovane età, attendono con ansia già da tanto tempo.
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