Incontri d’Avvento a diecimila metri

Il ragazzino avrà 11/12 anni. Tecnicamente usufruisce di quello che le Compagnie aeree definiscono “Servizio di accompagnamento” permettendo anche ai minori di viaggiare da soli affidati al personale di terra ed a quello di bordo.Me lo trovo accanto nell’ultimo volo della sera. Le luci in cabina si abbassano appena il portellone viene chiuso e, complice il tepore del riscaldamento ed una leggera musica in sottofondo, già durante la fase di rullaggio almeno metà dei passeggeri è sprofondata nel dormiveglia.Lui sta scorrendo delle foto sul suo iPad ed ad un certo punto mi chiede: “Vuoi vedere il mio presepe?”. Al mio cenno di assenso mi sottopone una serie di immagini. Il presepe è di quelli tradizionali, posto sotto un grande albero di Natale: probabilmente è stato realizzato nel salotto di casa perché mi pare di intravvedere un divano ed una serie di riflessi suggeriscono che abbia alle spalle una finestra.Quello che colpisce è la serie di luci multicolore intermittenti che costeggiano il sentiero centrale che conduce alla capanna e che, al momento, è percorso – oltre che da greggi di pecore – da una folla di pastori, lavandaie, portatori d’acqua e di pane, musicisti ed anche da qualche soldato romano. (Per un momento mi viene da pensare che dopo le limitazioni imposte dal Covid anche quei personaggi abbiano voglia di tornare alla normalità…). Quelle luci rendono il sentiero più simile alla pista dell’aeroporto da cui ci siamo da poco staccati che ad un viottolo distinguibile a malapena nella notte di Betlemme.”Originale” osservo ma il ragazzino incalza: “Sai perché l’abbiamo fatto così?” e senza darmi tempo di rispondere mi fornisce la spiegazione: “Abitiamo fuori dal paese e d’inverno, appena fa buio, accendiamo i fari che abbiamo sopra il garage: quando papà e mamma tornano dal lavoro sanno che li aspettiamo. Quest’anno con mia sorella abbiamo pensato di fare lo stesso nel presepe usando in modo diverso qualcuna delle luci dell’albero”. “Bravi, così Gesù bambino sa che lo aspettate!” lo interrompo sicuro. “Ma no” mi risponde mentre la sua mano si muove nell’aria a significare che non ho capito proprio niente e che mi sta inserendo seduta stante, quale membro ad honorem, nella categoria dei nabbi.”Gesù conosce la strada e sa che lo aspettiamo: sono i personaggi che magari non trovano la strada e quando Gesù arriva non trova nessuno ad aspettarlo”. Riprende a smanettare sull’iPad sino a quando non giunge l’hostess con il carrello delle bevande. “Sai, prima i fari si accendevano automaticamente ad una certa ora e non ci facevamo più caso. Poi un giorno il sistema si è guastato ed abbiamo cominciato a stabilire dei turni, io e mia sorella, per l’accensione. E quel gesto ogni giorno ci ricorda quanto è bello quando papà e mamma ritornano a casa”.Per un momento penso che la stanchezza mi stia giocando uno strano scherzo a diecimila metri di altezza e che dinanzi a me sotto le mentite spoglie di un preadolescente si nasconda un attempato teologo gesuita di qualche Pontificia università romana. E poi mi ritornano alla mente quelle parole pronunciate da un Rabbì dopo la distruzione del Tempio: “Dal giorno in cui fu distrutto il tempio, la profezia venne tolta ai profeti e data ai folli e ai bambini”. Tecnicamente non so se secondo il Talmud un preadolescente possa definirsi ancora un bambino ma da come corre incontro ai genitori che lo attendono in aeroporto direi proprio di sì.PS: Anche se magari può sembrare, questa non è una favola moralistica. Chi frequenta quotidianamente i ragazzi di quell’età sa bene di quali riflessioni siano capaci. Basta trovare il tempo per  ascoltarli.