Il ferâl illumina la strada al defunto verso l’eternità

Ferâl, fanale; un tempo, ma ancora oggi in uso in diversi paesi, apriva tutte le processioni che si tenevano all’interno della comunità, tanto da trovare posto ancora prima della croce in testa alla fila dei fedeli. La sua funzione è evidente: in maniera simbolica, il fanale ha lo scopo di illuminare la strada percorsa dalle persone in processione. A Lucinico, baluardo di antiche tradizioni cristiane seppur inevitabilmente affievolite dalle trasformazioni sociali, culturali e religiose di questi ultimi decenni, il ferâl veniva usato anche durante i funerali che un tempo venivano vissuti con grande pomposità e concorso di fedeli, come in tutte le nostre comunità rurali. Il defunto che arrivava dall’ospedale di Gorizia, veniva atteso da tanti compaesani, parenti e amici, all’inizio del paese, “sul Patòc”, il rio nei pressi dell’attuale “Casa di Riposo Culot”; quindi, in processione, ci si portava in chiesa per le esequie per poi riprendere la processione fino in cimitero, il tutto sempre rigorosamente a piedi. Ultima tappa, non più religiosa, ma profana, “ca dal Rosso”, l’osteria vicino al pozzo Ronsic e quindi di strada rientrando dal cimitero, dove soprattutto gli uomini si fermavano per bere un bicchiere di vino offerto dai famigliari dell’estinto se non già dal defunto stesso quando era ancora in vita: “us jai za lassât paiât di bevi ca dal Rosso, pa dì dal me funerâl”, si sentiva spesso dire nelle osterie lucinichesi di un tempo. Sacro e profano, quindi, si mescolavano assieme, ma forse con il medesimo scopo: metabolizzare il lutto, ovviamente ciascuno con il proprio approccio. In testa a tutti c’era sempre lui, il ferâl, che, in questo caso, non era collocato sopra un’asta come vediamo abitualmente nelle processioni, ma tramite una maniglia veniva impugnato con decisione e portato dall’allora sacrestano “Zanut muini” che con passo spedito apriva il corteo funebre. Caduto in disuso per diversi decenni per le motivazioni già sopra ricordate, in questo ultimo tempo l’uso del ferâl durante i funerali a Lucinico, è stato nuovamente ripristinato, grazie alla disponibilità di alcune persone della comunità che ben volentieri hanno accolto questo servizio, così come per portare la croce con il velo e il secchiello dell’acqua santa. Ora, durante i funerali, ci si porta con la macchina al camposanto, ma ugualmente questi segni accompagneranno il defunto all’uscita della chiesa così come durante la processione, a piedi, all’interno del cimitero fino al luogo della sepoltura. Al giorno d’oggi, il ferâl che in questo caso ha il significato di illuminare la strada al defunto nel cammino verso l’eternità, può sembrare un qualcosa di banale. Come ci ricorda papa Francesco, riprendendo quanto dice il teologo Romano Guardini, “l’uomo moderno è diventato analfabeta, non sa più leggere i simboli, quasi non ne sospetta nemmeno l’esistenza” (Desiderio desideravi, 44). Eppure, da sempre, in ogni religione, il linguaggio del sacro è sempre stato un linguaggio prettamente simbolico, come è, ad esempio, quello ben definito e determinato dalla liturgia. Per questo, la sfida della formazione liturgica di oggi è, come ci ricorda sempre Guardini, aiutare l’uomo contemporaneo a “diventare nuovamente capace di simboli”.Non so se in questo senso può essere collocato anche il ripristino del ferâl nei funerali celebrati a Lucinico; rimane sicuramente un piccolo segno che può aiutare, in un contesto di fede, a dare maggiore “dignità” ad uno dei momenti più particolari e difficili della vita dell’uomo quale è quello della morte.