Nonostante le persecuzioni i cristiani dell’Iraq sono uniti

Don Martin Matti Butrus Alqiryo, sacerdote cattolico caldeo iracheno di Baghdad ha accompagnato nello scorso mese di ottobre nella nostra diocesi il pellegrinaggio della statua della Madonna di Batnaya. In quei giorni, densi di incontri ed appuntamenti, non c’era stato tempo per un’intervista che però siamo riusciti a concordare all’inizio di questo nuovo anno per farci raccontare l’attuale realtà irachena e come la Chiesa cattolica caldea vive questo tempo.

Don Martin, tu sei un sacerdote cattolico caldeo. Cosa puoi dirci della tua Chiesa?La presenza del cristianesimo in Iraq risale al I secolo, quando Santo Tommaso ha evangelizzato l’Iraq e dopo di lui i suoi discepoli Mar Addai e Mar Mari continuarono la sua impresa. Quando i musulmani arrivarono in Iraq nel VI secolo, la Chiesa d’Oriente si era diffusa in questo paese dal nord al sud, e raggiunse l’India e la Cina intorno al VII secolo d.C. I cristiani subirono violenze e persecuzioni, e decine di migliaia di loro furono martirizzati per il nome di Cristo.La Chiesa in Iraq è vivace e forte ed è diffusa dal sud dell’Iraq al nord, e ha molte attività, prendendosi cura di famiglie, giovani e bambini, opere di assistenza.A Baghdad c’è la Sede Patriarcale, ora presieduta dal Patriarca Mar Louis Raphael Sako, ha diverse diocesi: Mosul, Bassora, Kirkuk, Erbil, Dohuk, Zakho e Alqosh.A Baghdad c’è un istituto per l’educazione cristiana, e un istituto per l’insegnamento della liturgia caldea, una serie di asili, scuole elementari, medie e preparatorie, ospedali, due riviste.Ad Erbil c’è il Seminario, il Babylon College of Philosophy and Theology, l’Università Cattolica, la Radio Maryam, l’Ospedale Maryamana e molte scuole.Nella città di Mosul ci sono ora tre chiese dove si tengono messe regolari. Quanto alla Piana di Ninive, dove la maggioranza cristiana è tornata dopo la grande fuga del 2014, attualmente c’è stata la ricostruzione di case e chiese rimanendo saldamente nella propria terra.

Con la caduta del regime di Saddam Hussein (2003) e il successivo avvento dei terroristi del cosiddetto “Stato islamico” (2014)  i cristiani in Iraq sono stati perseguitati e tanti sono stati costretti a scappare fuori dal Paese. Cosa puoi dirci di quel periodo?Dopo la caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003, i cristiani iracheni sono diventati vulnerabili agli attacchi dei gruppi terroristici: molti cittadini innocenti, vescovi, sacerdoti e suddiaconi sono stati uccisi e molte chiese sono state bombardate.Nel 2006 padre Paul Iskandar è stato rapito e ucciso e nel 2007 padre Ragheed Ganni è stato martirizzato con tre sudiaconi dopo aver celebrato la messa domenica. Nel 2008, il vescovo Mar Pauls Faraj Rahho è stato martirizzato con tre compagni dopo la preghiera. Il Vescovo, che ho amato molto, che mi ha fatto la prima Comunione e che mi ha sempre incoraggiato ad entrare in Seminario.Nel 2009, gli autobus che trasportavano studenti cristiani all’Università di Mosul sono stati bombardati e due persone sono stati uccisi a causa di questo attentato e dozzine di loro sono stati feriti. Nel 2010 a Baghdad i terroristi hanno compiuto un massacro nella chiesa di Saiedat alnajat durante la messa domenicale, in cui sono stati martirizzati due giovani sacerdoti e più di 50 fedeli.

C’è stata, poi, la tragica evacuazione di centomila cristiani da parte dell’ISIS nel 2014…Per quanto riguarda l’anno 2014, c’è stata la cosa più dura che i cristiani hanno dovuto affrontare nella loro storia contemporanea, poiché oltre 100 mila cristiani hanno dovuto lasciare in una notte la Piana di Ninive.La città di Mosul è caduta in mano ai terroristi dello Stato Islamico nel mese di giugno, dopo di che hanno costretto i cristiani a lasciare la città. L’ISIS ha occupato case e chiese e le ha utilizzate come prigioni e centri di addestramento militare. Tra il 6 e il 7 agosto l’ISIS ha occupato tutta la piana di Ninive e 100 mila iracheni cristiani sono dovuti scappare.Il 6 agosto del 2014, mi trovavo nella canonica della parrocchia, la mia famiglia era già emigrata in America a causa delle condizioni già critiche del Paese, e alle cinque del mattino sono stato svegliato dal suono di un primo missile lanciato su Mosul, una città a noi vicina, seguito dopo circa 15 minuti da un altro. Ero preoccupato, era il giorno della festa della Trasfigurazione di Nostro Signore: ho iniziato a pregare…Per una settimana abbiamo sentito i colpi dello scontro a fuoco tra ISIS e le forze di sicurezza. L’ISIS era a meno di 20 minuti da noi. In questo giorno mi sono recato a Qaraqosh, dei colpi di mortaio avevano colpito, uccidendola, una giovane donna e due bambini. La gente terrorizzata cominciava a raccogliere i propri averi e a scappare verso Erbil. Alle 22 di quel giorno, mentre con il mio parroco padre Thabet controllavamo la situazione del nostro villaggio, Karamlesh, ho ricevuto un messaggio: “La città di Tal Kaif è caduta”, ed è stata la prima città cristiana a cadere nelle mani dell’ISIS. Abbiamo aspettato un po’ prima di prendere la decisione di partire, ma verso mezzanotte la gente che sentiva il pericolo dell’ISIS in arrivo, si è rifugiata in chiesa: donne, adulti e bambini, alcuni piangevano e altri urlavano, e tutti chiedevano ai sacerdoti cosa fare.Poiché la situazione era diventata molto pericolosa e tutti potevano cadere nelle mani dell’ISIS, i vescovi hanno suggerito di far uscire gli abitanti dal villaggio e di farli andare verso Erbil, nel nord dell’Iraq. Abbiamo così iniziato ad allertare le persone suonando la campane della chiesa e inviato i giovani ad avvisare i malati e gli anziani fornendo le auto della parrocchia per il loro trasporto. Nel frattempo, noi mettevamo in salvo i documenti parrocchiali e gli oggetti sacri. Ma la cosa importante per me fu mettere in salvo dalla profanazione dell’ISIS l’Eucaristia. Fui l’ultimo a prenderla e il primo a riportarla dopo la liberazione.Era difficile lasciare la nostra terra, la nostra chiesa, dopo aver fatto andar via gli abitanti, siamo rimasti per circa due ore, insieme con 30 giovani che stavano a guardia del villaggio per controllare cosa stesse succedendo intorno a noi. Siamo stati tra gli ultimi a lasciare il villaggio, le forze di sicurezza si erano già ritirate e non lo sapevamo. Eravamo soli di fronte all’ISIS, quindi la decisione è stata di lasciare il nostro villaggio, la nostra chiesa e le nostre radici, per preservare noi stessi e la fede. La decisione ci spezzava il cuore ma non avevamo altra scelta.Quei momenti li descrivo sempre come “momenti di morte”. I proiettili volavano dappertutto e si sentiva l’eco dello scontro tra l’ISIS e le forze di sicurezza. Ma proprio come accadde al popolo d’Israele nel Mar Rosso quando la mano del Signore era con loro e lo salvò, così ho sentito la mano del Signore su di noi ed Egli ci ha salvati. E questo ha rafforzato la mia vocazione di diventare sacerdote per servire il mio popolo oppresso, sofferente e ferito, perché io gli appartengo.Dopo essere arrivati ad Erbil, ci siamo sparsi per le strade, dormendo sui marciapiedi e negli orti delle chiese, nelle tende e nelle roulotte e per tre anni la Chiesa ci ha sempre aiutati, con la preghiera e il sostegno concreto.Ad oggi nella Piana di Ninive oltre 10 mila famiglie sono tornate a casa e oltre il 57% delle abitazioni è stato ricostruito. Nonostante la persecuzione il popolo cristiano è unito, nonostante il dolore che porto nel cuore, cerco sempre di avere il sorriso e seminare gioia sui volti dei bambini perché i loro ricordi non portino la stessa sofferenza che portiamo noi.Prima che l’ISIS prenda il controllo delle nostre città, avevo deciso di andare negli Stati Uniti per incontrare papà, mamma e il mio fratellino, e pur avendo l’opportunità di rimanere lì, ho deciso di stare con gli sfollati, amo Gesù e voglio rimanere in Iraq per servire la mia Chiesa, il mio Paese e il mio popolo oppresso. Da dieci mesi mi trovo a Roma, ho scelto di studiare Diritto Canonico per aiutare la mia Chiesa e tornerò nel mio Paese appena avrò completato i miei studi.

Nel marzo del 2021 Papa Francesco si è recato in Visita Apostolica in Iraq ed è stato in particolare alla piana di Ninive e presso i luoghi cristiani ancora distrutti. Cristiani e musulmani come hanno accolto la visita del Papa?Questa visita è stata una speranza per il popolo iracheno che soffre da anni, e per i cristiani perseguitati e sfollati dal loro Paese. Il Papa è un uomo di pace che ci ha accompagnato con la sua preghiera mentre tutto il popolo iracheno viveva questo dramma dell’occupazione dell’ISIS. Per questo tutti uscivano ad accoglierlo: cristiani, musulmani, sabei e yazidi. La visita del Papa è stata un sostegno e una forza per tutti gli iracheni.

Come vedi il tuo futuro? Quali sono i tuoi progetti rispetto al tuo paese, l’Iraq?Non conosciamo il futuro, ma affidiamo tutto nelle mani del Signore e gli diciamo di fare la sua volontà lavorando ogni giorno per seminare amore nelle anime delle persone, siano esse cristiane o musulmane o di altre religioni, attraverso le nostre preghiere, incontri e attività.Lavoriamo per avere buone relazioni con tutti e perdonare coloro che ci hanno ferito, come ci ha insegnato il Signore. Perdoniamo per far passare la grazia del Signore da una generazione all’altra.